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Domiciliarità, Residenzialità e Invecchiamento attivo

Domiciliarità, Residenzialità e Invecchiamento attivo

Come cambia l’assistenza agli anziani in Italia, fotografia di un Paese in difficoltà per scarse risorse e inesistenti aiuti alle famiglie

A Roma presso la sala Aldo Moro di Montecitorio, è stata presentata la ricerca “Domiciliarità e Residenzialità per l’invecchiamento attivo” realizzata per Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo) da Claudio Falasca. Il Presidente Nazionale dell’Auser, Enzo Costa, ha esposto i punti salienti del rapporto che ridefiniscono il programma delle politiche sociali nei prossimi quattro anni. Dallo studio emerge l’attuale cambiamento demografico della popolazione, i bisogni delle famiglie ma anche la carenza dei servizi in favore degli anziani nel nostro Paese. Non mancano proposte a contrasto dell’invecchiamento attivo per garantire un sistema di cura efficace per gli anziani di oggi e quelli di domani. Anziani che nel 2050 costituiranno il 30% dell’intera popolazione.

L’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di vecchiaia rispetto alla media UE del 18,5%. L’ONU Italia, nell’annuale rapporto, colloca la nostra nazione al 37esimo posto per qualità della vita degli anziani (dato 2015). Nonostante la perdita di dieci posizioni negli ultimi quattro anni, le istituzioni continuano a disinvestire nelle infrastrutture sociali tanto che in Italia abbiamo un modello assistenziale fragile per via delle scarse risorse impiegate nei servizi sociali.
Per rendere il modello assistenziale più forte sono tre gli strumenti suggeriti dal rapporto: domiciliarità, residenzialità e invecchiamento attivo. Temi da affrontare per rimediare all’assenza di politiche attive in grado di garantire una qualità della vita dignitosa nell’ultimo arco della vita delle persone.

In Italia, sono 3milioni gli anziani che hanno superato la soglia degli 80 anni, il 21,4% ha più di 65 anni, rispetto a una media UE del 18,5% (dati Eurostat). Nel 2050 l’ISTAT stima una popolazione anziana del 34,3% e Claudio Falasca, curatore dell’indagine, sottolinea che l’attuale modello assistenziale è caratterizzato da due linee di intervento: la domiciliarità e la residenzialità. Alla domiciliarità ricorrono 2,5 milioni di anziani, mentre nelle strutture di cura trovano assistenza poco più di 278.000 anziani (dati 2013).

L’ADI – assistenza domiciliare integrata – è presente solo nel 41% dei Comuni Italiani e decresce progressivamente di un punto percentuale all’anno. Se si disaggrega il dato e si rapporta alle isole, l’ADI rappresenta solo il 10,8% e ciò mostra un Paese profondamente spaccato, tra Nord e Sud e tra piccoli e grandi Comuni.
Un fenomeno non trascurabile è quello delle badanti regolarizzate – quelle provviste di un regolare contratto di lavoro – che secondo l’Inps ammontano a 375mila mentre il Censis ne stima oltre un milione e mezzo. A fronte di questo gap numerico, è lecito chiedersi chi sono queste persone e quali qualifiche possiedono.
Per la domiciliarità, l’82% degli anziani possiede una casa di proprietà, il 55% delle abitazioni degli anziani ha più di 50 anni e il 75% delle abitazioni non ha l’ascensore. Si tratta dunque di luoghi inadatti ad affrontare la vecchiaia serenamente.

La spesa per i servizi sociali, dal 2009 al 2013, è diminuita del 7,9%, e Il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, principale canale di finanziamento, con i continui tagli – del 30-40% all’anno – è stato fortemente ridimensionato dalle leggi finanziarie per raggiungere nel 2012 un valore solo simbolico.

La Ragioneria Generale dello Stato valuta che la spesa per l’assistenza di lunga durata passerà dall’1,9% del PIL nel 2015 al 3,2% del PIL nel 2060.
Oggi, per la prima volta nella storia del Paese, la copertura dei servizi e degli interventi per anziani non autosufficienti presenta tutti valori negativi: diminuiscono gli anziani presi in carico nei servizi; gli utenti ospiti di strutture residenziali fra il 2009 e il 2013 sono diminuiti del 9,1%; quelli che hanno l’indennità di accompagnamento sono scesi dal 12,6% del 2011 al 12,0 del 2013. La spesa destinata ai servizi sociali per anziani di regioni e comuni dal 2009 al 2013 è diminuita del 7,9%. Sono oltre 561mila le famiglie che per pagare l’assistenza ad una persona non autosufficiente hanno utilizzato i propri risparmi, venduto l’abitazione o si sono indebitati (dati CENSIS).

Auser suggerisce alcuni principi da applicare quando una persona esce dallo status di lavoratore: integrare, facilitare, anticipare, rispettare, proteggere e promuovere. Ripartire quindi dall’invecchiamento attivo per allontanare l’età della non autosufficienza e della depressione che colpisce il 50% degli anziani.

Proposte dell’Auser per rispondere all’invecchiamento della popolazione

• Garantire un maggiore equilibrio del sistema sociale e sanitario;
• Dotare di risorse adeguate e stabili gli enti territoriali per l’assistenza all’anziano;
• Rendere le città amiche degli anziani, ovvero adeguare il patrimonio immobiliare ripensando alle relazioni degli anziani con la casa e il quartiere in cui vivono;
• Rendere efficaci i servizi di assistenza domiciliare ADI e SAD (Servizio di Assistenza Domiciliare) per superare le disuguaglianze territoriali;
• Istituire una Banca Nazionale (europea) delle migliori pratiche e introdurre un sistema di indicatori omogeneo a livello nazionale per valutare la progressione nel miglioramento delle prestazioni dei servizi;
• Istituire il Fondo Unico per la non autosufficienza finanziato con risorse aggiuntive rispetto a quelle pubbliche, per favorire una dignitosa permanenza degli anziani presso il proprio domicilio;
• Far emergere il nero nel lavoro di cura, prevedendo misure di detrazione dal reddito per garantire un ritorno economico alle lavoratrici;
• A garanzia degli anziani assistiti dalle badanti, delle famiglie e delle lavoratrici, l’emersione va accompagnata ad un lavoro di qualificazione professionale con la formazione e il riconoscimento contrattuale;
• Istituire il “registro degli assistenti familiari” per facilitare la ricerca di assistenti qualificate, sostenere la crescita professionale e l’inserimento lavorativo;
• Ampliare l’offerta di residenzialità aumentando i posti letto in modo da allineare il nostro Paese alla media dei paesi Ocse;
• Rendere la residenzialità più efficace, ma anche ad “alta intensità relazionale” aperta alle comunità esterne a cominciare dal territorio.
• Sul fronte della repressione dei comportamenti illeciti è importante che la Camera approvi il DDL “Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture sociosanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo”.

Il punto di vista dell’INPS

Secondo Tito Boeri, Presidente dell’INPS, in Italia si fatica a guardare avanti, e quello della non autosufficienza è un tema centrale che l’INPS ha affrontato nell’ultimo rapporto. Il fenomeno è basato sull’incrocio tra il sostegno formale delle famiglie e la disponibilità di lavoro dell’immigrazione a basso costo. La domanda di care giver, ovvero le persone che prestano assistenza alle persone non autosufficienti, è destinata a triplicarsi nei prossimi anni. Le famiglie diventano sempre più piccole e non è accettabile che le responsabilità della cura ricada esclusivamente sulle donne, in un contesto in cui è necessario rafforzare la presenza femminile sul mercato del lavoro.
Oggi il 45% delle persone non autosufficienti riceve una forma di sostegno pubblico, ma con l’aumento della non autosufficienza, a meno che ci sia un rafforzamento delle risorse pubbliche, si rischia che la copertura assistenziale possa deteriorarsi ulteriormente. Il quesito è come e dove reperire le risorse finanziarie in grado di garantire una assistenza pubblica di qualità alle persone non autosufficienti.
Vi è la necessità di adottare processi di efficientamento nella fornitura di servizi pubblici, puntare sui servizi integrati che mantengano la domiciliarità, individuare le aree degli sprechi, le risorse mal utilizzate e i potenziali abusi.

Con l’applicazione della legge 104 (norma che contiene disposizioni in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate) c’è necessità di colmare le differenze nell’impiego delle risorse sia nel settore pubblico sia nel privato attraverso controlli serrati. Altra questione riguarda le disabilità e gli accertamenti perché – ricorda Boeri – attualmente si adotta un sistema a doppio binario: da una parte ci sono le Asl, dall’altra l’INPS. La duplicazione degli accertamenti è fonte di contenzioso, di oneri per le famiglie e costi del settore pubblico. Passare all’armonizzazione degli accertamenti porta ad una riduzione degli oneri per le famiglie.

Un altro terreno su cui lavorare riguarda i controlli sulle malattie. Il Testo Unico sul pubblico impiego prevede l’assegnazione all’INPS dell’accertamento anche nel caso dei dipendenti pubblici. In futuro l’Inps si farà carico di questa responsabilità per garantire risparmi significativi in cui i controlli passano dalle Asl all’INPS, garantendo una netta riduzione delle risorse rispetto alla situazione attuale. Altro strumento allo studio è l’armonizzazione delle fasce orarie di reperibilità per malattia tra i dipendenti pubblici e quelli privati: ciò per ottimizzare l’accertamento dei medici.

Inoltre – conclude Boeri – in esame c’è l’istituzione di una contribuzione obbligatoria per le politiche a sostegno delle famiglie non autosufficienti, modalità già in vigore nel settore pubblico con un contributo dello 0,35%. La quota contributiva sarà direttamente gestita dai Comuni per abbattere i costi di gestione e assicurare la copertura dei servizi reali su tutto il territorio nazionale.

Il parere dei sindacati

Il Segretario Generale della CGIL, Susanna Camusso, ricorda che siamo in presenza del 40% di disoccupazione giovanile e una totale assenza di politiche sociali in favore dei giovani. Centrare il dibattito sull’utilizzo della legge 104 non risolve il tema alla radice. È necessario invece riflettere sul differenziale della composizione di genere tra il pubblico e il privato e come questo differenziale rappresenti, all’interno del settore privato, un elemento discriminatorio rispetto alle carriere.
Per Camusso esiste un trattamento sanzionatorio dei comportamenti nel settore privato che riguarda in particolare il rapporto tra il lavoro femminile e quello maschile e le disuguaglianze scaturiscono da un trattamento legislativo difforme.
Bisognerebbe impegnarsi a studiare il rapporto che c’è tra il lavoro di cura e il carico che le donne supportano. L’Italia, con i tagli al welfare, ha ampliato la disuguaglianza tra i ceti e generato una società in cui stanno prevalendo logiche assicurative privatistiche piuttosto che logiche di distribuzione dei servizi. Inoltre per la Camusso, sarebbe doveroso approfondire il tema della partecipazione degli anziani alle attività di volontariato che rappresentano sempre di più una supplenza al servizio pubblico.

L’invecchiamento attivo per Ivan Pedretti, Segretario Generale Spi Cgil, significa adottare politiche abitative che guardano agli anziani come una forma di sviluppo economico nel territorio, una opportunità che produce un risparmio sulla spesa sociale del Paese. Parte della cronicità delle persone riguarda lo stile di vita e il volontariato è un sistema efficace per rimanere attivi. Quindi non un’assistenza sostituiva, ma un’assistenza integrativa che tenga legate le persone al territorio.

I rappresentanti delle Istituzioni pubbliche

Rita Visini, Assessore alle politiche sociali della Regione Lazio, rammenta che il Fondo della non autosufficienza è uno strumento nato proprio per mettere al centro la persona, una presa in carico a 360 gradi di tutti i bisogni e tutte le fragilità. La legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) non è stata recepita da tutte le regioni quindi, oltre a non esserci armonizzazione nelle politiche, all’interno di una stessa regione esistono distretti virtuosi e altri meno.
La casa della salute (istituita nel 2014 dalla Regione Lazio con uno stanziamento di 450mila euro) serviva per integrare i servizi assistenziali ma ha decollato a stento.
Il tema dell’armonizzazione delle politiche è fondamentale perché porterebbe ad un efficientamento delle risorse e ad una efficacia nella qualità dei servizi con lo strumento del budget di salute.
La Regione Lazio, a breve, stanzierà 44milioni di euro per la non autosufficienza, un voucher alle famiglie a sostegno dell’assistenza diretta e indiretta, e istituirà dei registri che attestino la qualità e le professionalità degli operatori sanitari con la partenza di corsi ad hoc rivolti ai giovani sul territorio.

Edoardo Patriarca, Deputato al Parlamento per le politiche e gli Affari Sociali, ricorda che il Fondo sociale e il servizio civile sono stati azzerati con i precedenti governi perché considerati un costo per il Paese.
La Legge sull’invecchiamento attivo propone un’inversione del paradigma culturale, una dorsale strategica di un Paese e non un fatto residuale. La legge proposta è stata recuperata dal testo sindacale – Legge UIL 2009 – dove il ruolo centrale di governance va in capo ai Comuni, alla buona amministrazione e alle associazioni di volontariato per tessere le relazioni, gestire i servizi senza sostituirsi a quelli primari. Il testo di legge conferma la gratuità delle attività, ma vi sono inseriti diversi strumenti di riconoscimento, come l’offerta di servizi culturali formativi sul territorio a costi contenuti.
In accordo con il Ministero dell’Istruzione è possibile ottenere il riconoscimento delle competenze attraverso il concetto di alternanza scuola – lavoro. Attualmente la legge è incardinata nella Commissione Affari Sociali insieme alla riforma del Terzo settore, a quella sul servizio civile e al Disegno di Legge contro la povertà.

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