COMUNICAZIONE

Rete: serva o padrona?

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Ovvero come le tecnologie telematiche della comunicazione intervengono e trasformano il tempo libero e quello del lavorativo

di Americo Bazzoffia, libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata

Nell’epoca postindustriale, l’elettronica, i nuovi materiali, le fibre ottiche, i laser hanno conferito alle macchine una duttilità, un’intelligenza ignota ai grandi opifici manifatturieri dell’epoca industriale ottocentesca e novecentesca. Oggi è possibile delegare all’automazione e all’informatica migliaia di mansioni faticose, rumorose, pericolose che prima inchiodavano il lavoratore a tempi precisi e a luoghi separati dalle abitazioni. Non solo: oggi con le possibilità offerte dalla telematica dove scienza e tecnologia tendono ad unificare metodologie e tecniche delle telecomunicazioni e dell’informatica è possibile realizzare il trasferimento a distanza delle informazioni e delle elaborazioni in assenza di una compresenza fisica umana. Tutto ciò modifica profondamente non solo il modo in cui si producono merci e servizi, non solo modifica i processi di commercializzazione delle merci o il mercato del lavoro, ma sta avvenendo una rivoluzione profonda – straordinaria e perversa allo stesso tempo – che modifica la nostra percezione del tempo libero e del tempo del lavoro, modifica il modo di concepire i trasporti, modifica le infrastrutture mentali e fisiche dei luoghi in cui viviamo e lavoriamo ridefinendone i confini, infine è talmente pervasiva e profonda – forse addirittura viscerale – che modifica anche il modo con cui ci relazioniamo. 

Forse si potrebbe arrivare a definire la pervasività della rivoluzione che stiamo vivendo come capace perfino di modificare la fisiologia umana (con le moderne piattaforme telematiche si fanno sempre più insistenti studi che dimostrerebbero un aumento delle sinapsi nelle giovani menti).

donna-telelavoroÈ la prima “rivoluzione telematica”, rievocando con questa terminologia il legame con le grandi trasformazioni avvenute con le grandi “rivoluzioni industriali” del passato. Il primo elemento che la contraddistingue è certamente la trasformazione del modo di lavorare e la progressiva espulsione dal mercato del lavoro di persone operanti nel terziario (oggi un sistema di “home banking” o di “assicurazioni on-line” sostituisce quattro impiegati di sportello, fornisce prestazioni 24 ore su 24, e non fa nemmeno un giorno di sciopero). È quindi andando a scrutare nel mondo del lavoro e del relativo tempo libero che è più evidente quanto le tecnologie della comunicazione ci stiano trasformando.

Possiamo affermare che solo un numero decrescente di mansioni – dalle catene di montaggio metalmeccaniche ai call center telefonici – restano di natura parcellizzata, fisica, ripetitiva, che richiede un luogo preciso e un tempo preciso per l’esecuzione. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavori inumani, non ancora automatizzati ma fortemente e fortunatamente minacciati dalla progressiva automazione, che prima o poi li trasferirà ai robot e ai sistemi informatici e telematici liberando gli operatori in carne ed ossa.
Le restanti mansioni di natura intellettuale richiedono duttilità, flessibilità, intelligenza, professionalità, creatività, doti squisitamente umane. Alcune di esse (come, ad esempio, quelle chirurgiche o infermieristiche) ancora richiedono la compresenza fisica di tutti i soggetti implicati (anche se in questi casi le sperimentazioni di tele-medicina stanno dimostrando grandi potenzialità). Altre consentono una parziale separazione tra l’attore e il destinatario (come quando un attore recita in televisione). Altre, invece, non richiedono alcuna interazione tangibile tra i vari soggetti implicati, possono essere prestate a distanza e sono abbastanza indifferenti al tempo in cui vengono eseguite. Così, ad esempio, è del tutto inutile che un giornalista si rechi in ufficio per scrivere un articolo, è sufficiente che spedisca alla redazione, per posta elettronica e in tempo utile, il suo articolo.

La trasformazione del nostro modo di relazionarsi con il mondo e di lavorare è avvenuta in modo talmente rapido ed inesorabile che ormai telelavoriamo e non ce ne accorgiamo. Intorno a noi – per strada, nei treni, nei ristoranti, negli aeroporti, sulle spiagge – c’è gente incollata al cellulare, che fa e riceve telefonate professionali, ascolta informazioni, naviga in internet, chatta, invia e riceve immagini e video, prende e trasmette decisioni, comunica consulenze, compra e vende merci, assume e licenzia persone, intrattiene pubbliche relazioni, intreccia lobby.
Questi moderni lavoratori, armati di computer, o di tablet o di cellulare, telelavorano senza accorgersi di essere dei telelavoratori.
Alla base di questa grande rivoluzione esistenziale, che rimescola le carte del lavoro e del tempo libero facendone un tutt’uno dove è difficile dire quando finisce l’uno e quando inizia l’altro, vi sono le nuove tecnologie, la globalizzazione, la scolarizzazione di massa.

I lavori di natura prevalentemente fisica, parcellizzata, ripetitiva, come quello del minatore o del tornitore, richiedono mezzi di produzione (la miniera, il tornio, ecc.) pesanti, ingombranti, fragorosi, nettamente separati dalla mente del lavoratore. Quando suona la sirena di fine turno, il lavoratore abbandona il suo luogo di lavoro e si separa dai suoi strumenti di produzione. Anche se volesse, non potrebbe continuare a lavorare durante il tempo libero. Invece i lavori di natura prevalentemente intellettuale, flessibile, creativa, richiedono come strumento di lavoro il cervello del lavoratore, con il semplice e leggero supporto di un cellulare e di un computer portatile.
Quando il giornalista, l’informatico, il pubblicitario, il manager ma anche l’impiegato che utilizza la rete e il computer per svolgere le sue mansioni, escono dai loro uffici, portano con sé il cervello nella propria testa, il cellulare nella propria giacca, il tablet o il computer nella propria borsa. Tutti i loro strumenti di produzione restano con loro notte e giorno, ovunque essi si spostino. Se la loro mente è assillata da un problema di lavoro, l’assillo li perseguiterà anche mentre mangiano, amano, dormono, e l’idea risolutiva potrà scattare ovunque e in qualsiasi momento: mentre fanno la doccia, mentre guardano un film, nel dormiveglia e persino mentre dormono. Per la maggioranza dei cosiddetti knowledge workers il lavoro è spalmato su tutto il tempo, dovunque ed ovunque. Per essi l’orario di lavoro, la separazione tra casa e ufficio, tutto l’inutile rituale dei controlli all’entrata e all’uscita delle aziende appartengono a una liturgia obsoleta, inutile, costosa, sadica, demotivante che serve solo a ridurre il senso di appartenenza dei professionisti nei confronti dell’impresa, a demotivarli, ad assicurare i posti di lavoro a un esercito controproducente di guardiani, di contabili e di addetti al personale.

Insomma, il lavoro ha cambiato anima e corpo. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione come il telefonino, il computer ed internet, con una potenza e una pervasività straordinaria, riescono a insinuarsi ovunque e a scardinare i vincoli di tempo e di spazio che ci eravamo abituati a rispettare, ormai automaticamente, introiettandoli fino a farne i nostri bioritmi naturali.
Vi sono lavoratori che, sotto l’urto delle nuove tecnologie, oltre a lavorare in ufficio, sono raggiunti sempre e dovunque dai capi, dai colleghi, dai clienti e lasciano che la propria vita privata sia invasa dal lavoro senza esigere né il pagamento del tempo straordinario, né una revisione contrattuale delle vecchie regole industriali che regolavano luoghi e tempi delle prestazioni. Questi, di fatto, sommano il telelavoro al lavoro e, prima o poi, prendendo atto del doppio sfruttamento cui sono sottoposti, rivendicheranno l’adozione del telelavoro come unica forma di prestazione. Ciò che viene temuto è che la cultura aziendale possa diluirsi nella cultura sociale, che lavoro e vita possano mescolarsi in una mistura creativa ed esuberante dove la produzione di ricchezza, la produzione di sapere, la produzione di allegria e la produzione di senso si intreccino e si confondano superando, la separazione tra i diversi mondi vitali in cui transitiamo. La telematica asservita all’uomo può quindi liberarlo e renderlo più felice ? Forse sì, e il progresso può essere bellezza.
C’è però un rovescio della medaglia di questa affascinante e straordinaria commistione tra tempo libero e lavoro attraverso le moderne tecnologie telematiche – che ci racconta Federico Rampini in “Rete Padrona” infatti “se il tempo di lavoro spesso è impoverito dalle distrazioni” – offerte dalla rete e dalla interconnessione continua con il mondo – “il tempo libero (la sera, i weekend, le vacanze) è invece invaso da messaggi di lavoro. […] Addirittura in Cina tengono il cellulare acceso al cinema e non solo per leggere i messaggini, ma per conversare animatamente”. A tal proposito, nella società stanno nascendo dei movimenti di pensiero che si oppongono a tutto ciò, che considerano la telematica invasiva e padrona della nostra esistenza. E’ il caso di William Power, autore del saggio “Hamlet’s BlackBerry”, che conduce una campagna per convincerci a ritornare padroni di noi stessi. L’autore sostiene infatti che nel bombardamento di messaggini, sms, e-mail, chat, cinguettii, ecc., stiamo perdendo profondità, serenità oltre che efficienza. Ma come è possibile rallentare in una società che corre ? Come è possibile rimanere in silenzio in una società che comunica continuamente ? E poi, a che serve l’orologio ? A niente, se nessun altro ce l’ha oltre a te…

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