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Progetto DEA Donne e Audiovisivo: parità di genere anche sul set di cinema e tv

Donna regista

Ancora troppo poche le donne registe, sceneggiatrici, produttrici nel settore audiovisivo. Ancora meno le donne impegnate nella direzione di fotografia. E non sembra questione di talento. Le proposte del progetto DEA – Donne e audiovisivo

L’88% dei film a finanziamento pubblico italiano è diretto da uomini, così come il 79% dei film prodotti dalla Rai, ed il 90,8% dei film che arrivano alle sale cinematografiche.

Anche se le registe sembrano proporre opere di qualità: il 33% dei film diretti da donne ha infatti partecipato o ha vinto premi a festival nazionali ed internazionali. In sintesi, le donne realizzano film di valore ma non ottengono sufficiente visibilità: meno del 10% dei film diretti da donne arrivano nelle sale.
Questi i risultati del progetto DEA Donne e Audiovisivo presentato nei giorni scorsi dal CNR, sostenuto da SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) con il patrocinio dell’UNESCO – Roma città creativa per il Cinema, in collaborazione con Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani, l’Università Roma tre, il MIBACT- Direzione generale Cinema, Co Okies adv. Un’indagine che rimarca come sia ancora lontano il traguardo della parità di genere nel settore audiovisivo, in parte dovuto ad una sorta di perplessità, o addirittura preoccupazione, da parte delle ragazze ad intraprendere questo tipo di percorso formativo e lavorativo.

Dall’indagine è emerso infatti che le ragazze che scelgono di formarsi nel settore dell’audiovisivo siano meno numerose dei loro coetanei: dal 2006 al 2013 le domande di iscrizione presentate da donne alla Scuola Nazionale del Cinema sono state solo il 39%. Ancora poche le donne che scelgono di candidarsi. Probabilmente molte di più quelle che desiderano farlo, ma che si arrendono prima ancora di scendere in campo convinte che la professione del cinema sia un obiettivo troppo difficile da conquistare se sei donna. In effetti, è tuttora scarsa la presenza femminile ai vertici come CEO nelle produzioni, così come è complicato accedere a ruoli decisionali e di prestigio, o riuscire ad ottenere l’assegnazione di budget per prodotti di cui le donne sono responsabili. Mentre da sempre è molto più agevole per una donna l’accesso al ruolo di segretaria di edizione.

In generale i ragazzi che si candidano alla Scuola Nazionale del Cinema sono più orientati verso la regia, mentre le ragazze sembrano più disposte a diversificare i percorsi, anche se le donne in media riescono a superare soprattutto le selezioni per i corsi di sceneggiatura e di regia. Questo non significa che le donne che scrivono o dirigono abbiano così ottenuto un lasciapassare per il successo, perché soltanto una minima parte di loro riesce a rendersi nota al grande pubblico.

E ci sono professioni del cinema in cui si avverte tuttora in Italia una scarsa presenza femminile, come ad esempio la direzione di fotografia. Una professione che si esplicita sul campo, ogni giorno, e che forse più di altri ruoli del settore comporta la necessità di stabilire una comunicazione efficace con tutti coloro che lavorano ad un’opera audiovisiva. Anche perché per far sentire la propria voce a volte serve un tono non elevato, ma deciso.
“La mia professione richiede una forte empatia con tutto lo staff” spiega Paola, direttore di fotografia che lavora a Roma, specializzata nel settore lungometraggi di finzione, ex allieva della Scuola Nazionale di Cinema.

“E questo vale per tutti i mestieri che si svolgono soprattutto sul set, che è come un orologio che bisogna imparare a conoscere e gestire. Ed è una macchina che funziona se si creano rapporti costruttivi. Insomma, per questo lavoro oltre ad avere talento e passione, bisogna avere le spalle grosse, e questo avviene strada facendo. Ho conosciuto colleghe molto capaci che hanno scelto di mollare, forse perché non avevano abbastanza carattere. Altre preferiscono dedicarsi al settore documentario, che rispetto alla finzione concede maggiore libertà di scelta anche perché la troupe è in genere più ristretta.”
Senza dimenticare che il set cinematografico non è un ambiente di lavoro molto confortevole: si gira all’alba, di notte, sotto la pioggia e sottozero, con pause brevi o inesistenti. Condizioni che possono demotivare le donne che ancora trovano difficoltà nel conciliare i tempi familiari con quelli lavorativi.

“A me piace lavorare con uomini e donne. Sul set ho incontrato più di una volta registi che al momento di relazionarsi con un direttore di fotografia donna hanno mostrato una sorta di disorientamento, cosa che non accade certo quando alle donne vengono affidati compiti di manovalanza. In generale sono rispettata, perché dopo anni di esperienza mi sento preparata. Ma all’estero è diverso: in Francia, nel 2000, ho riscontrato maggiore apertura verso le donne direttore di fotografia, molto più numerose allora di quelle che lavorano oggi in Italia.”

Con il progetto DEA viene proposta una serie di interventi a sostegno della parità di genere nell’audiovisivo, in primis l’applicazione delle cosiddette quote rosa nell’ambito della Scuola Nazionale di Cinema e di tutte le scuole professionali che ricevono finanziamenti pubblici. Una proposta che ha scatenato un’accesa discussione fra le stesse donne che perseguono la parità come obiettivo comune. Ci sono infatti molte donne contrarie a questa “discriminazione positiva”. Come la regista Susanna Nicchiarelli: “alcune professioniste hanno paura delle quote rosa perché temono che i colleghi maschi le possano accusare di viaggiare su una corsia preferenziale. E che si limitino i talenti veri”.
Dello stesso avviso Caterina D’Amico, direttore della Scuola Nazionale di Cinema. “A livello di formazione quello che conta di più è stabilire con maggiore obiettività possibile che gli aspiranti abbiano tutte le carte in regola per svolgere questa professione, senza illudere chi ha investito tempo e risorse in un settore in cui non ha possibilità di sfondare. Cercando di mantenere in ogni caso una presenza femminile, perché un corso troppo omogeneo non aiuta lo sviluppo dei partecipanti che si nutrono delle differenze reciproche. Vedo con favore una presenza femminile diffusa nei vari corsi.”

Chi invece sostiene a spada tratta le quote rosa, considerandole una strategia di carattere transitorio, guarda soprattutto oltre il momento formativo: è nella faticosa fase di ricerca di lavoro e di riconoscimento del proprio valore, che le già poche donne che escono dalle scuole professionali trovano maggiori difficoltà.
“Le quote rosa sono uno strumento che in Svezia ha funzionato bene” dichiara Stefania Casini, attrice e regista, vice presidente di Doc/it. “Quella che dobbiamo fare è una battaglia culturale”. Secondo Casini l’immagine della donna proposta al cinema e in televisione è perlopiù prodotta dal lavoro maschile, ed il rischio di perpetuazione di stereotipi negativi è molto elevato. Con DEA si è fortemente sottolineata l’importanza strategica dell’industria dell’audiovisivo per la rappresentazione delle donne nella società. “Le donne devono avere la possibilità di raccontarsi. E vanno incoraggiate a farlo” conclude Casini.

Tra le raccomandazioni del DEA per la promozione della professionalità femminile nell’audiovisivo, la creazione di programmi di mentoring nelle scuole e nelle varie fasi della carriera dove alle allieve vengono affiancate professioniste dei vari settori, e l’organizzazione sistematica di eventi e programmi per la promozione delle professioniste dell’audiovisivo, sia quelle emergenti sia quelle che lavorano da anni, ma nell’ombra o quasi.

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