Fisco e norme

La PA, il peggiore dei cattivi pagatori

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La PA, il peggiore dei cattivi pagatori

Nonostante la Legge che impone alla Pubblica Amministrazione di saldare le fatture entro 30 giorni, l’Italia continua ad avere i tempi più lunghi di ogni altra nazione europea, costando alle imprese 2,1 miliardi di oneri finanziari

A questo punto la questione va portata ai livelli europei, così Confartigianato ha presentato al Vicepresidente della Commissione Europea Antonio Tajani il Rapporto sull’applicazione della Legge contro i cattivi pagatori denunciando la situazione di illegalità della PA italiana e i relativi danni alle aziende.

Non è un segreto che da anni gli enti, gli organi e gli uffici della Pubblica Amministrazione prendano tempo per pagare le fatture, nonostante abbiano il denaro in cassa. Ma devono finirla di far finta di non sapere che esiste una legge che impone loro di pagare entro 30 giorni dalla data della fattura. L’intervento punitivo da parte di chi ha il compito di amministrare la giustizia deve essere duro e senza appello perché così facendo la PA mette in crisi l’intero sistema economico italiano, come se non bastasse ciò che devono già sopportare in questi anni le aziende. 

Non pagare i debiti che si hanno con le imprese, o ritardare fino all’eccesso i saldi del dovuto o farsi degli sconti autonomamente (lo sapete che non pagano l’intero importo delle fatture perché decidono arbitrariamente di trattenere su ogni pagamento 5 euro a titolo di “rimborso spese”?) significa gravare sulle imprese – che invece dovrebbero sostenere – portandole sull’orlo del fallimento e facendo perdere posti di lavoro a centinaia di persone. Non stiamo esagerando: se un’impresa riesce a lavorare con la Pubblica Amministrazione, deve pure anticipare tutte le spese e pagare i propri dipendenti per lavori che a lei vengono pagati non solo a completamento, non solo a ricevimento fattura, non solo a 30 giorni dalla data della fattura, ma addirittura quando decidono gli impiegati. Potreste credere che lo Stato, poverino, non abbia abbastanza fondi ma per quale motivo i dirigenti delle aziende pubbliche indebitate e che hanno già ricevuto la prestazione da parte delle imprese, non si chiedono come mai loro percepiscano uno stipendio a fine mese senza un giorno di ritardo mentre i dipendenti delle imprese private a causa dei loro ritardi nella corresponsione del dovuto sono costretti a vivere nella costante paura della mobilità o della cassa integrazione? Bisogna che i politici inizino a prendere delle serie decisioni in merito per tutelare l’economia italiana: visto che si parla di rilancio dell’economia, non sarà il caso di iniziare a guardare dentro casa propria? E i giudici, cosa stanno aspettando ad aprire delle sane inchieste che portino a una legittima incriminazione di chi non segue la legge?

Il Presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, dichiara: “siamo ancora lontani dai pagamenti in 30 giorni” ma noi aggiungiamo: non è che si debba dare tempo per adeguarsi con tutta calma a una norma di legge. La PA deve agire immediatamente e, se non lo fa, si deve assumere la propria responsabilità di ordine legale. Un dirigente della PA, un impiegato della PA che decida di prendere tempo o di applicare uno sconto su un debito contratto dal proprio ente deve essere perseguito a norma di legge. Nello stesso modo in cui le singole imprenditrici e i singoli imprenditori vengono perseguiti dallo Stato quando non effettuano i propri adempimenti. Non solo: lo Stato non si può giustificare per le proprie inadempienze, come potrebbe esserlo un povero cittadino con l’acqua alla gola. E non stiamo parlando di chissà quali cifre: ci sono enti pubblici che non pagano nemmeno debiti del valore di poche decine di euro o quando finalmente, dopo essere stati tempestati di richieste da parte del creditore (che quindi spende energie, tempo e ulteriore denaro essendo costretto ad elemosinare quello che è un proprio diritto – vedendosi anche trattato come un pezzente dall’impiegato di turno), si decidono a pagare, si auto-applicano uno sconto di 5 euro non saldando la fattura: una vera vergogna!

I conti li ha fatti proprio Confartigianato, nel suo rapporto: i ritardi costano alle imprese 2,1 miliardi di oneri finanziari e nel 2013, dopo la promulgazione della Legge che impone alla PA di saldare (saldare, non dare un acconto) le fatture entro 30 giorni dalla loro emissione, ben l’83% delle Piccole e Medie Imprese non ha ottenuto alcun riscontro, non ha percepito alcun miglioramento.

Così, sbeffeggiando una norma di legge, anche nel 2013 la Pubblica Amministrazione italiana è stata la più lenta in Europa a pagare le imprese fornitrici di beni e servizi: con una media di 170 giorni ha superato di ben 109 giorni la media europea di 61 giorni e ha superato di ben 140 giorni il limite di 30 imposto dal decreto legislativo n. 192/2012 sui tempi di pagamento entrato in vigore il 1° gennaio 2013 in recepimento della Direttiva 2011/7/UE.

Un record negativo al quale si somma un altro nostro pessimo primato in Europa: l’Italia ha il maggior debito commerciale della PA verso le imprese, pari al 4% del PIL nazionale (Prodotto Interno Lordo dell’Italia intera). Ripetiamo: una vergogna!

Il Rapporto di Confartigianato sull’applicazione da parte della PA della Direttiva contro i ritardi di pagamento, è stato presentato il 31 gennaio dal Presidente di Confartigianato Giorgio Merletti al Vice Presidente della Commissione Europea Antonio Tajani. Nel presentarlo, Merletti ha detto: “il nostro Rapporto dimostra che in Italia il malcostume dei ritardi di pagamento è duro a morire. I ‘cattivi pagatori’ tengono in ostaggio le imprese e rappresentano uno dei principali ostacoli alla ripresa economica. Chiediamo l’intervento della Commissione Europea e del Governo italiano perché i ritardi di pagamento sono un cappio al collo degli imprenditori, ne soffocano le capacità competitive e compromettono le opportunità di rilancio dello sviluppo per il nostro Paese”.

Secondo il nostro parere il Presidente è stato fin troppo gentile nei confronti della PA perché non si tratta di un semplice malcostume di ordine sociologico-culturale: si tratta di un reato che va perseguito perché produce danni indicibili all’intera popolazione italiana.

I ritardi di pagamento degli Enti pubblici – si legge nel Rapporto di Confartigianato – sono costati alle imprese italiane 2,1 miliardi di euro di maggiori oneri finanziari in quanto gli imprenditori sono costretti a chiedere prestiti in banca per finanziare la carenza di liquidità derivante dalle fatture non saldate. Vi sembra poco? Costretti ad indebitarsi pur essendo creditori. Tra l’altro questo significa che si deve fare un bilancio in positivo perché i crediti sono considerati importi all’attivo e dunque non si può nemmeno avere un supporto come azienda in stato di crisi. Una situazione delicatissima che non può non mettere in ginocchio le piccole e medie imprese che costituiscono il 95% delle imprese italiane e dunque l’ossatura portante dell’intero sistema produttivo e lavorativo italiano.

Un altro paradosso tutto italiano? Ai ritardi nei pagamenti si aggiungono i ritardi nell’applicazione dei Decreti sblocca-debiti, varati dal Governo ad aprile e ad agosto 2013 per accelerare i pagamenti alle imprese da parte delle Pubbliche Amministrazioni: al 22 gennaio 2014, infatti, risultano pagati 21.623 milioni, pari al 79,4% dei 27.219 milioni stanziati per il 2013. Le percentuali delle somme effettivamente erogate alle imprese rispetto alle risorse stanziate sono del 94,2% per i debiti dello Stato, scendono all’81,5% per i debiti di Regioni e Province autonome e al 70,2% per quelli di Province e Comuni.

La quota dei pagamenti effettuati cala poi drasticamente per i debiti accumulati dal Servizio Sanitario Nazionale (Asl, Aziende Ospedaliere, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, Gestione Sanitaria accentrata). Secondo il rapporto di Confartigianato, al 22 gennaio 2014 sono stati pagati 6.690 milioni, pari appena al 18,1% dei 36.988 milioni di debiti accumulati dal SSN nei confronti delle imprese fornitrici di beni e servizi.

I pagamenti in 30 giorni imposti dalla legge rimangono un miraggio per le imprese italiane. La conferma arriva anche da un sondaggio Ispo/Confartigianato, condotto tra il 9 e il 15 gennaio 2014 su un campione di artigiani e piccoli imprenditori per misurare ‘sul campo’ il rispetto della legge sui tempi di pagamento in vigore in Italia dal 1° gennaio 2013. 

Dalla rilevazione, contenuta nel Rapporto, emerge che lo scorso anno per l’86% delle piccole imprese il saldo delle fatture da parte della PA è avvenuto ben oltre i 30 giorni imposti dalla normativa.

Complessivamente, nel 2013, l’83% dei piccoli imprenditori che hanno risposto al sondaggio non ha rilevato alcuna accelerazione nei tempi di pagamento degli Enti pubblici. Addirittura – e lo riportiamo in maiuscolo – IL 12% DELLE IMPRESE SEGNALA COMPORTAMENTI ANOMALI DA PARTE DELLA PA DEBITRICE PER AGGIRARE LA LEGGE SUI TEMPI DI PAGAMENTO: AD ESEMPIO, RICHIESTE DI RITARDARE O DI RIEMETTERE LE FATTURE, OPPURE LA CONTESTAZIONE PRETESTUOSA SU BENI E SERVIZI FORNITI DALLE IMPRESE.

Ripetiamo ancora una volta: una vergogna! E una vergogna anche il fatto che tali comportamenti non vengano perseguiti dalla giustizia!

In media, i piccoli imprenditori devono aspettare 143 giorni per riscuotere i crediti dalla Pubblica Amministrazione, vale a dire 113 giorni in più rispetto al termine previsto dalla legge. Tra i settori più penalizzati vi è quello delle costruzioni (guarda caso proprio quello più in crisi): soltanto  il 7% delle imprese viene pagato entro il limite di 30 giorni.

I ritardi dei pagamenti hanno avuto pesanti conseguenze sul 37% degli artigiani e delle piccole aziende. In assenza delle risorse dovute dalla PA:

  • il 10% dei piccoli imprenditori ha dovuto rinunciare ad effettuare investimenti per lo sviluppo dell’impresa, 
  • l’8% è stato costretto a ritardare a sua volta i pagamenti ai propri fornitori, 
  • il 7% ha dovuto chiedere un finanziamento bancario, 
  • un altro 7% ha ridotto le riserve di liquidità d’impresa, 
  • il 6% ha ritardato il pagamento di imposte e contributi,
  • un altro 6% ha ritardato il pagamento dello stipendio ai dipendenti. 

Senza contare che un quarto delle piccole imprese che nel 2013 hanno lavorato per la PA ha subito restrizioni dalle banche proprio a causa dei ritardi di pagamento degli Enti pubblici.

In particolare, gli istituti di credito hanno richiesto maggiori garanzie oppure hanno imposto un aumento del costo delle commissioni bancarie.

Ora chi risarcirà tutti questi danni alle imprese e ai lavoratori?

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