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Censis: desideri sospesi per famiglie e imprese

censis-rapporto-2014

censis-rapporto-2014Dopo la paura della crisi, è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani. È quanto emerge dal nuovo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2014 del Censis 

di Noemi Roccatani

Le considerazioni generali introducono il Rapporto sottolineando come il Paese viva una profonda crisi della cultura sistemica: nella «società delle sette giare», i poteri sovranazionali, la politica nazionale, le sedi istituzionali, le minoranze vitali, la gente del quotidiano, il sommerso e la comunicazione appaiono come mondi non comunicanti, che vivono di se stessi e in se stessi.

Secondo lo studio, pubblicato dal 1967 e considerato uno dei più qualificati e completi strumenti di interpretazione della realtà socio-economica italiana, anche se molto lentamente, si va facendo strada la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle (lo pensa il 47% degli italiani: il 12% in più rispetto all’anno scorso), tuttavia ora è l’incertezza a prevalere. Non a caso, la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo, di contante e depositi bancari. Prevale un cash di tutela, con il 44,6% delle famiglie che destina esplicitamente il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d’ordine è: soldi vicini per ogni evenienza.

Si è dinanzi a microstrategie massificate di risposta adattiva a quella incertezza che tutto pervade, laddove risultano coinvolte dalla crisi anche famiglie che in passato erano rimaste illese. La crisi economica ha diffuso in Italia “una percezione di vulnerabilità” tale da far ritenere al 60% degli italiani che a chiunque possa capitare di finire in povertà, “come fosse un virus che può contagiare chiunque”. La reazione è un “attendismo cinico”, per cui non si investe e non si consuma, il contante è considerato una tutela necessaria e prevale la filosofia del “bado solo a me stesso”.
Dalla vulnerabilità le famiglie sentono di doversi proteggere da un lato tenendo disponibili per ogni evenienza, ‘pronto cassa’; dall’altro, abbattendo i costi di acquisto di beni, servizi e prestazioni. In tale contesto, il sentiment generale delle famiglie (29,2%) si riassume con poche parole: incertezza, inquietudine, ansia.  L’attendismo cinico degli italiani si alimenta anche della prosaica convinzione che in fondo ci sono alcune varianti nei processi sociali quotidiani che con la crisi finiscono per patologizzarsi.

Massimiliano Valeri, direttore di ricerca e responsabile della comunicazione del Censis, espone i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno, descrivendo una società satura dal capitale umano “inagito” e “dissipato”, in cui conta quasi 8 milioni di individui non utilizzati: 3 milioni di disoccupati, 1,8 mln di inattivi e 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. Spreco del capitale umano non utilizzato visibile soprattutto nel fenomeno dell’overeducation, cioè occupati sotto inquadrati, che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto; una dissipazione che si esprime  in particolare nelle giovani generazioni  Le parole che il Censis usa sono dure: “Siamo un paese dal capitale inagito. Sia per le famiglie sia per le imprese.

Serbatoio umano non utilizzato, non solo, l’Italia è anche il Paese dal capitale inagito su cui grava un meccanismo di sospensione delle aspettative. Nel 2013 si è registrato il valore più basso degli investimenti, a prezzi costanti, degli ultimi tredici anni. Eppure, a una così accentuata flessione delle spese produttive, determinata dalla recessione in atto e dalle aspettative negative, non è corrisposto un peggioramento di eguale portata dei conti delle imprese e un proporzionale prosciugamento di risorse liquide. Dal 2008 a oggi, il margine operativo lordo delle imprese si è mantenuto elevato e a tratti crescente. Questa discrasia tra risorse disponibili e ciclo declinante delle spese produttive non ha precedenti e appare anche inutile cercarne le cause nel razionamento del credito, ovvero nel presunto atteggiamento eccessivamente prudente del sistema bancario, visto che è in calo la stessa domanda di provvista finanziaria, mentre crescono le risorse liquide disponibili delle imprese.

Seppure primo Paese al mondo nella graduatoria dei siti Unesco, l’Italia dal capitale inagito si vede anche dal patrimonio culturale che non produce valore. Con un numero di lavoratori nel settore di 304.000 (1,3% del totale), pari alla metà di quello del Regno Unito (755.000) e della Germania (670.000) e di gran lunga inferiore rispetto alla Francia (556.000) e anche della Spagna (409.000), nel 2013 il settore della cultura produceva un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia) e pesava solo per l’1,1% su quello totale del Paese – meno che negli altri Paesi europei. Mentre le principali economie europee, ad esclusione del Regno Unito, hanno registrato dal 2007 un significativo sviluppo del settore, sia in termini occupazionali che economici.

Da dove vengono i segni di vitalità? C’è una cosa che all’estero piace: l’italian way of life, per cui l’Italia è la quinta destinazione turistica al mondo ed è aumentato l’export delle quattro A: alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione.
Un formidabile ambasciatore del brand Italia è poi rappresentato dall’enogastronomia italiana e del made in Italy agroalimentare, che rappresenta la voce più dinamica dell’export. In questo contesto di insicurezza, il rischio che il Censis paventa è che ci sia una “deflazione delle aspettative” che non può che portare attendismo, cinismo, egoismo, il “basto solo a me stesso”, lo sfilacciamento dei legami comunitari.
E a proposito di legami comunitari, dai dati dell’ultimo rapporto sulla comunicazione emerge che gli utilizzatori dei nuovi media rappresentano quote sempre più ampie di popolazione e crescono con un ritmo decisamente accelerato. A fronte del 63,5% di italiani che utilizzano internet, gli utenti dei social network sono il 49% della popolazione e arrivano all’80% tra i più giovani. Una delle attività più praticate nella fruizione attiva dei social consiste nell’upload di foto e video personali, per esempio in Italia sono circa 4 milioni gli utenti che utilizzano Instagram, dove il 58% dei contenuti condivisi al giorno nel mondo sono autoritratti fotografici, i cosiddetti selfie. La pratica del selfie diviene così l’evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisisticamente piuttosto che strumenti attraverso cui scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé. Non è contraddittorio così, il dato che emerge da una rilevazione del Censis secondo cui la solitudine è oggi una componente strutturale della vita delle persone

de-ritaDice il presidente del Censis Giuseppe De Rita: “Questo è un Paese che ha capitale e non lo sa agire. Ha soldi, capitali nelle imprese, persone, patrimonio culturale e non lo sa agire perché non ha aspettative e motivazioni. Il capitale inagito è la cosa più angosciante che c’è in Italia. Abbiamo il capitale ma non lo movimentiamo perché oggi nessuno sa interpretare e orientare le aspettative. C’è dal un lato un adattamento alla mediocrità – si dice che intanto “si regge” e il reggere è mediocrità – e dall’altra c’è una fuga in avanti per tentare di evitare che la gente capisca che non ci si muove. Questo doppio movimento aumenta la molecolarità del sistema, l’egoismo, l’uno per sé Dio per tutti, l’incapacità di avere concezione che il sistema Italia funziona. Ognuno va per proprio conto. La società liquida ha liquefatto il sistema”.

 

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