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Rapporto tra banche e microimprese. La questione dei fallimenti

Rapporto tra banche e microimprese. La questione dei fallimenti

 

La crisi finanziaria attanaglia le microimprese e molte di esse in Italia chiudono i battenti. Servirebbe un aiuto da parte delle banche ma queste stringono sempre più i cordoni della borsa. In Italia negli ultimi tre anni ci sono stati 33mila fallimenti

La scarsa liquidità è il primo problema che lamentano le microimprese: il 70% di esse non riesce a recuperare i crediti e il 50% ha difficili rapporti con le banche. E il numero di fallimenti aumenta vertiginosamente. Sono i dati rilevati dal Censis, incrociati con quelli della Banca d’Italia, a illustrare una situazione critica che sta mettendo in ginocchio il nostro Paese.

“Per tornare a crescere serve una finanza che parli anche alla microimpresa” così esordisce il comunicato del Censis realizzato a seguito di una ricerca che ha messo in evidenza come tra il 2009 e la fine del 2011 siano state avviate ben oltre 33mila procedure di fallimento da parte delle microimprese che, lo ricordiamo, rappresentano il nostro tessuto imprenditoriale complessivo.

Su 100 imprese costituite nel 2006, ne restano attive soltanto 58 e la crisi economica non accenna ad attenuarsi. Mentre si discute di misure per la crescita, non si può fare a meno di studiare le tipologie di intervento basandosi sui risultati delle ricerche condotte sul nostro sistema imprenditoriale. Ricerche che evidenziano come il Paese mantenga ancora “fondamentali solidi, con un elevato livello di risparmio delle famiglie e un tessuto d’impresa in gran parte dotato di una consistente carica competitiva, ma è innegabile che le molte energie manifestate in passato mostrano ormai gravi segnali di logoramento. Prenderne atto è un modo per capire meglio quali strumenti di sostegno possono essere messi in campo”: si tratta della dichiarazione del presidente del Censis Giuseppe De Rita, durante la presentazione delle indagini che l’istituto ha condotto negli ultimi 8 mesi.
Da tali indagini è scaturita l’immagine di un’Italia in cui “più del 70% delle aziende ha gravi difficoltà nel recupero dei crediti commerciali (con conseguente grave scarsità di liquidità) e più del 50% ha rapporti abbastanza difficoltosi con le proprie banche di riferimento. I casi di effettivo ottenimento del credito si sono notevolmente ridotti, specie in ambito bancario, passando dall’86% del 2007 all’attuale 78%. Gli ultimi dati della Banca d’Italia indicano a inizio 2012 una flessione, per oltre 17 miliardi di euro, di crediti concessi a imprese e famiglie”.

Spiega ancora Giuseppe de Rita: “uscire dalla lunga recessione e ripartire significa investire in innovazione a tutto campo, ma soprattutto sostenere quel vasto numero di imprese di piccole dimensioni che costituiscono, com’è noto, il 90% del sistema produttivo, oggi stremato”.

Le misure immediate suggerite dal Censis sono quelle di “attenuare la fase di credit crunch con strumenti diversi che spaziano dal maggiore ricorso a strutture e reti di garanzia, come i confidi, fino a interventi più mirati, come il microcredito, per le strutture di piccole dimensioni in difficoltà”.

Bisogna ricordare che l’Italia è all’avanguardia per esperienze di micro-finanza a sostegno di piccole strutture e dunque può proseguire su questa strada “intervenendo con strumenti di credito, di micro-leasing, di garanzia con prodotti assicurativi”. L’Ente nazionale per il microcredito è un punto di riferimento in Europa per l’esperienza maturata a fianco della micro-impresa e, se si parla di finanza etica, ovvero di un’economia sociale di mercato, soprattutto – se non solo – un ente pubblico può efficacemente occuparsi delle fasce sociali più deboli. Per questo il Presidente del Censis suggerisce di utilizzare questo strumento: “si possono trasformare disoccupati in contribuenti attivi, facendoli uscire dal lavoro nero”, grazie alla microimprenditorialità vista appunto come strumento di autoimpiego. “In un momento di lotta agli sprechi, l’Ente nazionale per il microcredito ha saputo guadagnarsi un ruolo decisivo per il collegamento tra le istituzioni comunitarie e il contesto nazionale in merito a politiche e programmi per il credito”.

Rivolgersi a un Ente statale viene vista come soluzione ai problemi delle microimprese ma anche a quelli delle banche private, che non vogliono fare prestiti alle microimprese per non far correre rischi di capitale ai propri investitori. Una sorta di compromesso in una situazione classica di “cane che si morde la coda”: se le banche non concedono prestiti alle imprese queste falliscono e se falliscono non possono più immettere soldi nel circuito finanziario provocando a loro volta la crisi delle banche. Insomma per rilanciare l’economia e uscire dalla crisi c’è bisogno di una iniezione di contanti nelle casse delle imprese e invece nel solo periodo compreso tra dicembre 2011 e febbraio 2012 i prestiti alle imprese si sono ridotti di oltre 16 miliardi di euro. Un dato che mi spaventa ha affermato De Rita, “perché è il segnale di un malessere che rischia di diventare strutturale. È chiaro che, in una situazione di difficoltà e di forte razionamento del credito come quello registrato nel Paese negli ultimi mesi, occorre fare affidamento su tutte le strutture che operano sia nel pubblico che nel privato in materia di finanza e soprattutto di micro-finanza. È un bene che il Governo proceda celermente con la spendig review. ma penso sia fortemente auspicabile incentivare e promuovere ancora di più strutture ed enti come quello nazionale per il microcredito che sembrano oggi rappresentare un puntello di fronte a uno scivolamento che per ora appare senza fine”.

 

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