Pensioni

Indagine del Censis sulle pensioni italiane

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Indagine del Censis sulle pensioni italiane

I lavoratori italiani hanno paura di non riuscire a percepire una pensione a causa delle regole che cambiano continuamente, dell’attesa di pensioni pubbliche troppo basse, del lavoro precario che non permette loro di versare i contributi

L’arrivo della vecchiaia preoccupa gli italiani non solo per un fattore naturale ma per il timore di non riuscire a mantenersi con i pochi soldi che si aspettano dalla previdenza sociale. Non conoscono granché la possibilità di versare dei contributi integrativi privatamente e questa formula non li attrae.

Già oggi le pensioni pubbliche sono veramente basse: ci sono 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia dei quali più del 35% (ben 4 milioni) percepisce un assegno pensionistico che non arriva a 1.000 euro. Tra queste pensioni già basse, ce ne sono alcune che rendono i nostri anziani al di sotto del tasso di povertà: 741mila di loro infatti (il 6,4%) ricevono addirittura meno di 500 euro al mese.

Purtroppo il futuro non sarà certo più roseo. I lavoratori italiani pensano che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari al 55% del proprio reddito attuale. Un quarto dei lavoratori crede che avrà una pensione inferiore al 50% del reddito da lavoro e il 43% che al massimo sarà compresa tra il 50% e il 60% del reddito. Sono i dati emersi dalla ricerca realizzata dal Censis per la Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) che verrà presentata a gennaio 2013 ma della quale diamo in anteprima alcuni risultati.

I dipendenti pubblici sono i più preoccupati: si aspettano una pensione pari al 62% del loro reddito, mentre i dipendenti privati se la aspettano pari al 55% e gli autonomi al 51%.
I giovani di 18-34 anni prevedono che avranno una pensione pari al 54% del reddito e i più anziani pari al 60%.

Secondo l’opinione del 46% degli attuali occupati si va incontro a una vecchiezza fatta di ristrettezze: il 24,5% ritiene che non potrà vivere nell’agiatezza, anche se qualche sfizio potrà toglierselo, il 21,5% afferma che la situazione è molto incerta e non riesce a immaginare come sarà la propria vecchiaia. Solo l’8% pensa che potrà godersi un po’ di serenità anche grazie a buoni redditi.

A fare paura sono soprattutto le incertezze causate da regolamenti previdenziali sempre in cambiamento: l’84% dei lavoratori italiani è che essi cambieranno ancora e questa variabilità genera inquietudine e, nell’attuale stato di crisi economica, ecco che le pensioni diventano il catalizzatore di tanti timori. Oltre alle regole generali, desta insicurezza anche il percorso lavorativo/previdenziale personale: il 34% dei lavoratori (percentuale che sale al 41% tra i dipendenti privati) teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25% di dover affrontare una fase di precarietà con una contribuzione intermittente, il 19% di avere difficoltà a costruirsi, oltre la pensione pubblica, fonti integrative di reddito, come ad esempio la previdenza complementare.

Ed è proprio la promozione della previdenza integrativa, che può aggiungersi alla pensione pubblica, lo scopo della ricerca commissionata dall’Ente di vigilanza dei fondi pensionistici al Censis (i cui risultati preliminari alleghiamo all’articolo). Sono in pochi ancora infatti ad utilizzarla, soprattutto perché non ne conoscono bene il funzionamento. Come fonte di reddito per integrare la pensione pubblica infatti, il 70% dei lavoratori indica forme di risparmio diverse dalla previdenza complementare. I lavoratori preferiscono l’acquisto diretto di strumenti finanziari, investimenti immobiliari o polizze assicurative. Solo il 16,5% dichiara di preferire una forma di previdenza complementare (dai Fondi pensione ai Piani individuali di pensionamento). Così ad oggi la previdenza complementare non è percepita dai lavoratori italiani come lo strumento fondamentale di integrazione della previdenza pubblica e non è identificata quindi come il secondo pilastro voluto dalla legge.

Sono solo 6 milioni i lavoratori che hanno una conoscenza sufficiente della previdenza complementare, mentre 16 milioni di fatto non la conoscono o la conoscono male. La scarsa consapevolezza tra i lavoratori chiama in causa i loro canali informativi: il sindacato, al quale si rivolgono soprattutto dipendenti pubblici (47%) e privati (36%); poi gli interlocutori privilegiati dei lavoratori autonomi, come gli assicuratori (23%) e le banche (20%); i datori di lavoro, importanti per i dipendenti privati (13%).
Internet è una fonte informativa per il 15% degli intervistati.

La previdenza complementare, così poco conosciuta, non suscita tra i lavoratori la fiducia necessaria a far sì che vi investano i loro risparmi. Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, al primo posto emergono quelli economici: il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida degli strumenti di previdenza complementare, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda.

La previdenza complementare non decolla anche per difficoltà di contesto (i redditi bassi, il decrescente tasso di risparmio e la paura di perdere il lavoro) e per difficoltà specifiche, come la percezione di un costo aggiuntivo che andrebbe a pesare su redditi già stressati, la scarsa informazione, la poca fiducia.
Restando poco compresa – e poco spiegata – la previdenza integrativa risulta quindi meno attraente agli occhi dei lavoratori rispetto alle forme tradizionali di impiego dei risparmi (dal “mattone” ai BOT). Per questa ragione si fa sempre più urgente l’avvio di campagne informative efficaci che, con il coinvolgimento degli interlocutori di fiducia dei lavoratori, possano valorizzare meglio il ruolo del secondo pilastro previdenziale.

Allegati

pdf previdenza-integrativa-indagine-CENSIS.pdf

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