Pari opportunità

Pensioni: alle donne 6.000 euro l’anno di meno

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L’Istat ha confrontato gli assegni delle pensioni degli uomini con quelli delle donne e ha riscontrato una differenza in base al genere che non ha giustificazioni, come andiamo ripetendo ormai da anni

Sui 16,3 milioni di pensionati totali del 2014, il 52,9% sono donne. La media del reddito pensionistico lordo è stata, nell’anno considerato, pari a 17.040 euro. Ma se andiamo a scomporre la media in base al genere, vediamo che alle donne competono 6.000 euro l’anno in meno. Se gli uomini ricevono pensioni lorde pari a 20.135 euro, le donne si fermano a 14.283 euro. Ad effettuare i calcoli e rilevarlo è stato il nostro Istituto statistico nazionale, nel suo Focus sulle “Condizioni di vita dei pensionati”, che ha anche messo in luce il calo del numero di pensioni erogate (soprattutto quelle di vecchiaia): nel 2014 ne sono state conferite 134.000 in meno, ma con un aumento medio di 400 euro rispetto al 2013.

Le pensioni, ricordiamolo, sono tassate come ogni altro reddito. Nel 2013 le ritenute fiscali incidevano mediamente per il 17,7% (quelle di vecchiaia sono tassate al 20,6%, quelle di reversibilità al 15,3%, quelle di invalidità al 9,6%).
Il reddito annuale medio netto è di 13.647 euro, ovvero 1.140 euro al mese ma la metà dei pensionati percepisce 1.045 euro mensili.
Chi va in pensione oggi percepisce meno di chi ci andava ieri dunque: 13.965 euro l’anno contro i 15.356 delle pensioni cessate. E le donne percepiscono sempre meno. Anche se – spiega l’Istat – molte di loro cumulano più trattamenti pensionistici e pesano di più sulle casse dello Stato in quanto vivono più a lungo…

Essere longeve diventa quindi un peso per lo Stato e l’Istat spiega che quasi 3 pensionate su 10 (udite udite) hanno più di 80 anni e le ultranovantenni sono nientemeno che il 6% dei pensionati! E a questa gara a chi muore prima per far risparmiare denaro ai contribuenti viene considerato che gli ultranovantenni uomini sono solo il 2,4% (e il 19,2% gli ultraottantenni). Perdonateci il sarcasmo ma speriamo che il Governo non decida di prendere provvedimenti drastici al riguardo.

Lo studio può far guadagnare di più, sia durante la vita lavorativa, sia durante quella pensionistica, visto che i pensionati laureati hanno un reddito più alto, oltre il doppio rispetto a quelli senza titoli di studio o con la sola licenza elementare. Chi non ha studiato prende in media 1.130 euro al mese; chi ha una laurea prende in media 2.490 euro al mese.

In Italia le famiglie con almeno un pensionato sono 12milioni e 400mila. E sono proprio i redditi dei pensionati a rappresentare le entrate economiche che sostengono tutta la famiglia. È così per il 63,2% delle famiglie italiane, per le quali il 75% delle entrate sono rappresentate dai redditi pensionistici.
Così, se il reddito medio netto delle famiglie con pensionati è pari a 28.480 euro l’anno, inferiore di 2.000 euro a quello delle famiglie senza pensionati (che è di 30.400 euro l’anno), spetta proprio agli anziani evitare che la propria famiglia cada nella povertà. Come dichiara l’Istat, un pensionato in famiglia “mette al riparo da situazioni di forte disagio economico”.
Insomma “è grazie ai pensionati se le famiglie italiane sono riuscite a superare la crisi di questi anni”, ha commentato Gigi Bonfanti, Segretario generale della FNP-CISL. “Ma rimane elevato comunque il rischio di povertà per gli anziani che vivono soli”, che sono il 22,3%.

E se la CISL ritiene necessario un intervento governativo per scongiurare il rischio di povertà degli anziani, anche la UIL, altro sindacato confederato, ritiene ne ritiene necessario uno, per eliminare la disparità di trattamento pensionistico tra uomini e donne.
Il segretario confederale della UIL, Domenico Proietti, ha ricordato che nel 2016 per le lavoratrici dipendenti del settore privato scatta l’aumento dell’età pensionabile di 22 mesi, che passa a 65 anni e 7 mesi. E, contemporaneamente, sempre da gennaio di quest’anno, viene abbassato l’importo della pensione al fine di “ridistribuire su un più lungo periodo di vita il montante previdenziale maturato”.
Secondo l’elaborazione del Servizio politiche previdenziali della UIL, “se si considerano 2 lavoratori che hanno iniziato a lavorare come dipendenti nel 1980, con lo stesso lavoro, lo stesso reddito di 1.500 euro mensili e lo stesso montante contributivo maturato di 160.000 euro, nel momento in cui decidono di andare in pensione se uno lo ha fatto nel dicembre 2015 percepirà 14.397 euro l’anno, se uno lo fa nel gennaio 2016 percepirà 14.209 euro l’anno. La differenza è di 188 euro”.
La UIL propone di legare i coefficienti per coorti di età e di introdurre per tutti una vera flessibilità di accesso alla pensione. Inoltre, chiede che venga data ai lavoratori la possibilità di scegliere quando andare in pensione a partire dai 62 anni di età.

Per quanto riguarda le donne, Proietti spiega che “per effetto dell’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne, le lavoratrici dipendenti a partire da quest’anno andranno in pensione a 65 anni e 7 mesi (fino all’anno scorso le donne andavano in pensione a 63 anni e 7 mesi) ingenerando disparità tra le lavoratrici. Donne che sono ulteriormente penalizzate da questa equiparazione che non tiene conto del fondamentale lavoro di cura che, invece, dovrebbe essere valorizzato prevedendo meccanismi di tutela e copertura, quali la contribuzione figurativa, per le lavoratrici che si fanno carico del welfare familiare”.

Anche l’ex consigliera di parità (Consigliera del Presidente del Consiglio per le Pari Opportunità) Giovanna Martelli, parla di ingiustizia: “il divario salariale tra uomini e donne è un’ingiustizia che colpisce tutte le donne, soprattutto le pensionate, che così sono a maggior rischio di povertà. Si tratta di donne che hanno lavorato tutta la loro vita e che vengono trattate diversamente rispetto a un uomo che ha fatto la stessa carriera. Il futuro delle famiglie dipende molto da quanto riusciremo a fare per combattere le discriminazioni e le diseguaglianze che ancora colpiscono le donne nel mondo del lavoro”. Come? Martelli spiega che basta abbattere il divario contributivo, che in Europa è stimato in media intorno al 16% e che può arrivare addirittura al 31% quando arriva un figlio.

(D.M.)

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