Campagna antiviolenza

E ora parliamo di uomini: insieme contro il femminicidio

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Il giornalista e scrittore Riccardo Iacona si rivolge al mondo maschile al convegno contro la violenza sulle donne organizzato a Roma da Telefono Rosa. Gli interventi di Lucia Borsellino e della vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli

di Amelia Vescovi, giornalista

È stato fra i primi a dare il la alla partecipazione degli uomini nella crociata contro la violenza di genere, cercando di scuotere le coscienze di chi finora era rimasto a guardare come si erano adoperate le donne per sconfiggere la piaga del femminicidio. Riccardo Iacona, autore di “Se questi sono gli uomini”, un libro che parla dell’Italia come del Paese delle stragi silenziose, quelle delle donne uccise da compagni ed ex compagni di vita con un doppio obiettivo: quello immediato di ridurre al silenzio la donna che ha osato ribellarsi, e quello più strategico di negare alle donne la libertà di scegliere. 

Nell’ambito del convegno “Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse”, organizzato dall’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa – Onlus, all’Auditorium della Conciliazione di Roma lo scorso 25 novembre, il giornalista e scrittore si è rivolto al pubblico di studenti delle scuole superiori rimarcando che è proprio in mezzo a loro che si possono trovare le soluzioni per il femminicidio, fenomeno che in Italia continua a mietere più vittime della morte per tumore. Sono sei milioni e 788mila le donne italiane fra i 16 e i 70 anni che fra il 2009 e il 2014 sono state vittima di violenza almeno una volta nella loro vita (Istat).
“Un dato drammatico che delinea lo stato del nostro Paese. Credo sia obbligo di un giornalista scavare dentro questa violenza che io definisco endemica, perché come una malattia attraversa tutta l’Italia, di recente in particolare il Centro-Nord, e colpisce ogni strato sociale” dichiara Iacona.

Sono centinaia le donne uccise ogni anno e, contrariamente a quanto spesso si pensa, non si tratta del tragico epilogo di storie d’amore. In realtà la maggior parte delle donne sono state uccise anche molto tempo dopo la separazione da quello che è poi diventato il loro assassino. In molti casi l’ex partner si era addirittura ricostruito una vita con un’altra donna. Il gesto assume allora una connotazione ben distante da quello che erroneamente viene siglato come “delitto passionale”: l’assassinio rappresenta la punizione per la donna che ha liberamente scelto di separarsi, che ha rifiutato di vivere nella sottomissione ad un uomo che non amava e stimava più. Riccardo Iacona le chiama “vittime di libertà”: “punite perché volevano essere libere, e spesso uccise pubblicamente, in mezzo alla strada, davanti ai luoghi di lavoro, sotto gli occhi dei familiari.” Orrende esecuzioni plateali in cui l’assassino vuole dimostrare in pubblico di esercitare ancora una forte supremazia sulla donna che lo ha lasciato con l’illusione di essersi resa indipendente. Nulla a che fare con l’amore e la passione.

Secondo Iacona per contrastare la violenza di genere occorre restituire alle donne la libertà, che è soprattutto libertà di scelta. Poter scegliere come realizzarsi, al pari degli uomini. E la rivoluzione deve partire dai banchi di scuola, attraverso corsi di educazione non solo sessuale, ma anche sentimentale, su modello di quelli avviati in Francia. Imparare a relazionarsi come due soggetti ugualmente liberi, per ristabilire un equilibrio nella società. Ed oltre alla forma mentis, occorre promuovere quelle che Iacona definisce “bonifiche attive” per riconsegnare il potere alle donne, come l’applicazione delle quote rosa in politica e nei centri decisionai, anche per portare innovazione di idee e contenuti in ogni ambiente di lavoro.

Ancora molto difficile da risolvere la questione della profonda discrasia fra il numero di vittime di femminicidio e quello delle denunce effettuate, motivato principalmente dalla paura delle donne di subire ritorsioni da parte del loro persecutore. Non sono rari i casi di donne uccise proprio a seguito della denuncia di violenza, o di donne che sono state ridotte al silenzio mentre era appena stato avviato il processo contro il loro aggressore. Donne che non si sentono ascoltate a sufficienza dagli organi che dovrebbero garantire tutela, e che si rassegnano a considerare il femminicidio come un crimine che quasi sempre resta impunito.

Dal 2011, con l’approvazione della Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta contro la violenza di genere ed in particolare quella domestica, sono stati finalmente considerati reati la violenza psicologica, gli atti persecutori, le molestie sessuali, che rappresentano spesso l’anticamera di delitti più drammatici e irreversibili, e sono state elevate alcune pene, ad esempio per chi commette omicidio di donne incinte o di fronte ai figli. Eppure le donne non si sentono ancora libere di denunciare i loro aguzzini.
“In Sicilia il 23% delle donne ha subito violenza” ha dichiarato durante il convegno Lucia Borsellino, figlia del Giudice vittima della mafia nel 1993, Responsabile dei lavori per Agenas – Tavolo congiunto Ministero della Salute Anac – Agenas, “ma solo una su quattro ha il coraggio di denunciare”. A sporgere denuncia sono in genere donne che hanno subito violenza fuori dalle mura domestiche, mentre restano silenti quelle che sono state maltrattate dai familiari.

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“Quando la violenza avviene dentro casa, le prime vittime sono i figli” spiega Luisa Rizzitelli di Telefono Rosa. “I ragazzi possono diventare, da adulti, artefici di violenza, mentre le ragazze sono votate al ruolo di vittima”.

Nel 2014, in qualità di Assessore alla Salute, Lucia Borsellino ha promosso il Codice Rosa in ospedale: prestazione immediata di cure mediche e sostegno psicologico alle donne e ai minori vittime di violenza. Non solo accoglienza ed intervento, ma anche tutela, secondo il principio della cosiddetta medicina di genere, basata sul rispetto delle differenze.

E di valore della differenza ha parlato la Vice Presidente del Senato della Repubblica, Valeria Fedeli, che ha presentato l’emendamento che introduce l’educazione alla parità di genere anche come forma di prevenzione della violenza sulle donne: “dobbiamo costruire una cultura di relazione fra ragazze e ragazzi nel nome del rispetto. Sarebbe sufficiente studiare la costituzione ed attuarla, a cominciare dall’articolo 3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge)”.
Per questo abbiamo bisogno di una rivoluzione copernicana, come la definisce Riccardo Iacona, in cui uomini e donne devono lavorare fianco a fianco. Proprio come le ragazze e i ragazzi che ogni anno partecipano al concorso video lanciato da Telefono Rosa sul tema della violenza sulle donne: mentre ai primordi pervenivano lavori realizzati esclusivamente da ragazze, che nei video amatoriali si travestivano all’occorrenza da maschio, nel 2015 non solo sono stati proiettati video che celebrano una collaborazione all’insegna delle pari opportunità, ma addirittura in uno dei filmati a vestire il ruolo dell’operatore di Telefono Rosa è un ragazzo. Applaudito.

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