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La riforma della dirigenza della Pubblica Amministrazione italiana

La pubblica amministrazione italiana conta 280 mila dirigenti, pari a uno ogni 11,5 dipendenti ed il loro costo non è certo irrisorio. I dati parlano chiaramente: i super manager percepiscono compensi superiori a 300 mila euro lordi annui. Gli elementi citati hanno dato origine al dibattito “Proposta di riforma della dirigenza della PA centrale” con la presentazione del rapporto “I manager pubblici che vogliamo”, proposta elaborata dal Prof. Giovanni Valotti, ordinario di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche dell’Università Bocconi di Milano.

L’evento, tenutosi presso la Sala polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri di Roma lo scorso 25 marzo, ha toccato più aspetti in modo analitico: il sistema di inquadramento, la natura e la durata del rapporto di lavoro, l’attribuzione degli incarichi, la scelta e la valutazione del personale, la mappatura delle competenze e l’eventuale risoluzione del contratto di lavoro.

Ha presenziato all’incontro il neo Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione Marianna Madia, che così si è espressa: “non è detto che ci saranno dei tavoli con le parti sociali, perché abbiamo tempi molto stretti. Insomma, il confronto con le categorie del pubblico impiego sulla riforma dello Stato può darsi che ci sia, ma non per forza. Quel che è certo è che tutto dovrà avvenire nel modo più rapido ed efficiente possibile, ed esprimo il mio sì alle proposte sulla spending review ed all’aiuto dei confederali per mettere risorse sull’entrata di nuove energie, di ragazzi e ragazze che da troppo tempo non riescono ad entrate in modo sano nella Pubblica Amministrazione”.

Il professore bocconiano, prima che si entrasse nel vivo dei lavori, ha fatto una premessa fondamentale: “il nostro intento non è certo quello di valutare i compensi dei dirigenti italiani, perché su queste situazioni decide il Governo, tema che non è quindi di nostra pertinenza”.

In sintesi, la proposta illustrata, estesa a 2800 dirigenti della pubblica amministrazione, vuole ridurre, nell’arco di dieci anni, il numero complessivo dei manager italiani nella misura del 10%, assicurando poi un cambio generazionale di almeno il 30% di loro. Altro elemento di distacco, dal passato al futuro, prevede che non più del 30% dei dirigenti con lo stesso titolo di studio debbano operare nella medesima amministrazione. Punto focale della proposta è quello del reclutamento di dirigenti secondo nuove logiche, lontane dall’attuale selezione concorsuale. La scelta dei futuri dirigenti dovrà avvenire sulla base della valutazione delle competenze dei candidati, elementi che non devono più essere rintracciati tramite i costosi concorsi pubblici.

Secondo questa proposta, sarebbe opportuno offrire garanzie sui manager da assumere attraverso canali alternativi; ne rappresenta un esempio il sito web “Usa jobs”,su cui compaiono posizioni aperte di tutto rispetto. Già 17 milioni di utenti hanno utilizzato questo portale per individuare eventuali risorse umane. Il cambiamento è importante – prosegue ancora Valotti – perché bisogna garantire alla nostra Pubblica Amministrazione il giusto risalto. “Purtroppo non è un segreto che il sistema amministrativo italiano non goda di una credibilità assoluta, anzi è più opportuno parlare di deficit di consensi, che porta i dirigenti più validi a migrare verso le imprese private”.

Un bravo numero uno si contraddistingue dalla massa se ha ottenuto una patente, una sorta di riconoscimento europeo, come il metodo ESPO, che attraverso una preselezione informatica accerta le conoscenze individuali. Chi supera questo primo step si specializza tramite ulteriori selezioni. La credibilità professionale si conquista, anche, con il trascorrere del tempo; quindi sarà possibile procedere a nuove assunzioni con contratti di durata triennale e, se l’operato del dirigente è riconosciuto su più fronti, si formalizzerà un rapporto a tempo determinato. In caso di valutazione negativa, per i contratti a tempo determinato ci sarebbe la restituzione al Ruolo Unico per l’assegnazione presso altra amministrazione in un periodo temporale di due anni; dopodiché: outplacement .

C’è poi la volontà di creare un sistema di valutazione del dirigente uguale per tutti i ministeri, legato all’incarico svolto durante il triennio. Una pagella che verrà elaborata da valutatori esterni, escludendo così il rischio di facili intromissioni del potere politico. La situazione italiana, infatti, al momento non è poi così cristallina e le assunzioni nella P.A. avvengono anche per le ingerenze dei partiti politici. I relatori auspicano, perciò, che si provveda alla costituzione di un sistema neutrale. Una pubblica amministrazione migliore? Non sarà certo una chimera ma un possibile traguardo che sarà raggiunto con dei correttivi da attuare su più fronti: non sono così da escludere incentivi per le organizzazioni deputate alla formazione di dirigenti virtuosi; la revisione dei modelli organizzativi e la trasparenza, il tutto farcito da una normativa sempre più semplificata.

Paola Paolicelli

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