Politica e donne

150 Anni di unità d’Italia. Le donne del Risorgimento

anita e giuseppe garibaldi

Cristina Trivulzio di Belgioioso

cristina di belgiosoVive la sua prima esperienza patriottica quando il patrigno, Alessandro Visconti d’Aragona, che nutre sentimenti patriottici e progressisti, viene arrestato. Siamo a Milano, è il 1821 e Cristina ha appena tredici anni.

Il congresso di Vienna ha sancito i nuovi accordi internazionali favorendo una forte ondata restauratrice dei vecchi sovrani e conservatrice per idee politiche. Esiste la carboneria e si prepara una vasta insurrezione militare per la totale indipendenza dall’Austria e dalla Francia. Anche l’esercito del popolo di Lombardia si sarebbe unito alle truppe piemontesi per cacciare lo straniero ma, nonostante tutte le volontà e le grandi idee di indipendenza, la Santa Alleanza e le armate di Metternich travolgono il nemico e soffocano qualsiasi velleità liberale.
Nonostante tali vicende, Cristina continua la sua vita mondana di adolescente in età da marito e, ad un ballo, incontra Emilio Barbiano di Belgioioso, noto alla polizia austriaca per le sue frequentazioni con cospiratori. Bellissimo, mondano e amante delle donne, Emilio decide di cambiare la sua fama per amore di Cristina. Si sposano del 1824, presto però Emilio torna alle sue vecchie abitudini e la donna chiede la separazione.
Anche se cagionevole di salute, Cristina è attratta da intellettuali e patrioti, ma i malanni la costringono ad andare a Genova dove scopre di avere la sifilide di cui ovviamente incolpa il suo compagno. A Genova, prende un appartamento nel cuore della città e il suo salotto diviene il ritrovo sia dell’alta società che di importanti esponenti della carboneria. Entra nella setta patriottica e diventa maestra giardiniera, come vengono chiamate le donne affiliate.
Una spia della polizia austriaca, infiltrata, la costringe ad allontanarsi. Dapprima torna a Roma, dove conosce Luigi Napoleone – il futuro Napoleone III – che si dichiara adesso filo mazziniano; poi prosegue la sua fuga, perseguitata dalla polizia austriaca.
Nel suo lungo peregrinare,  arriva a Firenze dove Leopoldo II ha instaurato un clima di tolleranza favorendo fermento intellettuale e libertà; da qui riesce ad inviare armi ai patrioti che operano nell’Italia centrale.
Si rifugia poi in Svizzera, sempre perseguitata dalla polizia austriaca, e poi in Francia, a Parigi.
Metternich, che la considerava una donna immorale, avrebbe voluto tenerla sotto controllo nel Lombardo Veneto e proprio così comincia il mito della Principessa rivoluzionaria.
A Parigi infatti Cristina sostiene i patrioti della Giovine Italia che vogliono occupare la Savoia.
I moti romagnoli antipapalini dovevano estendersi al Piemonte con l’aiuto di Carlo Alberto nonostante il poco onorevole comportamento di dieci anni prima. Cristina finanzia la spedizione, ma a nulla vale il fermento patriottico, perché i tentativi rivoluzionari falliscono e la donna è quindi sempre più compromessa.
Nonostante la sua condizione privilegiata, si accorge della totale disparità tra ricchi e poveri esistente in Francia, dove la miseria si aggira tra le sontuose case della Parigi bene e i palazzi reali. Diviene così protettrice degli emarginati, ma quando l’Austria decide di confiscarle i suoi beni in Lombardia, assapora personalmente la miseria.
Cristina sa dipingere, cantare, suonare il pianoforte ma non sa cuocere un uovo sodo. Fortunatamente incontra Francois Mignet, intelligente astro emergente della cultura politica francese, e con lui comincia a frequentare i circoli liberali della città. Siamo nel 1831.
Poco dopo conosce il marchese di La Fayette, il generale che aveva partecipato alla rivoluzione americana, a quella francese e ai moti del 1830. Riuscita a tornare in possesso del suo patrimonio, aiuta i profughi e finanzia Mazzini appoggiando anche le sue idee visionarie. Ad esempio quella che bastasse lo sbarco di qualche decina di uomini su un punto qualsiasi della costa fra Nizza e Reggio Calabria, per sollevare intere regioni contro gli austriaci.
La fallimentare spedizione ha luogo nel 1834 e la Trivulzio ne è profondamente amareggiata. Si allontana dai circoli patriottici e inizia frequentare più i salotti, dove conosce Franz Liszt, ma anche Auguste Thierry e poi Adolphe Thiers, Honoré de Balzac, Alfred de Musset, Frederic Chopin, Heinrich Heine, Vincenzo Bellini e Niccolò Tommaseo. Ma dopo la nascita della figlia Marie – che il marito non volle riconoscere – torna in Italia, a Locate, nei pressi di Milano.
Abita in una villa di campagna, dove si dedica ai poveri trasformando il suo podere in colonia agricola all’avanguardia. Crea asili per gli orfani, scuole con indirizzo professionale per entrambi i sessi (cosa assolutamente non contemplata a quei tempi), una stamperia e un saldatoio. Il saldatoio era una grande sala del castello, con annessa cucina per pasti caldi a prezzo simbolico, dove si rifugiano i più deboli durante l’inverno. Insomma un vero e proprio Falansterio, un modello di comunità come quello teorizzato da Charles Fourier.
Alla ricerca di nuove avventure culturali, a Parigi fonda un giornale: la Gazzetta Italiana, poi la Rivista Italiana, che infine diviene L’Ausonio. Teorizza la necessità di rendere il popolo edotto sui propri diritti; popolo che vorrebbe vedere insorgere.
Questi due anni a Parigi trasformano nell’animo Cristina, che avvia una fitta corrispondenza con Mazzini.
È il 1847. Ora comincia la sua vera opera rivoluzionaria.
Incontra Carlo Alberto a Torino e si persuade che i Savoia sono l’unica via di salvezza per l’Italia unita e indipendente.
A Milano cominciano gli scioperi contro il monopolio austriaco del tabacco e Cristina offre il suo appoggio. Naturalmente la reazione è violenta e la donna fugge a Napoli, dove Ferdinando II ha concesso la Costituzione e la città è in festa. Siamo nel pieno inverno del 1948 e la coraggiosa donna riparte per Genova appena saputo che a Milano sono già state alzate le barricate contro l’oppressore austriaco. Capeggia un gruppo di duecento volontari napoletani raccolti su un piroscafo che si uniscono poi ad un reggimento piemontese.
Il 6 aprile la principessa entra a Milano acclamata dalla folla in festa. Carlo Alberto concede la Costituzione; Luigi Filippo, a Parigi, proclama la Repubblica; Pio IX anche lui, concede la Costituzione; Metternich, a Vienna, si dimette.
Ma la felicità dura poco perché gli austriaci incalzano nuovamente e Carlo Alberto non ha la forza di contrapporsi: fugge segretamente lasciando Milano e Venezia in mano all’invasore decretando il fallimento dei moti del ’48.
Oltre ai moti del ’48 fallì anche la Repubblica romana.
La Trivulzio è presente anche a Roma, dove organizza la direzione delle ambulanze e degli ospedali militari. Arruola trecento infermiere di ogni estrazione sociale e per questo viene criticata: si dice che tra loro vi siano donne avvenenti e di facili costumi. Alcune di loro, per questo motivo, cessano di lavorare per i feriti.
I francesi tengono d’assedio la città eterna e sconfiggono Garibaldi che lascia Roma insieme a Mazzini. Cristina, ferita nel corpo e nello spirito, soccorre Goffredo Mameli che le muore fra le braccia.
Nuovamente la principessa viene accusata di essere una poco di buono: lo Stato Pontificio vuole incarcerarla e lei fugge nuovamente. La Grecia prima, la Turchia e la Palestina dopo, le offrono asilo.
In queste terre riuscì a scampare a un attentato da parte di un cameriere folle che le inflisse quattro pugnalate.
Dopo otto anni la principessa rivoluzionaria torna in Europa. Continua a scrivere per la Revue des Deux Mondes e collabora con Cavour che un tempo l’aveva apostrofata come donna di facili costumi e adesso le chiede scusa.
Alla morte di Cavour, la principessa interrompe la sua militanza politica e si dedica a scrivere articoli sociologici che vengono pubblicati dalla Nuova Antologia. Molto attenta alla condizione delle donne scrive: “la condizione della donna non è tollerabile se non in gioventù. Gli uomini che decidono della sua sorte non mirano che alla donna giovane; l’età matura di lei né la vecchiaia sono considerate, né a queste si provvede”.
Cristina Trivulzio di Belgioioso morì il 5 luglio del 1871 all’età di sessantatre anni. Anche nell’ultima parte della sua vita mise in discussione il ruolo della donna del suo tempo con il preciso intento di rivalutare in pieno il mondo femminile. La sua incredibile esistenza, come la sua vastissima cultura costruita anche attraverso i libri e i viaggi, le permisero di affrontare con una forza speciale le numerosissime critiche che le riservò la società di quel tempo.

Potrebbe interessarti