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Convegno sulla formazione continua promosso a Roma da Fondartigianato

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Convegno sulla formazione continua promosso a Roma da Fondartigianato

I 6 anni di attività del Fondo interprofessionale cui aderiscono 170 mila aziende, per la formazione costante dei lavoratori della micro e piccola impresa artigianale. Gli obblighi per le imprese di formare i propri dipendenti

Contesto interessante quello del Convegno “Il futuro è saperne di più!”, incontro con cui Fondartigianato giovedì 21 aprile ha presentato a Roma i risultati di 6 anni di attività della propria struttura sul territorio nazionale finalizzati alla formazione costante dei lavoratori della micro e piccola impresa artigianale.

Convegno sulla formazione continua promosso a Roma da Fondartigianato

I 6 anni di attività del Fondo interprofessionale cui aderiscono 170 mila aziende, per la formazione costante dei lavoratori della micro e piccola impresa artigianale. Gli obblighi per le imprese di formare i propri dipendenti

Contesto interessante quello del Convegno “Il futuro è saperne di più!”, incontro con cui Fondartigianato giovedì 21 aprile ha presentato a Roma i risultati di 6 anni di attività della propria struttura sul territorio nazionale finalizzati alla formazione costante dei lavoratori della micro e piccola impresa artigianale. Costituito nel 2001, ma attivo dal 2004,  Fondartigianato è stato infatti il primo Fondo interprofessionale autorizzato ad operare dal Ministero del Lavoro con lo scopo di promuovere, diffondere e  sostenere la realizzazione di iniziative di formazione continua nell’ambito di progettualità elaborate in sede di dialogo sociale per valorizzare ed accrescere le competenze dei lavoratori occupati nelle aziende artigiane e nelle Piccole e Medie Imprese.

L’intervento di questo Ente può esser definito indubbiamente di primo piano. Ad oggi sono oltre 170 mila le aziende aderenti,  650 mila i lavoratori interessati e quasi  120 i miliardi di euro investiti in formazione.
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La Legge 388 del 2000 consente di destinare la quota dello 0,30% dei contributi versati all’Inps alla formazione dei propri dipendenti (si tratta del meglio noto come “contributo obbligatorio alla disoccupazione involontaria”). Per fare questo è necessario tuttavia  che l’imprenditore comunichi di propria iniziativa all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale la volontà di aderire al fondo interprofessionale che si addice alle sue esigenze ed il numero dei dipendenti interessati.  
Un’opzione che nel contesto economico odierno può tentare di rispondere almeno in parte alla necessità di riqualificazione costante del capitale lavoro, fondamentale sia per l’impresa che per il lavoratore stesso, a salvaguardia del proprio posto di lavoro.

L’ingresso preponderante della tecnologia in tutti i settori produttivi e le pressioni costanti delle economie straniere  impongono infatti a tutte le aziende un  processo di aggiornamento del personale attraverso l’acquisizione regolare di nuove o rivedute capacità. Questo diviene indispensabile anche in comparti economici, come quello della micro e piccola impresa artigiana, considerati fino a poco tempo fa marginali, se non addirittura estranei, a questo processo.

È un fatto ormai accertato che la capacità della nostra economia di adeguarsi velocemente alle richieste del mercato, come teorizzato dallo stesso Bauman, presuppone una determinazione incredibile da parte di tutti i comparti economici e sociali del Paese. E se pensiamo che in Italia le micro e piccole imprese  impegnano rispettivamente il 37% e il 31% della popolazione occupata, diventa intuitivo capire l’importanza di un’evoluzione anche di questo settore verso forme più dinamiche e strutturate, capaci di regger meglio l’impatto con una società globale.

Ma di fisiologica resistenza del comparto artigianale ad accettare questa nuova situazione ha parlato anche il Segretario generale di Confartigianato Imprese, Cesare Fumagalli, che ha insieme evidenziato una  preoccupante discrepanza  su base territoriale nazionale all’adesione al Fondo da parte delle imprese – e di conseguenza dei lavoratori – nel panorama produttivo  italiano.  Il 76%  di adesioni è infatti composto da attività collocate nel Nord, il 15/16% nel Centro, mentre solo l’8% è rappresentato da micro o piccole imprese del Sud che aderiscono alle iniziative di formazione continua promosse.  

Pur sottolineando la possibilità  da parte dell’Ente di migliorare l’offerta formativa proposta, la capacità di comprendere con maggior incisività le esigenze delle aziende e la necessità di ridurre la macchinosità dei bandi e dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi preposti, Fumagalli ha sottolineato con decisione la vera opportunità costituita dal corretto utilizzo dei Fondi come leva determinante per riequilibrare le risorse nel nostro Paese.

I dati tuttavia evidenziano che le risorse a disposizione del Fondo artigianale per ciascun lavoratore – che pari allo 0,30 della massa salariale corrisponde approssimativamente a  circa 40/50 euro annui per singolo addetto – determina, di per sé, il finanziamento di interventi di breve durata e di impegno finanziario contenuto. Risorse certamente esigue che tuttavia, come precisato nel corso del Convegno, se  coordinate con quelle a disposizione degli Enti territoriali – in primis le Regioni – determinano risultati che possono essere considerati di incidenza diretta ed importante per la stabilizzazione del sistema economico, come si è verificato per la Toscana.

Allo stesso tempo, come sottolineato dal vice presidente di Fondartigianato, Antonio Zorzi, è necessario ricordare sempre la vera vocazione dei fondi interprofessionali e guardare con perplessità le eventuali chiamate politiche delle risorse a disposizione di questo strumento a favore di possibili politiche passive (la destinazione alternativa dello 0,30%) che, pur comprensibili in un periodo di forte compressione economica, restringono tuttavia azioni destinate a politiche attive,  fra cui gli interventi formativi,  che sono oggi più che mai fondamentali per tutto il comparto produttivo.  

Va infatti ricordato che con la Strategia: Europe 2020, lanciata dalla Commissione Europea nel marzo del 2010, sono stati individuati i nuovi obiettivi comunitari da conseguire entro il prossimo decennio, unitamente alle strategie di azione per uscire con successo dalla crisi e porre le basi per il consolidamento di una ripresa che sia strutturata su nuove e più solide piattaforme.
In particolare, tutti i rapporti che hanno accompagnato le definizioni dei nuovi orientamenti comunitari prevedono per il 2020 un forte aumento delle opportunità per il lavoro altamente qualificato e una altrettanto vistosa contrazione delle possibilità per il lavoro poco qualificato.

Ecco perché è stato accolto con qualche perplessità l’intervento del Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che, in riferimento all’ormai accertata incapacità del nostro sistema produttivo di assorbire la forza più giovane del nostro paese, ha indicato nella rimodulazione del contratto di apprendistato professionalizzante – come percorso triennale di formazione che inizi a 14 anni, ispirato al modello tedesco – uno degli strumenti per fronteggiare quelle che sono state definite due patologie caratteristiche del sistema scolastico italiano: l’abbandono precoce e il disadattamento scolastico (inteso come incapacità del ragazzo di scegliere un tipo di studi che valorizzi il proprio talento e che condizionerà immancabilmente il proprio percorso lavorativo).

Come sottolineato dallo stesso vicepresidente Zorzi, i Fondi interprofessionali sono comunque esclusi da forme di intervento sull’apprendistato essendo destinati a chi un lavoro lo ha già, ma è interessante riflettere sul fatto che, quasi dimentico dei motivi che hanno portato a livello comunitario l’innalzamento a 16 anni dell’istruzione obbligatoria dei nostri giovani, il Governo scarichi sulle imprese con “un percorso formativo in cui il costo del lavoro sia ridotto in maniera proporzionale all’apprendimento che nel contratto si realizza” una delle soluzioni doc per risolvere le problematicità di un mercato del lavoro che in Italia vede escludere tre giovani su quattro dal suo ambito. Prospettiva che, tuttavia, al momento continua a non raccogliere l’entusiasmo delle aziende, anche artigiane, che seguitano invece a domandare in ingresso giovani con una base formativa adeguata alle necessità del proprio contesto di produzione.

Considerata la situazione globale ed il dinamismo esasperato dell’economia internazionale, è comunque fondamentale un grande impegno da parte di tutti. E i percorsi sono in qualche modo già tracciati. I lavoratori con una loro totale adesione al lifelong learning, ovvero con la loro disponibilità ad una formazione costante ad ogni livello ed in ogni settore nel corso di tutto il proprio percorso lavorativo;  le Regioni e gli Enti preposti con un utilizzo mirato, sinergico e costruttivo delle risorse messe a loro disposizione ed il Governo con azioni di sostanza incisiva sia nella formazione scolastica – cosa che può aiutare il lavoratore a predisporsi per il resto della vita a questo apprendimento costante – sia con una tutela più accorta, coordinata e lungimirante del nostro sistema produttivo.

Cristiana Persia

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