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Istat, Censimento permanente delle imprese

L’Istat ha diffuso i primi risultati della rilevazione multiscopo legata al nuovo Censimento permanente delle imprese integrati con i dati dei Registri statistici Istat

 

Il Censimento permanente delle imprese ha interessato circa 280mila imprese con minimo 3 addetti, rappresentative di un universo di un milione di unità, corrispondenti al 24% delle imprese italiane, che producono però l’84,4% del valore aggiunto nazionale, impiegano il 76,7% degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3% dei dipendenti, costituendo quindi un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. La rilevazione diretta è stata realizzata tra maggio e ottobre del 2019, l’anno di riferimento dei dati acquisiti dalle imprese è il 2018.

I risultati del Censimento permanente delle imprese

I due terzi delle imprese (821 mila, pari al 79,5% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 187 mila (pari al 18,2%) sono di piccole dimensioni (10-49 addetti), mentre le medie (con 50-249 addetti) e le grandi imprese (con 250 addetti e oltre) rappresentano il 2,3% delle imprese osservate (24 mila unità), di cui 3mila grandi.

Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,2% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,4% al Centro e il 26% nel Mezzogiorno.

I risultati del Censimento sono disponibili secondo il settore di attività economica, fino alla quarta cifra della classificazione dei settori, per classe di addetti, per territorio, fino alla provincia, nonché secondo diverse combinazioni delle tre componenti (settore-dimensione aziendale-territorio).

Tutti i dati sono accessibili attraverso il nuovo Sistema di diffusione dedicato ai Censimenti permanenti (www.dati-censimentipermanenti.istat.it).

Struttura e dinamica di imprese e addetti

Il report mostra un calo del numero delle imprese ma una crescita del numero degli addetti.

Tra il 2011 e il 2018 si rileva una diminuzione dell’1,3% del numero di imprese (-13mila) e un incremento dell’1,3% degli addetti (+160mila); tra il 2001 e il 2011 le imprese di 3 e più addetti crescevano invece dell’8,3% (+80mila) e gli addetti del 5,9% (+700mila).

L’evoluzione della struttura dimensionale delle imprese mostra una flessione del numero di microimprese (con 3-9 addetti) e della relativa occupazione tra il 2011 e il 2018, sia in termini assoluti sia in relazione al loro peso sul complesso delle imprese. Si tratta di una dinamica opposta a quella del decennio precedente, segnale di una recente evoluzione del sistema produttivo verso una dimensione media maggiore.

Contestualmente, è aumentato il peso occupazionale delle imprese di grandi dimensioni (con 250 e più addetti), passato dal 27% del 2011 al 28,3% del 2018 (era il 26,8% nel 2001) e trainato dalle imprese con 500 e più addetti.

Il terziario meglio dell’industria

L’evoluzione settoriale di imprese e addetti conferma la tendenza verso una crescente terziarizzazione delle attività produttive: nel 2011 le imprese di 3 e più addetti appartenenti ai servizi costituivano il 65,6% del totale, nel 2018 raggiungono il 70,3%, arrivando a impiegare il 64,0% degli addetti, quota di 5 punti percentuale superiore a quella del 2011.

La quota di imprese appartenenti all’industria in senso stretto scende invece dal 20,7% nel 2011 al 18,9% nel 2018, con un lieve calo dell’incidenza in termini di addetti (dal 31,3% nel 2011 al 29,2% nel 2018). Nelle costruzioni si passa dal 13,7% al 10,7% per le imprese e dall’8,9% al 6,8% per gli addetti.

Nell’arco di un ventennio, dal 2001 al 2018, si registra una crescita dei settori dei servizi pari a 158mila imprese e oltre 2 milioni di addetti, di particolare intensità nell’ambito dei servizi di alloggio e ristorazione e dei servizi alle imprese. Allo stesso tempo il settore dell’industria in senso stretto ha perso 63mila imprese e oltre 1 milione di addetti e quello delle costruzioni circa 30mila imprese e 220mila addetti. Complessivamente, in venti anni il peso occupazionale delle imprese dei servizi è aumentato di circa 20 punti percentuali.

Il primo obiettivo strategico delle imprese 

Con riferimento alla dimensione strategica, tra il 2016 e il 2018 la quasi totalità delle imprese con almeno 10 addetti (90,4%) ha indicato tra i principali obiettivi strategici la difesa della propria posizione competitiva, il 69,9% l’ampliamento della gamma dei prodotti venduti e il 68,2% l’aumento delle attività in Italia. Queste strategie sono risultate prevalenti per tutte le imprese indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza.

L’obiettivo dell’espansione dell’attività produttiva in Italia per il 25,1% delle imprese si è accompagnato a quello di aumentare l’attività all’estero: in particolare hanno dichiarato un obiettivo di espansione in entrambi i mercati il 19,8% delle piccole imprese e poco più del 34% delle medie e grandi unità. Nel complesso, l’attività all’estero, così come l’accesso a nuovi segmenti di mercato, sono risultate strategie più frequenti tra le imprese di maggiore dimensione, mentre il ridimensionamento delle attività è risultato poco diffuso tra tutte le imprese.

La grande maggioranza delle imprese dichiara di aver raggiunto, in parte o pienamente, gli obiettivi perseguiti nel triennio considerato. Tuttavia, quelle che hanno pienamente raggiunto gli obiettivi rappresentano una minoranza: quasi la metà per l’obiettivo della difesa della propria posizione competitiva, circa il 40% per l’ampliamento della gamma di beni o servizi offerti e per l’internalizzazione di attività, tra il 25% e il 30% per l’aumento dell’attività in Italia o all’estero, per la penetrazione in nuovi segmenti di mercato o per l’attivazione di nuove collaborazioni.

In generale, le maggiori difficoltà di pieno raggiungimento dell’obiettivo riguardano soprattutto le piccole imprese, soprattutto in relazione alle strategie espansive di aumento dell’attività in Italia a all’estero.

In media, l’80% del totale delle unità che dichiarano di aver perseguito i principali obiettivi strategici, conferma, inoltre, di volerli perseguire anche negli anni 2019-2021.

Lo sviluppo delle imprese tra cambiamenti di processo, prodotto o mercato

Alle imprese è stato chiesto di evidenziare l’eventuale presenza di nuove traiettorie di crescita sperimentate nel triennio 2016-2018, con riferimento ai processi di sviluppo e innovazione del business aziendale (modernizzazione tecnologica, diversificazione dell’attività principale, transizione verso una nuova area di attività e trasformazione innovativa della propria attività) e alle aree nelle quali ha investito (ricerca e sviluppo, tecnologie e digitalizzazione, capitale umano e formazione, internazionalizzazione, responsabilità sociale e ambientale).

Tra il 2016 e il 2018 il 34,6% delle imprese italiane ha sperimentato almeno uno dei processi di sviluppo sopra indicati. La modernizzazione tecnologica delle attività dell’impresa risulta il processo più diffuso (28,4% delle imprese rispondenti) seguito da attività di diversificazione attraverso la creazione di una nuova attività oltre quella prevalente (10,1%). Cambiamenti più complessi, basati su transizioni o trasformazioni innovative del business aziendale, coinvolgono poco meno del 10% delle imprese (rispettivamente il 7,4% e il 3,4%).

Le imprese che hanno avviato processi di cambiamento aziendale sono presenti in particolare nelle attività dell’informatica (56,4%), nelle attività finanziarie (51,5%), sanitarie/assistenza sociale (51,4%), istruzione (48,2%), attività professionali (46,6%). Nella manifattura il cambiamento ha riguardato il 42,9% delle imprese.

Dal punto di vista territoriale, le imprese con un processo di sviluppo sono pari al 37,3% nel Nord-est e al 36,0% nel Nord-ovest; incidenze inferiori si rilevano nel Centro e nel Mezzogiorno (in entrambi i casi al 32,5%).

Investimenti? Prima di tutto sulla formazione

Il 64,8% delle imprese ha effettuato almeno un investimento in una delle aree di “spinta all’innovazione” (ricerca e sviluppo, tecnologie e digitalizzazione, capitale umano e formazione, internazionalizzazione, responsabilità sociale e ambientale). Tale quota sale al 90,7% per le imprese che hanno avviato almeno uno dei processi di sviluppo. In generale, gli investimenti si concentrano principalmente nel capitale umano e formazione (54,3%), nelle tecnologie e digitalizzazione (46,7%), meno in ricerca e sviluppo (27,4%).

Gli investimenti risultano, quindi, più consistenti per le imprese coinvolte in processi di sviluppo più complessi. In particolare, le imprese che indicano cambiamenti basati su transizione e trasformazione della propria attività investono più delle altre in ricerca e sviluppo (rispettivamente 65,2 e 66,8%), responsabilità sociale e ambientale (50,4 e 52%) e internazionalizzazione (31,8 e 33,2%).

Inoltre, tali imprese investono contemporaneamente in più aree: in internazionalizzazione (11,6%) e responsabilità sociale e ambientale (24,4%) e in almeno 3 delle 5 aree individuate.

Le imprese che hanno investito sono oltre il 90%, soprattutto medie e grandi imprese (rispettivamente 91,7 e 95,4%) a fronte del 60,4% delle microimprese.

Capitolo Lavoro

In ripresa le assunzioni a tempo indeterminato

Nel triennio 2016-2018, caratterizzato da una decisa ripresa dell’occupazione, l’acquisizione di risorse umane ha coinvolto il 52,2% delle micro e il 77,3% delle piccole imprese e poi pressoché tutte le aziende delle dimensioni superiori.

Tra le microimprese la domanda di lavoro è stata più limitata in quelle immobiliari, dove ha assunto risorse poco più di un’impresa su 5, e nel manifatturiero l’industria del legno (meno di quattro imprese su 10). Particolarmente diffusa, invece, l’acquisizione di risorse nelle attività di alloggio e di ristorazione e in quelle artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento (entrambe con oltre il 60% delle microimprese con assunzioni).

Un ruolo centrale è stato svolto dalle assunzioni a tempo indeterminato, che hanno riguardato il 70,1% delle imprese con assunzioni (65,6% delle microimprese e 96,2% delle grandi). A livello settoriale emergono quote particolarmente elevate per le assicurazioni (97%) e la farmaceutica (95,4%). È interessante notare che nel Mezzogiorno l’utilizzo dei contratti a tempo indeterminato per i nuovi assunti (72,3%) è stato superiore a quello delle altre ripartizioni geografiche: Nord-ovest 71,2%, Centro 69,4%, Nord-est 67,0%.

Sono poi il 53,8% le imprese che hanno utilizzato i contratti a tempo determinato (49,3% nelle microimprese). A livello settoriale questa tipologia contrattuale è stata molto utilizzata nel settore della ricettività turistica (85,4%), mentre a livello territoriale è diffusa più nel Nord-est (56,4%) e nel Centro (55,3%) che nelle altre aree.

Solo il 9,1% delle imprese ha utilizzato il lavoro in somministrazione, diffuso soprattutto nelle imprese con 500 addetti e oltre (57,4%). L’incidenza è bassa in quasi tutti i settori e, a livello territoriale, risulta più elevata nelle imprese del Nord-est (12,4%).

Le collaborazioni invece sono state utilizzate dal 20% delle imprese, costituendo la forma meno comune di acquisizione di personale, con livelli contenuti anche nelle grandi imprese (38,9%). Nel Nord-ovest l’incidenza è stata pari al 22,9%, inferiore negli altri territori.

Gli ostacoli alle assunzioni

Tra i principali ostacoli all’acquisizione di risorse umane, un’impresa su due lamenta un costo del lavoro troppo elevato e poco meno di un’impresa su tre l’incertezza sulla sostenibilità futura dei costi delle nuove risorse.

Al crescere della dimensione aziendale, però, l’attenzione si sposta verso le difficoltà nel reperimento di personale con adeguate competenze trasversali e, soprattutto, tecniche: nelle grandi imprese quasi una su due ne lamenta la carenza, con incidenze maggiori per le attività manifatturiere, i servizi di informazione e comunicazione e i servizi alle imprese a più alto contenuto di conoscenza.

Nell’insieme delle imprese del manifatturiero i settori in cui la difficoltà di reperimento di competenze tecniche è maggiore sono la fabbricazione di macchinari ed apparecchiature (un’impresa su due), la fabbricazione di prodotti farmaceutici (43,6%), seguiti dalla produzione di prodotti in metallo, quella di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi e dalla fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica. Nei servizi risaltano i settori delle assicurazioni (52,9%) e la produzione di software, consulenza informatica e attività connesse (47,6%), seguite dalla ricerca e sviluppo e dalle telecomunicazioni.

A porre l’accento sul costo del lavoro troppo elevato sono in particolare le attività di assistenza sociale, i servizi postali e attività di corriere, le attività artistiche e di intrattenimento, i servizi di vigilanza e investigazione, le attività di produzione cinematografica e i servizi di alloggio e ristorazione (tutti con valori prossimi o di poco superiori al 60%).

Il 49,8% delle imprese ha indicato la capacità di lavorare in gruppo come una competenza centrale per la scelta. L’importanza di tale competenza aumenta con la dimensione aziendale (61,7% nelle imprese con 500 e più addetti) ed è particolarmente apprezzata nei settori dell’assistenza sociale (75,4%), dei servizi veterinari (71,7%) e delle attività creative e di intrattenimento (65,7%).

Innovazione, tecnologia e digitalizzazione

Ancora scarso feeling con le tecnologie digitali

Nel periodo 2016-2018 oltre tre quarti (il 77,5%) delle imprese con almeno 10 addetti ha investito in, o comunque utilizzato, almeno una delle 11 tecnologie individuate come fattori chiave di digitalizzazione. L’utilizzo congiunto di tali tecnologie è un indicatore, seppur generico, di intensità d’uso del digitale.

La maggior parte delle imprese utilizza un numero limitato di tecnologie, dando priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali). Solamente a un più avanzato grado di digitalizzazione, gli investimenti in tecnologia divengono strutturali e maggiormente integrati tra loro. La frequenza massima di imprese (oltre 90 mila su circa 210 mila) si rileva per l’utilizzo di 3 tecnologie, delle 11 considerate.

La capacità di fornire assistenza, tecnica o sistemica, è però l’aspetto più critico e dove emerge la necessità di formare il personale esistente o acquisire personale specializzato.

Sostenibilità ambientale e sociale

Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale e sociale delle imprese, dai dati emerge che nel 2018 il 66,6% delle imprese italiane con almeno 3 addetti svolge azioni per ridurre l’impatto ambientale, il 69% per migliorare il benessere lavorativo, le pari opportunità, la genitorialità e la conciliazione lavoro-famiglia, poco meno del 65% per incrementare il livello di sicurezza all’interno della propria impresa o nel territorio in cui opera, quasi un terzo sostiene o realizza iniziative di interesse collettivo esterne all’impresa, poco meno di un terzo sostiene o realizza iniziative a beneficio del tessuto produttivo del territorio in cui opera.

La sostenibilità ambientale (riduzione dell’impatto dell’attività dell’impresa sull’ambiente) viene perseguita maggiormente, e con diffusione simile (circa sette imprese su 10), nella manifattura e nelle costruzioni, così come la sostenibilità sociale (migliorare il benessere lavorativo, le pari opportunità, la conciliazione lavoro-famiglia, ecc.). I settori dei servizi mostrano in entrambi i casi diffusioni meno ampie. La sicurezza all’interno dell’impresa o nel territorio in cui opera viene perseguita maggiormente nell’industria (industria in senso stretto e costruzioni), rispetto alle imprese dei servizi.

Tra i motivi alla base delle azioni di riduzione dell’impatto ambientale, quello prevalente è la presenza di tassazioni e/o sussidi specifici; anche per quanto riguarda il miglioramento del benessere lavorativo e altre componenti sociali del lavoro, la motivazione prevalente è la presenza di tassazioni o sussidi specifici (67,6% delle imprese); il secondo motivo più rilevante è il consolidamento dei legami con la comunità locale (58,1%), seguito dalla migliore reputazione dell’impresa (56,2%). La stessa principale motivazione vale per lo sforzo di incremento della sicurezza interna ed esterna alle imprese (62,6% delle unità).

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