Campagna antiviolenza Società

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio

sede Istat

Audizione dell’Istat sul femminicidio e ogni forma di violenza di genere

La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, il 19 novembre ha ascoltato la Dott.ssa Linda Laura Sabbadini dell’Istituto nazionale di statistica. L’audizione dell’Istat si è tenuta quale contributo ai lavori della Commissione grazie alle rilevazioni di dati, alle elaborazioni e alle analisi che l’Istituto è in grado di fare nonostante l’oggettiva difficoltà di reperimento delle informazioni, dal momento che il fenomeno della violenza contro le donne è di complessa misurazione, sviluppandosi solitamente negli ambienti più familiari, troppo spesso tra le pareti domestiche. E purtroppo è proprio questo il tipo di violenza che ha un impatto devastante sulla salute psico-fisica della donna: la prossimità con l’autore dei crimini, che in molti dei casi risulta essere il partner o un familiare, le complesse e contrastanti reazioni emotive e psicologiche che la violenza, episodica o reiterata, innesca nelle vittime sono tutti fattori che influiscono anche sulla capacità di denunciare tali situazioni che troppo spesso rimangono oscure e silenti, come un brutto male.

“Le nostre indagini sulla popolazione che trattano questo fenomeno rilevano, infatti, uno scarto sensibile fra il numero di intervistate che riferiscono di essere state vittime di aggressioni, minacce e violenze sessuali, fisiche psicologiche e il numero di coloro che dichiarano di avere denunciato i fatti alle autorità competenti” esordisce il testo dell’audizione. “Per questo motivo, accanto all’elaborazione dei dati di fonte giudiziaria, l’Istat è impegnato a investigare il fenomeno attraverso indagini ad hoc, studiate per raccogliere direttamente dalla rispondente la sua esperienza. Questo consente di integrare le informazioni e arrivare ad una ricomposizione più verosimile dell’entità e delle caratteristiche del fenomeno”.

La “storicità” delle indagini Istat sulla violenza di genere
L’Istat da lungo tempo è impegnato nella misurazione del fenomeno della violenza di genere contro le donne. Nel 1997, nell’ambito dell’Indagine sulla sicurezza dei cittadini, si rilevarono per la prima volta anche i casi di molestie sessuali, fisiche, telefoniche, esibizionismo, molestie e ricatti sessuali sul lavoro, lo stupro e il tentato stupro. La prima rilevazione interamente ed esplicitamente dedicata alla violenza sulle donne – denominata Indagine sulla sicurezza delle donne – è stata condotta dall’Istat nel 2006, con il contributo finanziario del Ministero per le pari opportunità, l’attiva collaborazione progettuale dei Centri antiviolenza e con il supporto di alcune donne vittime di violenze. In quella occasione furono adottati importanti miglioramenti, rispetto alla precedente esperienza, nella tecnica d’indagine e nel disegno del questionario, al fine di rappresentare più fedelmente alcuni aspetti rilevanti, quali le informazioni sugli autori della violenza. Si produsse così una stima accurata delle donne che avevano subito violenza fisica, sessuale e psicologica per tipo di autore, gravità, luogo, conseguenze, con approfondimenti sulla dinamica della violenza e sulla enorme quota di sommerso; dati fondamentali ai fini delle politiche di prevenzione e contrasto della violenza di genere.

L’indagine è stata ripetuta nel 2014, ulteriormente arricchita di informazioni (tra cui, per la prima volta, quelle relative alle donne disabili e alle straniere) e i risultati sono particolarmente rilevanti: diminuisce il complesso delle violenze, tranne gli stupri, ma aumenta la loro gravità.

Nel 2017 la Commissione Femminicidio, costituita durante la precedente legislatura, ha audito l’Istat allo scopo di conoscere i dati che caratterizzano il fenomeno della violenza di genere. In quell’occasione è stato illustrato un quadro dettagliato dei dati disponibili, basato sia sui risultati dell’indagine statistica diretta sia sull’analisi delle fonti giudiziarie e di polizia: è stata posta attenzione sulle differenze delle violenze subite dalle donne italiane e straniere e sulla gravità delle conseguenze della violenza stessa; sono stati interpretati i dati sugli omicidi delle donne e, infine, è stata fornita una visuale sull’ambito giuridico, sono stati analizzati i procedimenti penali e i condannati per alcuni reati più tipicamente effettuati contro le donne.

L’attuale audizione
Notevoli passi avanti sono stati fatti nella comprensione del fenomeno grazie al lavoro condotto dall’Istat insieme con le istituzioni, grazie all’impulso derivato dalla firma del Protocollo d’intesa tra il Dipartimento delle Pari Opportunità e l’Istat stesso (novembre 2016), cui è seguito, nel 2017, un Accordo di collaborazione per la costruzione e la gestione di un sistema integrato di raccolta ed elaborazione dati sulla violenza di genere, essenziale per la progettazione di politiche adeguate.

I dati raccolti attraverso l’indagine sulla sicurezza delle donne mettono in evidenza un fatto inequivocabile: nel corso della loro vita quasi 3,7 milioni di donne hanno interrotto una relazione (anche senza convivenza) in cui subivano almeno un tipo di violenza fisica, sessuale o psicologica. Di queste 1 milione sono separate o divorziate. Più di 2 milioni di donne erano state vittime di violenza fisica o sessuale, tra le quali più di 600 mila separate oppure divorziate.
Le donne separate o divorziate risultano così essere un segmento particolarmente a rischio di violenza da parte dell’ex partner: il 36,6% infatti è stata vittima di violenza fisica o sessuale da parte del coniuge o convivente da cui si sono separate, contro una media del 18,9%.

Gli ultimi 5 anni di violenze
Focalizzando l’attenzione sugli ultimi 5 anni, risultano 538mila le donne vittime di violenza fisica o sessuale da ex partner anche non convivente. In questo gruppo sono 131mila le separate o le divorziate. Il 65,2% delle donne separate e divorziate aveva figli al momento della violenza, che nel 71% dei casi hanno assistito alla violenza (il 16,3% raramente, il 26,8% a volte e il 27,9% spesso) e nel 24,7% l’hanno subita (l’11,8% raramente, l’8,3% a volte, il 4,7% spesso).
Un quinto (24,4%) delle separate o divorziate si sono recate presso le forze di polizia per denunciare la violenza, ma nel 60% dei casi non hanno firmato il verbale.
Nel 4,7% dei casi si sono rivolte ai centri anti violenza o agli sportelli di aiuto contro la violenza, mentre il 13,2% di queste dichiara di non sapere della loro esistenza.

Le violenze subite sono considerate gravi in quasi il 90% dei casi, molto gravi nel 62,9% dei casi e il 45,6% delle vittime ha subito ferite. Oltre la metà (53,9%) ha dichiarato di aver avuto paura per la propria vita o quella dei figli.
Considerando il complesso delle donne che nella vita hanno avuto almeno un partner convivente violento (indipendentemente dallo stato civile) il 37,3% lo ha lasciato anche se solo temporaneamente. Di queste, però, circa la metà ha poi deciso di tornare a viverci insieme.
Tra le motivazioni per cui le donne sono tornate a convivere con il partner violento, il 37,7% dichiara di averlo fatto perché il partner ha promesso di cambiare, il 30,2% per concedere al partner una seconda possibilità, il 16,4% per amore. Il 27,6% delle donne con figli ha dichiarato di essere tornato a convivere per il loro bene.
Le donne che hanno scelto di lasciare, anche se solo temporaneamente, il partner avevano storie più gravi di violenza: le ferite inferte sono maggiori (64% dei casi), così come la sensazione di pericolo per sé o per i propri figli (65,5%).

Le 3P di Istanbul: prevention, protection, persecution
La collaborazione tra l’Istat e il Dipartimento pari opportunità ha lo scopo di fornire al Paese un quadro organico di carattere informativo e statistico sui diversi aspetti della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica. Questo accordo rappresenta un nuovo indirizzo politico che punta a rispondere alle “3P” della convenzione di Istanbul: prevention, protection, persecution.

Conoscere per prevenire
Per quanto concerne la prevenzione, si deve ovviamente partire dalla conoscenza del fenomeno e come previsto dall’accordo nel 2018 l’Istat ha realizzato una rilevazione sugli atteggiamenti, le rappresentazioni e le opinioni sulle differenze di genere e l’immagine sociale della violenza. La rilevazione ha l’obiettivo di individuare eventuali modelli culturali e potenziali fattori che influenzano i comportamenti verso le donne e che alimentano la violenza contro le donne.
La rilevazione è stata condotta tra giugno e dicembre 2018: sono stati intervistati più di 15 mila individui dai 18 ai 74 anni, con un tasso di partecipazione particolarmente elevato (94%).

Il quadro che emerge dalla lettura dei risultati non è confortevole, basti pensare che il 32,5% della popolazione adulta ritiene che “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”, solo il 31,5% che “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”, il 39,3% che le donne possono sottrarsi a un rapporto sessuale quando non lo vogliono e il 23,9% che possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire.

Per i più giovani, invece, è stato progettato un questionario che, oltre al modulo sugli stereotipi circa i ruoli tradizionali di genere e gli stereotipi verso la violenza sessuale, rilevi anche le relazioni tra ragazzi e ragazze, il bullismo e il benessere. Questa indagine sarà avviata nel 2020 nelle scuole e si concentrerà sugli studenti dagli 11 ai 19 anni.

Femminicidi
Dal 2018, l’Istat ha iniziato a diffondere un Report sulle vittime di omicidi, che evidenzia chiaramente le differenze strutturali fra gli omicidi delle donne e degli uomini. L’80,5% delle donne uccise è infatti vittima di una persona che conosce: nel 43,9% dei casi è un partner (35,8% attuale, 8,1% precedente), nel 28,5% un parente (inclusi figli e genitori) e nell’8,1% un’altra persona conosciuta. Le percentuali sono stabili nel tempo.
La situazione per gli uomini è molto diversa: nel 32,1% dei casi sono stati uccisi da una persona che non conoscevano; per il 43,2% si tratta di omicidi senza un autore identificato. La quota di uomini uccisi da conoscenti è pari al 24,8%: solo un terzo del corrispettivo valore delle donne.
Proprio a queste differenze si può addebitare la mancata diminuzione degli omicidi di donne a fronte di una notevole flessione degli omicidi di uomini. Tra il 1992 e il 2017 i tassi di uomini uccisi sono, infatti, diminuiti da 4,4 a 0,7 per 100.000 maschi, i tassi delle donne dallo 0,8 a 0,4 per 100.000 femmine. Negli anni ’90 le donne rappresentavano l’11% delle morti violente, ora costituiscono il 35%.

Proteggere: ancora pochi Centri antiviolenza
L’offerta di Centri antiviolenza è ancora lontana da quanto richiesto dagli standard previsti di 1 ogni 10mila abitanti, dal momento che quelli rilevati sono nell’ordine di 0,05 per 10mila abitanti.
Anche considerando i circa 100 Centri non aderenti ai requisiti dell’Intesa Stato Regioni, intervistati dal CNR, la situazione non cambia sostanzialmente. Nel 2017 si sono rivolte ai Centri antiviolenza aderenti all’Intesa 43.467 donne (15,5 ogni 10mila donne); il 67,2% di queste ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza (10,7 ogni 10mila). Tra coloro che hanno iniziato tale percorso, il 63,7% ha figli, minorenni nel 72,8% dei casi.
Le donne straniere costituiscono il 27% di quelle prese in carico.
Le modalità per entrare in contatto sono di vario tipo: il 95,3% dei centri mette a disposizione il numero telefonico 1522, che accoglie le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, il 97,6% dei centri garantisce una reperibilità h24. In alternativa si può andare presso i singoli centri, aperti mediamente 5 giorni a settimana per circa 7 ore al giorno. L’89,7% dei centri è aperto 5 o più giorni a settimana.

I servizi offerti sono molteplici: dall’accoglienza (99,6%) al sostegno psicologico (94,9%), dal supporto legale (96,8%) all’accompagnamento nel percorso verso l’autonomia abitativa (58,1%) e lavorativa (79,1%) e in generale verso l’autonomia (82,6%). Meno diffusi il servizio di sostegno alla genitorialità (62,5%), quello di supporto ai figli minori (49,8%) e quello di mediazione linguistica (48,6%). L’82,2% dei centri effettua la valutazione del rischio di recidiva della violenza sulla donna. Con riferimento ai figli, il 62,5% dei centri offre anche un servizio di sostegno alla genitorialità al fine di ricostruire la relazione madre-bambino, lavorando sull’ assestamento e il riequilibrio della relazione genitoriale e circa 1 centro su 2 fornisce il servizio di supporto ai figli minori.

Il quadro che emerge è complesso: si rilevano Centri antiviolenza storici inseriti nella realtà territoriale, centri più recenti che ancora non hanno consolidato un’esperienza nella presa in carico della donna, altri che risultano in affanno e altri ancora che non trovano nel territorio il supporto necessario dalle reti territoriali.
Quella dei Centri – spiega l’Istat – è una realtà fatta di strategie organizzative diverse sul territorio da cui si evince, però, la fatica di sopravvivere nel quotidiano, anche per i problemi legati alle risorse. Il personale è infatti volontario nel 56,1% dei casi, ma risponde perlopiù ai criteri di formazione e qualità richiesti dalla Convenzione di Istanbul.

Le case rifugio
Nel 2017 sono state 1.786 le donne che hanno trovato ospitalità in casa rifugio; l’86,7% delle donne ospitate proviene dalla regione dove è situata la casa rifugio. Per oltre un terzo (34,0%) delle donne i servizi sociali territoriali costituiscono il canale di segnalazione verso la casa rifugio, il 24,2% accede attraverso i Centri antiviolenza.
Tra i servizi offerti ve ne sono alcuni che vengono erogati prevalentemente in forma diretta dalle case rifugio, oltre alla protezione e ospitalità in urgenza: servizi educativi e di sostegno scolastico ai minori, orientamento all’autonomia abitativa e sostegno alla genitorialità. Altri servizi vengono invece erogati in collaborazione con i Centri antiviolenza e con altri servizi del territorio.
Il lavoro delle case rifugio si basa, principalmente, sull’apporto di personale retribuito (65% del totale del personale), ma anche in questo caso sono molte le volontarie.

Perseguire gli autori dei reati
Nell’ambito della Task Force governativa sulla violenza di genere del 2013 e dell’Osservatorio sulla Violenza del 2015, sono stati definiti i reati per cui si ritiene necessario rilevare la relazione tra la vittima e l’autore del reato stesso, se si tratta del partner, dell’ex-partner, di un parente, di una persona conosciuta, o sconosciuta alla vittima. Tuttavia ad oggi non vi sono stati sviluppi.
L’Accordo istituzionale Istat-Dipartimento Pari Opportunità prevede la collaborazione con i Ministeri di Giustizia e dell’Interno. Tuttavia, ancora non si è giunti alla firma degli Accordi. L’obiettivo è la rilevazione della violenza di genere e in particolare della violenza da parte dei partner, nei dati giudiziari e di polizia. È necessario, come sollecitato più volte dall’Istat e dal DPO ma ancora non ottenuto, l’inserimento dell’informazione sulla relazione tra la vittima e l’autore per misurare adeguatamente questo tipo di violenza o almeno per ottenerne una buona approssimazione.
Nell’ambito del Tavolo tecnico presso il Dipartimento PO è stata presa in considerazione la possibilità di varare una legge che preveda che le istituzioni responsabili inseriscano obbligatoriamente questi dati, ma i lavori del Tavolo sono stati interrotti nei primi mesi del 2019. D’altronde questi dati sono richiesti sia dalla convenzione di Istanbul, con il gruppo del Grevio che la monitora in Europa, sia dalla direttiva Europea sulle vittime. Tale richiesta è stata più volte ribadita anche dallo European Istitute for Gender Equality – EIGE, cui l’ltalia non riesce a fornire gli indicatori sulla Intimate Partner Violence nei dati amministrativi, se non per gli omicidi.

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