Diritti

Il diversity management… che non c’è

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stretta-di-manoTante le imprese che si vantano di valorizzare le diversità, come il fatto di essere donna, o aver acquisito esperienza, o essere di un’altra nazionalità, ecc. In realtà un’inchiesta della SDA Bocconi di Milano rileva che solo un’impresa su tre lo fa

Un tema centrale nelle dichiarazioni di principio delle imprese italiane che resta una dichiarazione e basta. Nella pratica, niente da fare: “solo il 34% dei 500 lavoratori intervistati dichiara che l’azienda in cui lavora ha un ufficio o un dipartimento che si occupa di diversity management e solo il 27% riconosce un sistema di politiche, pratiche o procedure dedicate al tema”, afferma Simona Cuomo, la coordinatrice del laboratorio. Non solo: il 40% di questi non è poi in grado di portare almeno un esempio.

Ma cos’è esattamente o cosa dovrebbe rappresentare il Diversity management? Si tratta dello sviluppo e della gestione delle risorse umane (dunque del personale) attraverso la valorizzazione delle differenze dei singoli individui. Possono essere differenze primarie, ovvero tutte quelle caratteristiche proprie della persona che non possono essere modificate – come l’età, il genere, l’origine etnica, le competenze mentali – oppure differenze secondarie, ovvero tutto ciò che può essere modificato nel corso del tempo – come il percorso formativo e professionale, l’esperienza, il ruolo in un’organizzazione o il reddito e la collocazione geografica.
In particolare, la VI Edizione dell’Inchiesta sul Diversity Mangement è stata realizzata dal Diversity Management Lab della SDA Bocconi School of Management, il laboratorio che si occupa della gestione della diversità in senso lato: di genere, età, orientamento sessuale, carichi famigliari, tipologia del contratto di lavoro, ecc.
Le risposte ottenute dimostrano che la strada da fare è ancora veramente molta in Italia, anche in tema di bilanciamento tra vita privata e tempi di lavoro. Infatti, appena il 24% degli intervistati riconosce pratiche aziendali che considerano questo rapporto e, confrontando i dati con quelli del passato, “non si rilevano particolari miglioramenti: gli strumenti di gestione dei tempi” afferma la ricercatrice Chiara Paolino “sono ancora legati al totem della presenza fisica. Il part-time, quando è presente, vira quasi tutto al femminile, aggiungendo quindi stigma allo stigma”.

E torna ancora una volta la “penalizzazione della gravidanza”. Infatti, se è vero che le politiche per la maternità sono più diffuse di quelle per la paternità (51% vs. 36% dei lavoratori le riconoscono nella propria azienda), il fatto di avere bambini penalizza di gran lunga di più le donne che gli uomini. Nella percezione degli intervistati, le probabilità di assunzione o promozione di un uomo non cambiano a seconda del fatto di avere o non avere bambini, mentre la maternità, per una donna, le cambia eccome, ovviamente in negativo.

Se poi la donna ha anche superato i 55 anni, la penalizzazione di genere si somma a quella di anzianità. Come spiegano i ricercatori, lo stigma più forte risulta essere l’anzianità (definita, ai fini della ricerca, come un’età superiore ai 55 anni), che pesa ancora di più se si sovrappone allo stigma di genere. “In una scala da 1 a 7, dove 7 equivale a estremamente probabile”, spiega il ricercatore Stefano Basaglia, “la probabilità che un uomo anziano venga assunto si ferma a 3,53, la probabilità della donna si ferma a 2,99; la probabilità che un uomo anziano venga promosso è 4,26, la probabilità della donna si ferma a 3,92”.

L’inchiesta rileva, infine, che la gerarchia aziendale determina notevoli differenze di percezione. “Gli impiegati si sentono meno inclusi rispetto ai dirigenti” afferma la ricercatrice Zenia Simonella, “i dirigenti sentono un maggiore conflitto tra vita privata e lavoro – indipendentemente da genere ed età. Chi è arrivato al vertice ed è entrato nell’élite organizzativa ritiene che il sistema sia equo e che comporti necessarie rinunce nella vita privata”.
Ma il fatto che lo ritenga non significa, ovviamente, che sia giusto. (D.M.)

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