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Donne ai vertici delle aziende

Donne ai vertici

Donne ai vertici delle aziende: la Commissione Europea propone un obiettivo del 40%

Le donne di talento continuano a trovare ostacoli alla loro carriera

Un “soffitto di cristallo” impedisce loro di accedere ai vertici delle aziende; per infrangerlo la CE ha presentato una proposta legislativa: raggiungere un obiettivo del 40% del sesso sotto-rappresentato tra gli amministratori senza incarichi esecutivi nelle società quotate, tranne nelle piccole e medie imprese.

Attualmente i consigli sono dominati da un unico genere: l’85% degli amministratori senza incarichi esecutivi e il 91,1% di quelli con incarichi esecutivi infatti sono uomini, mentre alle donne restano, rispettivamente, il 15% e l’8,9%. E questo nonostante l’intenso dibattito pubblico al riguardo e alcune iniziative volontarie a livello nazionale ed europeo.

Nulla sembra essere cambiato dal 2003: da quell’anno a oggi il numero di donne negli organi direttivi delle aziende è aumentato in media appena dello 0,6% all’anno. Per accelerare il raggiungimento di un equilibrio – e perlomeno di un maggior equilibrio – è stato presentato un atto legislativo dell’Unione Europea, congiuntamente dai Vicepresidenti Viviane Reding (Commissaria per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza), Antonio Tajani (industria e imprenditoria), Joaquín Almunia (concorrenza) e Olli Rehn (affari economici e monetari) e dai Commissari Michel Barnier (mercato interno e servizi) e Lázsló Andor (occupazione e affari sociali).

Si tratta di una risposta agli inviti del Parlamento Europeo, che ha chiesto a più riprese, a maggioranza assoluta, misure legislative sull’uguaglianza tra donne e uomini negli organi decisionali delle imprese. Uno degli obiettivi prioritari dell’Unione Europea è quello di “permettere a donne competenti e qualificate di accedere a posti oggi difficilmente accessibili, eliminando gli ostacoli che sussistono e le disuguaglianze di genere che impediscono alle donne di progredire nelle loro carriere”, pertanto lo stesso Parlamento europeo già nelle risoluzioni degli scorsi anni aveva fatto presente che la parità di genere in tema di occupazione “deve promuovere senza distinzioni gli uomini e le donne in seno al mercato del lavoro e nei posti dirigenziali a tutti i livelli, per pervenire a una giustizia sociale e utilizzare appieno le competenze delle donne in modo anche da rafforzare l’economia, e garantire la realizzazione delle donne nella medesima misura degli uomini”.

Le donne come risorsa strategica per le imprese

Le considerazioni del Parlamento partono dalla constatazione che, ad esempio, nel 2008 il 59,5% dei titoli universitari rilasciati nell’UE erano destinati a donne, che il numero delle donne nelle facoltà di economia e commercio e giurisprudenza è superiore a quello degli uomini e che, ciononostante, nel 2009, le quote femminili nei più alti organi decisionali delle maggiori imprese quotate in borsa hanno raggiunto solamente il 10,9%.
Il Parlamento e la Commissione sono ben consapevoli che altri eventuali ostacoli alla rappresentanza femminile possono essere imputati a una combinazione di discriminazione in base al sesso, comportamenti stereotipi che tendono a persistere in seno alle imprese e la fornitura limitata di tutoraggi per le dirigenti potenziali.

Una importante dimostrazione del valore delle donne nei posti di lavoro strategici viene dagli studi svolti dalla Commissione e dal settore privato, che “hanno dimostrato una correlazione tra i migliori risultati economico-finanziari delle imprese e la presenza di donne in seno ai loro organi decisionali: ne deriva chiaramente che una rappresentanza significativa di donne nei posti dirigenziali costituisce un vero e proprio strumento di performance e competitività economica”.
Insomma le aziende devono capire una volta per tutte che tenere relegate le donne nelle posizioni inferiori significa solo danneggiare la propria impresa, facendole perdere tutte quelle opportunità che le capacità femminili sarebbero in grado di cogliere al volo.

La direttiva proposta dalla Commissione Europea stabilisce pertanto che le aziende che non presentano la soglia del 40% di donne tra gli amministratori non esecutivi dovranno “procedere alle nomine per tali posti sulla base di un’analisi comparativa delle qualifiche di ciascun candidato, applicando criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro dal punto di vista del genere. A parità di qualifiche, si dovrà dare la priorità al sesso sotto-rappresentato”.
L’obiettivo di raggiungere almeno il 40% di esponenti del sesso sotto-rappresentato per gli incarichi non esecutivi deve comunque essere raggiunto entro il 2020, anche se le imprese pubbliche avranno a disposizione due anni di meno, fino al 2018.

La proposta dovrebbe applicarsi a circa 5mila società quotate nell’Unione Europea, mentre non si applicherà alle piccole e medie imprese (società con meno di 250 dipendenti e un fatturato mondiale non superiore a 50 milioni di euro) né alle società non quotate.

Le dichiarazione della Commissione Europea

Nel presentare la proposta, il presidente della CE, José Manuel Barroso, ha dichiarato: “con la proposta odierna la Commissione Europea risponde agli appelli pressanti del Parlamento Europeo affinché l’Unione Europea intervenga a favore della parità di genere negli organi decisionali delle imprese. Oggi chiediamo alle grandi imprese quotate in tutta Europa di dimostrare un impegno serio per la parità tra uomini e donne negli organi responsabili delle decisioni economiche. Su mia iniziativa la Commissione ha potenziato in modo significativo la presenza femminile tra i suoi membri, un terzo dei quali sono donne”.

La Vicepresidente Viviane Reding, Commissaria per la giustizia, ha aggiunto: “da più di cinquant’anni l’Unione Europea promuove l’uguaglianza tra donne e uomini, ma in un solo settore non ha registrato alcun progresso: gli organi direttivi delle imprese. L’esempio di Paesi come il Belgio, la Francia e l’Italia, che recentemente hanno adottato misure legislative e ora cominciano a constatare dei miglioramenti, dimostra con chiarezza che un intervento normativo limitato nel tempo può cambiare veramente la situazione. La proposta della Commissione farà in modo che nella procedura di selezione degli amministratori senza incarichi esecutivi sia data la preferenza alle candidate, purché siano sotto-rappresentate rispetto agli uomini ed ugualmente qualificate”.

Le opposizioni di Paesi e imprenditori “maschilisti”

Sono undici gli Stati membri che hanno mostrato particolare lentezza dei progressi nel campo della parità uomo-donna nei posti di lavoro, realizzando azioni frammentate. Considerando che nelle principali imprese europee soltanto un amministratore su 7 (il 13,7%) è donna, è evidente che il miglioramento rispetto all’11,8% registrato nel 2010 sia veramente troppo scarso: di questo passo, riferiscono dalla Commissione, ci vorrebbero ancora circa 40 anni soltanto per avvicinarsi all’equilibrio di genere ai vertici delle aziende (ovvero entrambi i sessi rappresentati per almeno il 40%).
Alcuni Stati membri – tra cui l’Italia (gli altri sono: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia e Spagna) – hanno iniziato a introdurre diversi tipi di leggi per i consigli delle società e adottato strumenti giuridici per promuovere la parità di genere negli organi direttivi delle imprese. Ma altri undici paesi dell’UE non hanno introdotto né misure di autoregolamentazione, né misure legislative. Ciò rischia di ostacolare il funzionamento del mercato interno europeo, in quanto la presenza di norme di diritto societario diverse e sanzioni diverse in caso di mancato rispetto dell’equilibrio di genere può creare complicazioni per le aziende ed esercitare un effetto deterrente sugli investimenti transfrontalieri. Ecco perché la proposta della Commissione intende fissare un quadro normativo a livello dell’UE per queste azioni positive.

Le imprese dovranno riferire ogni anno sui progressi compiuti per il raggiungimento della quota 40% nei tempi previsti dalla normativa. Naturalmente le qualifiche e il merito dovranno restare i requisiti fondamentali per lavorare in consiglio (il solo fatto di essere donna non dà un diritto automatico ad accedere ai posti di vertice aziendale, ma a parità di meriti bisogna raggiungere l’uguaglianza di genere, mentre finora a parità di meriti erano gli uomini a salire i gradini della scala).

Gli Stati membri dovranno stabilire sanzioni adeguate e dissuasive per le società che violeranno la direttiva. Anzi, potranno anche fare di più: ovvero stabilire ulteriori elementi che avvicinino al raggiungimento della parità dei diritti.
L’obiettivo del 40% si applica alle società quotate, per la loro importanza economica e la loro elevata visibilità, e non alle piccole e medie imprese e riguarda soprattutto i posti di amministratore senza incarichi esecutivi.

Quanto è lontana ancora la parità

Ricordiamo che la promozione di una maggiore parità nel processo decisionale è uno degli obiettivi della Carta delle donne (IP/10/237) lanciata dal Presidente Barroso e dalla Vicepresidente Reding nel marzo 2010. La Carta presenta una serie di impegni basati su principi concordati di uguaglianza fra donne e uomini allo scopo di promuovere:

  • la parità sul mercato del lavoro e l’uguale indipendenza economica per donne e uomini, in particolare mediante la strategia Europa 2020;
  • la parità salariale per uno stesso lavoro o per un lavoro di uguale valore, lavorando con gli Stati membri per ridurre significativamente il divario salariale tra uomini e donne nei prossimi cinque anni;
  • la parità nel processo decisionale, mediante misure di incentivazione dell’UE;
  • la dignità, l’integrità e la fine della violenza contro le donne, mediante un quadro politico completo;
  • la parità tra uomini e donne all’esterno dell’UE, affrontando la questione nelle relazioni esterne e con le organizzazioni internazionali.

Nel marzo 2012 una relazione della CE, che alleghiamo all’articolo, ha mostrato che in tutta l’Unione i consigli delle società sono attualmente dominati da un solo genere. Si sono inoltre constatate forti differenze tra i Paesi membri: la presenza femminile nei consigli, che raggiunge il 27% nelle maggiori aziende finlandesi e il 26% in quelle lettoni, non va oltre il 3% a Malta e il 4% a Cipro.
I progressi tangibili costituiscono l’eccezione, non la regola, e sono visibili soltanto nei Paesi (soprattutto la Francia) che hanno adottato norme giuridicamente vincolanti per i consigli delle società. Più del 40% del cambiamento totale registrato a livello dell’UE tra ottobre 2010 e gennaio 2012 si deve alla Francia, che ha introdotto una quota obbligatoria nel gennaio 2011.

Nel marzo 2011, la Commissaria UE per la giustizia Viviane Reding ha lanciato una sfida alle società quotate in borsa in Europa, invitandole ad aumentare su base volontaria il numero di donne nei loro organi direttivi sottoscrivendo un impegno formale per più donne alla guida delle imprese europee in base al quale le imprese interessate si sarebbero impegnate a elevare la componente femminile nei consigli al 30% entro il 2015 e al 40% entro il 2020. A distanza di un anno però erano solo 24 le società che avevano aderito all’iniziativa.
Un anno dopo, però, appena 24 società in tutta Europa avevano aderito all’iniziativa, nonostante ormai sia comprovato che l’equilibrio di genere ai vertici aziendali può migliorare le prestazioni finanziarie delle imprese e che una maggiore presenza femminile ai posti strategici può concorrere a un ambiente di lavoro più produttivo e innovativo, con effetti positivi sull’insieme delle prestazioni aziendali. Secondo i molteplici studi effettuati, il motivo di ciò “risiede soprattutto nella mentalità più diversificata e collettiva introdotta dalla presenza femminile, che apre prospettive più ampie e permette di prendere decisioni più equilibrate”. Si aggiunga che le donne costituiscono il 60% dei neolaureati, ma soltanto poche di esse riescono a scalare le vette aziendali. Aprendo alle donne l’accesso a incarichi direttivi si fornirà loro un incentivo a entrare e rimanere sul mercato del lavoro, contribuendo così ad aumentare i tassi di occupazione femminile. Questo, a sua volta, contribuirà a raggiungere l’obiettivo della strategia “Europa 2020” per la crescita, di aumentare al 75% il tasso di occupazione di donne e uomini di età compresa tra 20 e 64 anni entro il 2020.
Per un’impresa oggi non permettere alle donne di valore di accedere alle posizione di vertice significa “darsi la zappa sui piedi” e ostacolare il progresso dell’intera economia europea.

Allegati

pdf RelazioneCE-donne-vertice.pdf

 

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