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Italiani sedotti dall’innovazione: il futuro passa da qui

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«Italia, Chefuturo!»: anticipato il Rapporto 2016 Cotec-CheBanca! sulla cultura dell’innovazione curato dal Censis

Buona l’adesione ai nuovi prodotti e servizi, anche se si temono i possibili divari generati dalle tecnologie. Servono talento e coraggio. Ma la «fabbrica» dell’innovazione è ancora poco guidata, affidata ai singoli e alle piccole imprese, più che ai decisori pubblici e al venture capital. Per il Governo c’è un’opportunità da non sprecare: la grande fiducia negli obiettivi dell’Agenda Digitale

Roma, 7 giugno 2016 – Gli italiani e l’innovazione: serve un passo in avanti. Per gli italiani il futuro passa per l’innovazione e le nuove tecnologie. Per fronteggiare i problemi odierni, la maggioranza (il 64%) ritiene che bisogna compiere un passo in avanti e adottare le tecnologie in grado di ridurre l’impatto sugli ecosistemi e rendere più efficiente e produttivo l’uso delle risorse. Poco più di un terzo (il 35%) crede invece che occorra fermare la crescita, ridurre i consumi e lo sfruttamento delle risorse, ripensare tutto e tornare al passato. È quanto emerge da «Italia, Chefuturo!», il Rapporto 2016 Cotec-Chebanca sulla cultura dell’innovazione a cura del Censis anticipato oggi all’Edison Innovation Week.
Innovatori si nasce o si diventa? Gli italiani hanno opinioni nette su chi sono gli innovatori. Le caratteristiche personali che corrispondono alla predisposizione a innovare sono la creatività (lo pensa il 48,4%), l’intuito (31%), la curiosità (30,1%), la disponibilità a rischiare (19,9%), l’intelligenza superiore alla media (18,6%), addirittura l’attitudine alla disubbidienza (14,7%). Al contrario, le doti acquisite, sviluppate con l’impegno e il lavoro, passano in secondo piano: l’istruzione universitaria (9,7%), l’esperienza (12,6%), le conoscenze informatiche (9,9%). L’attitudine a innovare viene dunque vista più come una dote innata che un’attitudine acquisita nel tempo. Innovatori si nasce, anche se poi servono i contesti favorevoli per poter applicare concretamente le doti degli innovatori potenziali.
Chi sono i protagonisti dell’innovazione in Italia? Le opinioni convergono decisamente sulle piccole e medie imprese capaci di sperimentare e di adattare la propria attività al contesto in evoluzione (38,6%). Debole è il ruolo di stimolo che viene riconosciuto ai soggetti di governo (12,8%) e agli investitori (14,5%). In Italia l’innovazione si alimenta in modo casuale, senza una precisa intenzionalità o capacità progettuale, secondo l’11,6%. Il quadro è completamente diverso quando si raccolgono le opinioni su quello che avviene nel mondo, dove vengono ritenute importanti le università e i centri di eccellenza (49,4%), le grandi aziende (49,5%), i venture capitalist che scommettono sulle nuove imprese (32,5%), i governi che creano le condizioni favorevoli all’innovazione (36,2%).
Solo benefici dalle innovazioni o anche nuovi problemi? Gli italiani che pensano che le innovazioni degli ultimi vent’anni abbiano portato esclusivamente benefici sono pochi (il 14,2%). La maggior parte (il 57,9%) pensa che ci sano stati molti benefici, ma anche qualche problema. I più critici ritengono che l’innovazione abbia portato alcuni benefici e alcuni problemi (20,3%) o addirittura più problemi che benefici (7,3%). Nei singoli ambiti di applicazione si rilevano importanti differenziazioni. Le scoperte nel campo dell’ingegneria genetica sono valutate positivamente nelle loro concrete applicazioni in campo medico dall’87,2% degli italiani, ma negativamente quando riferite all’agricoltura e alla controversa questione degli Ogm (solo il 40,3% di pareri positivi).
L’innovazione riduce i divari o li amplifica? Una quota maggioritaria di italiani (il 57,1%) ritiene che nel nostro Paese le innovazioni abbiano contribuito ad ampliare i divari sociali. Questo è vero in tutte quelle circostanze nelle quali il godimento dei benefici apportati è fortemente condizionato dalla possibilità e capacità di accesso alle informazioni. Guardando alle tecnologie digitali, non è un mistero che il digital divide alimenti di fatto due mercati dei beni e dei servizi: uno tradizionale, con costi di accesso più elevati, e uno innovativo, con costi più contenuti e opportunità maggiori. Lo stesso vale per il rapporto tra i processi innovativi e le opportunità di lavoro. Anche in questo caso una quota importante di italiani (il 39,8%, e il dato sale al 50,7% tra le persone meno istruite) si mostra molto critica ritenendo che l’automazione sostituirà sempre di più il lavoro umano. Il 31,6% pensa invece che si stanno aprendo scenari occupazionali in ambiti nuovi e fino ad ora inesplorati, mentre il 28,5% ritiene che il numero delle opportunità rimarrà identico: quello che cambierà è il tipo di lavoro.
Chi ha avuto vantaggi reali dall’innovazione? I lavoratori che hanno tratto vantaggi dalle innovazioni degli ultimi vent’anni sono individuati soprattutto tra gli imprenditori, che hanno visto aumentare i profitti: lo pensa il 38,5%. Seguono i manager, che hanno ottenuto ingaggi migliori (23,6%).
Tutti uniti sull’Agenda. Tutti gli obiettivi contenuti nell’Agenda Digitale trovano larga condivisione tra gli italiani, che nel 90% dei casi li ritengono fondamentali o comunque importanti. Su questo tema si gioca gran parte della credibilità dell’azione di governo in relazione al supporto all’innovazione. Un supporto che, fino a questo momento, viene giudicato dai cittadini largamente insufficiente e inferiore a quello garantito negli altri Paesi europei.

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