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Micro imprese e formazione dei dipendenti

Formazione aziendale

Indagine dell’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro sulla formazione dei dipendenti delle micro e piccolissime imprese

Occupano al massimo 15 dipendenti e sono proprio loro a rappresentare la maggioranza del nostro tessuto produttivo, ovvero il 93,3% di tutte le imprese italiane. Nonostante la formazione dei propri dipendenti sia fondamentale per aumentare la competitività aziendale però sono proprio queste micro e piccolissime imprese ad avere le maggiori difficoltà in questo campo. Sono infatti proprio questo tipo di investimenti ad essere ritenuti troppo complessi da poter gestire internamente, tanto che solo una impresa su quattro fa formazione.
A segnalarlo è la ricerca “I fabbisogni formativi delle micro e piccolissime imprese italiane” realizzata dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro in collaborazione con FonARCom (Fondo Paritetico Interprofessionale Nazionale per la Formazione Continua). In base ai risultati della ricerca infatti, sembra che la formazione in azienda sia considerata “elitaria, costosa e, sostanzialmente, pratica e obbligatoria”.

L’indagine sui fabbisogni formativi è stata condotta su micro e piccolissime imprese, che rappresentano il 93,3% delle aziende italiane (oltre 1 milione e mezzo di realtà imprenditoriali) e occupano 5,1 milioni di addetti (il 36,1% del totale dei dipendenti del settore privato extra agricolo). L’indagine è stata condotta a campione, attraverso un questionario sottoposto a mille Consulenti del lavoro.
In base all’indagine dunque risulta che l’attività formativa in Italia è essenzialmente di tipo “obbligatorio” (come quella su sicurezza sul lavoro e ambiente) e riguarda principalmente i giovani da poco entrati nel mondo del lavoro (il 65,5% dei partecipanti a iniziative di formazione ha meno di 34 anni, gli ultracinquantenni sono appena il 10,9%). L’attività formativa non obbligatoria invece interessa soprattutto i dirigenti e i quadri aziendali (64,6%), fra cui rientrano maggiormente i lavoratori anziani.
“Ne consegue” spiegano gli analisti “che i giovani sono sostanzialmente esclusi dalla formazione non obbligatoria, poiché nella gran parte dei casi non ricoprono ruoli di management”.

Formazione sì, formazione no

La propensione a svolgere corsi formativi aumenta al crescere delle dimensioni dell’impresa: in un’azienda con più di 50 dipendenti è oltre 6 volte maggiore (81,3%) rispetto ad un’impresa con meno di 10 dipendenti (13,4%).
I principali ostacoli alla volontà di fare formazione sono di carattere economico e procedurale: gli imprenditori titolari di micro e piccolissime imprese non sono affatto convinti dell’utilità della formazione; le poche esperienze avute non sono state particolarmente “esaltanti” e la formazione non viene vista come un investimento bensì come un costo. In questo senso gli sforzi economici vengono indirizzati più sul binomio produzione/vendita.

Secondo il 78,6% degli intervistati però si farebbe più formazione se costasse meno farla, se non fosse scollegata dalle reali esigenze produttive dell’azienda (74,1%) e se vi fossero più finanziamenti mirati (69,6%).
Fra le imprese che fanno formazione, invece, prevale l’approccio pratico al “training on the job” (28,3%) e la formazione sul campo e le attività sono realizzate essenzialmente ricorrendo a fondi interprofessionali (45,2%) o a società private di consulenza (42,1%). All’impresa che destina risorse ad un fondo paritetico interprofessionale viene garantito che il suo investimento possa tornare utile alla qualificazione professionale dei propri dipendenti, in modo che possa ottenere un costante miglioramento della loro competenza e preparazione.

Il futuro della formazione dei dipendenti

Secondo i Consulenti del lavoro che hanno partecipato al questionario sono attività professionali e servizi per le imprese, servizi di informazione e comunicazione, credito e assicurazioni i settori capaci di attrarre formazione per la netta predisposizione alle attività formative da parte delle aziende operanti nei settori ad elevato contenuto di conoscenza e tecnologia.
La maggiore propensione ad investire in formazione è inoltre legata alla possibilità di certificare le competenze, rendendo misurabili anche i benefici per l’azienda, tra i quali c’è la possibilità di incrementare le professionalità dei dipendenti e, di conseguenza, la qualità delle loro prestazioni, la partecipazione ai processi aziendali, la motivazione, la capacità decisionale. Tutti fattori che migliorano la competitività aziendale.

Le imprese ancora inconsapevoli

Le difficoltà delle imprese italiane non sono dunque meramente economiche: non si tratta soltanto di mancanza di fondi o di costi troppo elevati della formazione, quanto piuttosto di una questione culturale. In una Italia di piccole realtà imprenditoriali manca cioè la reale percezione dei benefici che la formazione può portare.
“Dall’indagine emerge l’esigenza di proseguire nell’importante percorso di diffusione della cultura della formazione continua, soprattutto nelle piccole e medie imprese” commenta Andrea Cafà, Presidente di FonARCom. “Mai come oggi ciò appare indispensabile in ragione dei grandi cambiamenti determinati dall’innovazione tecnologica e dall’introduzione di nuovi modelli organizzativi aziendali. La formazione intesa, quindi, come valore qualitativo per accrescere le competenze dei lavoratori e la competitività delle aziende. In quest’ottica è auspicabile una stretta e concreta sinergia anche con il mondo delle professioni, affinché supportino tale processo all’interno delle imprese, nell’ambito di un moderno modello di relazioni industriali, capace di rispondere in modo efficace alle grandi trasformazioni del mondo del lavoro”.

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