COMUNICAZIONE

La “natura morta” della comunicazione pubblica

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È giunto il momento di tracciare una linea di confine tra comunicazione pubblica e comunicazione politica oppure la comunicazione pubblica sembrerà sempre di più un quadro “di genere”: decorativo e poco utile

A cura di Americo Bazzoffia, libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata

La definiscono in molti modi: comunicazione pubblica, comunicazione di interesse pubblico, comunicazione di servizio, comunicazione di pubblica utilità ma è sempre quella comunicazione spesso “di genere”, spessissimo inefficace e un po’ opaca, che le istituzioni “dovrebbero” effettuare ai sensi della Legge 150 del 2000 per fornire informazioni, aggiornamenti e indicazioni utili ai cittadini e alle aziende su questioni legate all’attività amministrativa dell’organismo pubblico che la emana o su temi legati all’interesse generale del Paese e del territorio.

Perché definisco in questo articolo la comunicazione pubblica una comunicazione “di genere”? Perché sostanzialmente, soprattutto se la si confronta con i corrispettivi internazionali europei e soprattutto anglosassoni (penso a Stati Uniti e Australia), ci si accorge facilmente che la comunicazione delle istituzioni pubbliche italiane assomiglia a quei “quadri di genere cinquecenteschi” – spesso “nature morte” – nati per compiacere un pubblico dal gusto medio con scene di genere decorative e graziose (vasi di fiori, cesti di frutta, gesti di vita quotidiana) ma di scarso valore.
La comunicazione di pubblica utilità assomiglia proprio a questo generi di quadri: decorativa, graziosa, ma di scarsa utilità.

comunicazione-pubblicaInvece di concentrarsi su un linguaggio capace di essere efficace sui target di riferimento, la comunicazione pubblica italiana spesso si concentra a creare una comunicazione “carina” che possa mettere tutti d’accordo (soprattutto il mondo politico), che non riceva critiche, che in qualche modo non sia accusabile di essere uno sperpero di denari pubblici. In realtà il vero spreco si annida proprio nella creazione di una comunicazione “di genere” gradevole ma che non porta risultati. Lo spreco è quando si realizza una comunicazione inefficace, inefficiente ed incapace di essere percepita, memorizzata, e ascoltata per attivare quei comportamenti virtuosi per cui dovrebbe essere progettata.

Per migliorarla basterebbe potenziare (o drammaticamente effettuare) ex ante ed ex post delle mirate ricerche sulla comunicazione pubblica che si intende realizzare e che si è realizzata, misurandone con la maggiore vicinanza possibile effetti e distonie rispetto agli obiettivi strategici che ci si prefigge.
Certamente la mancanza di una vera concorrenza, la progettazione di una comunicazione fondata su obiettivi generici e la riduzione dei budget in questo settore non aiutano a realizzare una comunicazione di interesse generale davvero utile. Ecco allora che invade, supplisce, usurpa la comunicazione pubblica la comunicazione politica.
Come ha recentemente affermato Stefano Sepe, componente il Comitato Scientifico di “Compubblica”, all’incontro “Comunicazione di immagine e comunicazione pubblica: il principio di servizio” a COM.Lab 2015, “Abbiamo forse un eccesso di comunicazione politica cui si oppone un deficit di comunicazione di servizio, e non parlo solo di oggi poiché risale a tempi piuttosto lontani, perché prevale. […] È ontologicamente un rapporto sbilanciato. Oggi la comunicazione politica prevale perché ha bisogno di un consenso esplicito e manifesto, gioca quindi sull’immagine, mentre l’attività di un’Amministrazione pubblica non ha questa esigenza perché il consenso nei suoi confronti se lavora bene deriva dai fatti. Può verificarsi una conflittualità aperta o sotterranea tra chi fa comunicazione politica e chi fa comunicazione di servizio, parlo dello stesso segmento, all’interno di un Ente o Istituzione, ma può anche esserci un gioco delle parti”.

Per la politica, quella becera, quella che vede la cosa “pubblica” come cosa “propria”, può non essere così sostanziale realizzare una comunicazione pubblica efficace e distinta dalla comunicazione politica, ma non è così.
La comunicazione delle istituzioni è, per sua natura, esplicita espressione delle istituzioni e punta a soddisfare bisogni, fornire informazioni corrette e trasparenti, dare indicazioni di utilità pubblica, promuovere comportamenti e azioni virtuose di cittadini e aziende affinché si tutelino e salvaguardino se stessi e gli altri. Non deve generare consenso e portare voti, non deve creare adepti, non deve dare una univoca visione del mondo e dei fatti, a tutto ciò deve pensarci la comunicazione di propaganda politica pagata e gestita dai partiti.
La comunicazione di pubblico servizio non deve essere né di immagine e neppure politica, né generica e neppure particolaristica: deve essere di relazione, di trasparenza, di utilità e servizio a cittadini e imprese. Quindi la comunicazione politica non è e non può essere considerata né superiore né inferiore alla comunicazione di servizio, ma semplicemente diversa per funzioni, per protagonisti e soprattutto per casse da cui escono i denari per realizzarla.

Leggendo e guardando manifesti, comunicati stampa e siti web, spessissimo si rintraccia una assenza di reale comunicazione di servizio delle istituzioni, usurpata da una becera comunicazione politica senza contenuti ed utilità, in cui addirittura a volte si rintraccia come unico obiettivo quello di utilizzarla strumentalmente per contrastare critiche, dissuadere e scoraggiare azioni di dissenso, quando non si arriva perfino a denigrare e delegittimare antagonisti politici.
Da più parte ci si duole di questa condizione che danneggia le istituzioni pubbliche e, alla fin fine, non è utile né ai cittadini né alle imprese – ed in ultima istanza non è utile nemmeno alla politica.

Occorrerebbe tracciare una netta linea di distinzione tra comunicazione istituzionale e comunicazione di indirizzo politico delle istituzioni. Tutto ciò si ritiene possa essere effettuato: affidando compiti e ruoli specifici; distinguendo in modo netto il ruolo di portavoce da quello del comunicatore pubblico; attuando modalità di comunicazione che siano di facile comprensione per il cittadino e che distinguano con inequivocabile evidenza la comunicazione di indirizzo politico dalla comunicazione istituzionale; definendo piani di comunicazione e risorse distinti e non sovrapponibili e confusi; attuando test ex ante ed ex post per misurare gli effetti della comunicazione delle istituzioni.
La necessità di una distinzione è non solo utile, ma necessaria per far superare lo stallo della comunicazione pubblica a mera “natura morta”, decorativa e poco utile. Occorre che tutte le forze in campo – politica e istituzioni – svolgano il loro ruolo in sinergia, con competenza e serietà, senza sovrapposizioni, elusioni o usurpazioni reciproche.

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