Made in Italy

Made in Italy, Confapi: 66% imprese esportano

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Al via banca dati in diverse lingue per favorire innovazione produttiva

Sei piccole e medie imprese su dieci esportano all’estero, ma la stessa percentuale dichiara di non ricevere supporto da terzi. Per questo motivo è necessario creare un date base in diverse lingue sui prodotti italiani e favorire l’innovazione produttiva. Promotrice del progetto la Confapi, che ha siglato accordi con due atenei romani: uno con l’Università Unint per costituire un centro di ricerca sul Made in Italy presso la facoltà di Economia e l’altro con l’Università Tor Vergata per lo sviluppo dell’innovazione.  “Noi mettiamo a disposizione l’idea geniale dell’imprenditore” spiega il presidente di Confapi, Maurizio Casasco “e i ricercatori sviluppano il progetto”.

Tra le attività che verranno portate avanti la pubblicazione di un rapporto sul Made in Italy con cadenza annuale, l’elaborazione di analisi e studi ad hoc e l’erogazione di servizi di consulenza gestionale e linguistica a supporto delle strategie di internazionalizzazione delle PMI italiane.

 

Secondo un’indagine Confapi, il 66% degli associati esporta all’estero, ma il 65% dichiara di non ricevere supporto da terzi nelle iniziative che intraprendono oltre frontiera. Il 20% di chi esporta fattura più del 60% all’estero a fronte di un 14% degli intervistati che ha livelli di fatturato tra il 30 e il 60%. Il 16% degli imprenditori che esportano dichiara, invece, di fatturare tra il 10 e il 30%.

Circa il 58% del campione intervistato si sente sufficientemente preparato per avviare attività sui mercati internazionali, ma solo il 22% ha una rappresentanza all’estero che opera per approfondire la conoscenza del mercato e per promuovere i prodotti.

 

Come si spiega questo fenomeno? Semplice, le piccole industrie italiane “non hanno delocalizzato e per affrontare la crisi hanno cercato uno sbocco sui mercati internazionali” spiega Casasco. “In Europa la concorrenza è spietata: per questo sono andati altrove, anche in aree difficili. Il nostro compito è aiutare le aziende nell’individuare i canali giusti, nel collegamento ad altre reti internazionali, nel valorizzare le filiere e sostenere le aggregazioni e le sinergie”.

Casasco, che ricopre anche il ruolo di vicepresidente  della Cea-pme (la confederazione europea delle associazioni delle piccole e medie industrie) rileva che “bisogna studiare, prepararsi, capire come funzionano i mercati esteri, conoscere direttamente le cose. I contatti non si costruiscono presenziando un forum o un convegno”. Sì a una strategia di medio-lungo termine, comunque è necessario “dotarsi di una cultura di management adeguata e infine sviluppare aggregazioni, sinergie e networking”. 

(dar)

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