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Il cibo sostenibile come diritto fondamentale

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Il cibo sostenibile come diritto fondamentale

Un seminario di economia aziendale etica per stimolare il cambiamento di quel modello di agricoltura globale che ha conseguenze negative sugli esseri umani creato dall’attuale sistema capitalistico

Decisamente non rassicurante il quadro emerso nel corso del seminario sul “Diritto al cibo sostenibile”. Nell’aula magna del dipartimento di Sociologia dell’università Sapienza di Roma, sabato 12 novembre, il comitato Amig@s MST (Movimento dos trabalhadores rurais Sem Terra) e l’associazione Altramente hanno organizzato un incontro per fornire una visione globale sull’attuale situazione alimentare nel mondo.

Antonio Lupo
Antonio Lupo

Antonio Lupo, presidente del comitato, e Patrizia Sentinelli, politica italiana, professoressa di Economia Aziendale e socia fondatrice di Altramente, hanno riunito per l’occasione diverse personalità di spicco italiane nell’ambito della ricerca, dell’università, di grandi organizzazioni come il WWF, del Coordinamento Europeo di Via Campesina.
È risultato chiaro fin da subito che il modello di agricoltura globale è divenuto ormai “il riflesso del sistema capitalistico che lo ha creato” (Forum di Nyeleni agosto 2011) con le dirette conseguenze negative sull’intera umanità.

È intervenuto a tal proposito il professor Luigi Ferrajoli che, citando il pensiero del filosofo John Locke, ha così commentato il diritto al cibo: “Dal momento che la sopravvivenza è un fatto sociale e dipende dalla volontà individuale, il diritto alla sussistenza risulta essere un diritto fondamentale, che però non viene rispettato. Il problema è democratico. La crisi della democrazia si verifica quando gli interessi del popolo non vengono tutelati e l’unico modo per superarla è attraverso la politica, che oggi si risolve in una serie di conflitti di interessi, di lobby, dove non esiste costituzionalismo che separi lo Stato dall’economia”.

Patrizia Sentinelli e Adanella Rossi
Patrizia Sentinelli e Adanella Rossi

L’economia ha invece preso il sopravvento promuovendo un governo privato e antidemocratico. “Il problema centrale” dice ancora Ferrajoli “non è la formulazione di diritti, che rischiano di essere squalificati divenendo vuota retorica, ma creare istituzioni di garanzia, movimenti, cioè, che impongano divieti e obblighi”. Ne potrebbero essere un esempio i beni demaniali, “che sono definiti dal codice civile beni comuni e devono essere, quindi, costituzionalizzati, cosicché nessuna maggioranza possa privatizzarli. I beni sono essenziali per la sopravvivenza” conclude il Professore “e vanno sottratti al mercato in favore delle istituzioni di garanzia e non di governo, a garanzia dei diritti fondamentali”.

 

“I sistemi alimentari” spiegano infatti al Forum di Nyeleni 2011 (primo forum europeo per la Sovranità Alimentare) “sono stati piegati a servire un’agricoltura industrializzata, controllata da poche multinazionali del cibo e da un piccolo gruppo di enormi catene di supermercati. Un modello pensato per generare profitti e incapace di produrre cibo sano, […] che promuove una dieta dannosa per la salute (obesità e diabete in aumento) e povera di frutta, verdura e cereali diversi”.

Non sembra una novità – a cui purtroppo siamo abituati – ma, addentrandoci nel lungo intervento di Lupo, emerge una situazione alquanto raccapricciante: “In Europa” spiega il Presidente “oltre a mancare Sovranità Alimentare, non c’è neppure Sicurezza Alimentare, dato che dipendiamo dalle materie prime e in particolare dalla soia dell’America Latina”. L’Italia, che risulta essere il più grande produttore di soia tra i paesi europei, ne importa l’87%, una percentuale che rivela come questo legume, utilizzato negli allevamenti industriali di carne per dare apporto proteico agli animali, provenga per la maggior parte dall’America Latina, regione in cui viene ancora attuata la polverizzazione aerea sui terreni agricoli, attività, questa, che utilizza 36 dei 49 pesticidi vietati in Europa. Per di più il letame dei “nostri” animali non può più essere usato come concime, essendo pieno di sostanze inquinanti.
In media un italiano consuma 90 chili di carne ogni anno: un dato, questo, abbastanza allarmante. Facendo poi un confronto tra l’Italia anni Sessanta e quella attuale, Lupo ha notato il verificarsi di “grandi modificazioni provocate dall’affermarsi dell’agrobusiness, cioè da un’agricoltura petrolifera senza contadini”.

Le sue caratteristiche sono:

  • –    concentrazione delle terre a monocolture,
  • –    meccanizzazione pesante e basso impiego di forza lavoro,
  • –    irrigazione intensiva,
  • –    uso massiccio di fertilizzanti e di derivati del petrolio,
  • –    cementificazione di terreni agricoli,
  • –    crescita massiccia degli allevamenti intensivi.

E il problema dell’inquinamento non si ferma qui, perché “la produzione di cibo industriale” aggiunge il presidente Lupo “è responsabile dal 44 al 57% delle emissioni di Gas Serra, i cui principali responsabili, secondo il dipartimento Energia USA, sono Cina e USA”. Crisi climatica e crisi alimentare vanno di pari passo e la soluzione più importante per la mitigazione del riscaldamento globale è proprio l’agricoltura sostenibile, che permette al terreno di riposare e rifertilizzarsi, così da trattenere i Gas Serra.
E’ necessario anche incentivare le piccole coltivazioni contadine e “cambiare il modo il modo in cui il cibo è prodotto, distribuito e consumato”, conclude il presidente, attraverso nuove leggi  che, come ha chiesto il Forum di Nyeleni 2011, obblighino a inserire sulle etichette dei prodotti alimentari industriali l’intera filiera per una nuova PAC (Politica Agricola Comune) e una nuova riforma agraria.

Daniela Auciello

Allegati

pdf Rifici-12-11-2011.pdf

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