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Università e mondo del lavoro – si abbassa il tasso di occupazione dei neolaureati

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Il lavoro cercato e il lavoro offerto

Il dibattito internazionale verte da tempo sulla differenza tra le competenze dei giovani laureati e le richieste del mondo del lavoro, che non coincidono.
In Italia in particolare, a determinare la domanda dei laureati sono le caratteristiche delle imprese ma anche quelle degli imprenditori. Con l’aumentare della specializzazione tecnologica delle imprese – oggi sempre più incentivata – aumenta anche la richiesta di laureati; non solo: si è visto che sono le imprese con titolari possessori di laurea a occupare il maggiore numero di laureati: il triplo. Il che significa che solo chi è laureato si rende conto dell’importanza di un ciclo di studi così approfondito come quello universitario.
Purtroppo non è la stessa cosa per quanto riguarda chi detiene il potere di implementare le politiche concernenti l’innalzamento del livello culturale della popolazione.
Basta considerare che l’Italia nel 2009 era già posizionata al di sotto della media dei 27 stati dell’Unione Europea per quanto riguarda il numero di laureati (-13%). Un numero molto lontano da quello stabilito dalla Commissione Europea, che ha individuato come obiettivo strategico da raggiungere nel 2020 quello di innalzare del 40% il numero di laureati dei singoli stati. Tale obiettivo, che è stato già raggiunto dalla metà dei Paesi europei, è lontanissimo per l’Italia, che nell’arco di cinque anni ha visto crescere il livello dei laureati solo del 3% riuscendo a passare con difficoltà da una crescita del 16% a una del 19% tra il 2004 e il 2009.
Eppure si continua a sottovalutare l’importanza di avere giovani dall’alto profilo professionale, ben istruiti e in grado di competere a livello internazionale coi loro coetanei. Di conseguenza ancora sono troppo pochi gli investimenti nell’istruzione superiore e nella ricerca per lo sviluppo del Paese.
Eppure, secondo i dati Istat, nell’arco dell’intera vita lavorativa, tra i 25 e i 65 anni di età, sono i laureati ad avere maggiori vantaggi a livello lavorativo ed economico. Infatti il tasso di occupazione dei laureati si è dimostrato del 77% mentre quello dei diplomati del 66%; ma un’attenzione particolare andrebbe data al reddito, che è stato superiore del 55%. Insomma i laureati nell’arco della vita riescono a guadagnare più del doppio dei non laureati.
Tornando al XIII Rapporto Almalaurea, il 90% dei laureati di primo livello, intervistato, ha risposto di aver trovato lavoro nell’ambito dei servizi. Il settore dell’industria è quello invece che assorbe meno laureati (neanche il 10% dei laureati occupati). Considerando invece esclusivamente i laureati in ingegneria e architettura si riesce ad arrivare a quota 30% di assunti nell’industria.
Solo l’1% dei laureati poi ha trovato impiego nel settore agricolo, a meno che non si sia laureato in agraria (e in questo caso la percentuale sale al 30%).

Fuga di cervelli

Il titolo più elevato nel 2009 era la laurea specialistica (oggi c’è la laurea magistrale) e dunque i cervelli della cui fuga si sente spesso parlare sono quelli dei laureati con specializzazione. Si tratta di giovani che scelgono di andare a lavorare all’estero dove vige un criterio occupazionale diverso rispetto all’Italia, dove tutt’oggi continuano a contare le segnalazioni personali e le raccomandazioni a prescindere dalle reali capacità personali.
All’estero invece si viene solitamente valutati per ciò che si è in grado di fare, ovvero vige la cosiddetta meritocrazia.
Nel 2010, dopo aver preso la specializzazione, sono il 4,5% i laureati che hanno scelto di “fuggire” all’estero a un anno dall’aver conseguito il titolo. Nel 2009 invece, i laureati del 2008 che erano emigrati rappresentavano solo il 3% della popolazione statistica.
Hanno trovato lavoro all’estero soprattutto i laureati in ingegneria (il 29% dei laureati emigrati) seguiti a distanza dai laureati in lingue (16,5%) e dai laureati del settore economico-statistico.
Questi giovani laureati vengono premiati anche dagli stipendi, notevolmente più elevati rispetto a quelli italiani. Dopo un anno di lavoro arrivano a percepire quasi 1.600 euro mensili contro i 1.050 dei loro colleghi italiani. E il gap aumenta col trascorrere del tempo. Mentre da noi gli stipendi sono quasi bloccati, all’estero aumentano notevolmente con gli anni.
Così dopo 5 anni di lavoro, in Italia gli stessi laureati guadagnano meno di 1.300 euro mentre i loro colleghi coetanei emigrati guadagnano oltre 2.000 euro mensili

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