Lavoro Sicurezza

Infortuni sul lavoro e responsabilità del datore

La corte di cassazione ha stabilito che la responsabilità del datore di lavoro non è più completamente esclusa in caso di infortunio sul lavoro nemmeno quando c’è dolo da parte del lavoratore per negligenza, imprudenza o imperizia

Con ordinanza n. 16026 del 18 giugno 2018 la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di infortunio sul lavoro la responsabilità del datore di lavoro è esclusa ove si tratti di dolo del lavoratore o di “rischio elettivo” di quest’ultimo oppure, ancora, se il rischio è stato generato da un’attività che non ha rapporto con lo svolgimento della prestazione lavorativa. Ma è intervenuto un cambiamento: il datore di lavoro deve dimostrare di aver messo in campo ogni accorgimento possibile per evitare che il lavoratore sia imprudente, negligente o inesperto.

La Fondazione studi Consulenti del lavoro ha emanato una nota esplicativa in data 11 luglio 2018 per approfondire e spiegare l’ordinanza. Nella nota si parte dalla constatazione che il datore di lavoro è tenuto a predisporre nell’ambiente di lavoro la migliore tecnologia necessaria a tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori contro i rischi esistenti nel luogo di lavoro. Si tratta del principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile contenuto nel codice civile, sempre interpretato in modo rigoroso. Non ha importanza infatti quale sia il costo che il datore di lavoro deve sostenere: è obbligatorio sostenerlo per dotarsi del migliore metodo di prevenzione disponibile in base alla scienza e alla tecnologia esistenti.
Tuttavia, finora in tema di responsabilità della sicurezza dei lavoratori, il datore di lavoro non era ritenuto responsabile di qualsiasi evento verificatosi ai danni del lavoratore: non lo era se l’evento era riferibile a una colpa del lavoratore stesso, per esempio per violazione di obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalla tecnica.

Incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa l’onere della prova della nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di causalità tra causa ed effetto mentre grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adottate tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento.

Il lavoratore assicurato non ha diritto all’indennizzo quando l’infortunio derivi da “rischio elettivo”. Cosa significa? Si considera rischio elettivo quello collegato a un comportamento volontario, indipendente dall’attività lavorativa e non ad essa collegato in quanto volto a soddisfare esigenze puramente personali. È considerato tale anche il rischio corso a causa di un comportamento lavorativo eccessivo, cioè lo svolgimento dell’attività lavorativa che esorbita in modo irrazionale dai suoi limiti. In pratica un’esagerazione, un lavoro eccessivo non richiesto.

Ci sono anche i casi di infortuni sul lavoro “in itinere”, per esempio quelli che si svolgono durante il percorso per arrivare sul luogo di lavoro. Anche qui il “rischio elettivo” ne esclude l’indennizzabilità. In questo caso possiamo portare l’esempio di una violazione di norme del codice della strada.

La conclusione è dunque che la responsabilità del datore di lavoro è esclusa nel caso in cui il danno alla salute, subito dal dipendente, sia provocato da “una condotta del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive impartite”. Sembra quindi corretto affermare – si legge nella nota giurisprudenziale della Fondazione studi Consulenti del lavoro – che la responsabilità del datore di lavoro sia esclusa in caso di dolo del lavoratore oppure in caso di rischio elettivo di quest’ultimo e cioè di rischio generato da un’attività che non abbia rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa o che esorbiti in modo irrazionale dai limiti di essa oppure, infine, nel caso in cui l’infortunio sia provocato da una condotta del tutto atipica ed eccezionale del lavoratore stesso.

Cosa cambia con l’ordinanza n. 16026 del 18 giugno 2018 della Suprema Corte? Si aggiunge un’indicazione in più: il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori quali destinatari della tutela, dimostrando di aver messo in atto ogni mezzo preventivo idoneo a scongiurare che, alla base di eventi infortunistici, possano esservi comportamenti colposi dei lavoratori. Ne deriva che non possono essere più ricomprese nel concetto di “rischio elettivo” la semplice negligenza, imprudenza o imperizia, in presenza delle quali rimane, comunque, la responsabilità del datore di lavoro. A meno che, ovviamente, quest’ultimo non possa dimostrare di essere intervenuto con ogni mezzo a disposizione per evitarle.

Se la Fondazione studi dei consulenti del lavoro si è limitata a dare un commento prettamente giuridico, quello del nostro giornale è meno politically correct. Ci sembra infatti un’assurdità avere l’obbligo di provare che si sono messe in campo tutte le cautele per evitare che un lavoratore commetta azioni rischiose per motivi puramente personali. In poche parole che si metta a giocare o dia di matto perché lo vuole fare. Se, ad esempio, si assume una persona con la patente, il datore di lavoro deve pur dare per scontato che si sappia che non si guida contromano o che ci si fermi col semaforo rosso: o è costretto a risegnare tutti i suoi autisti a scuola guida e poi a fargli un esame per verificare che lo abbiano interiorizzato per benino? Che non si debba bere alcool o giocare a fare Superman sul luogo di lavoro sembra un concetto chiaro e semplice: cosa dovrebbe fare il datore di lavoro per evitare che i suoi dipendenti bevano o facciano pagliacciate magari mentre stanno lavorando con dei macchinari? Sottoporli al test dei “palloncini”? Mettere ovunque videocamere di sorveglianza? Tutti i sindacalisti del mondo si solleverebbero a tutela della privacy, si parlerebbe di metodi dittatoriali, di prigionia e controlli da poliziotti. Se un lavoratore vuol giocare sul luogo di lavoro più che dirgli di farla finita e che è pericoloso non si capisce quali azioni possa intraprendere un datore di lavoro se il dipendente non smette. Licenziarlo non si può. Non si dovrebbe proprio assumere una persona così ma come si fa a sapere prima se si comporterà in modo rischioso per motivi personali? Dare sempre la colpa al datore di lavoro sembra fin troppo facile: non sono tutti aguzzini e sfruttatori, anzi a dire il vero non lo è più nessuno da tempo, ma continua a esistere questo preconcetto contro i datori di lavoro onesti. Forse sarebbe il caso di entrare in contatto con la realtà e rendersi conto che il datore di lavoro non è “il nemico”. In Italia, poi, un Paese in cui la maggioranza dei lavoratori è autonomo, ha una micro impresa o una società a conduzione familiare, pensarla così è veramente controproducente.

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