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Censis XVI Rapporto sulla Comunicazione

Il XVI Rapporto sulla Comunicazione dal titolo “I media e la costruzione dell’identità”, realizzato dal Censis, illustra i cambiamenti sociali del consumo mediatico

 

Quali sono le fonti d’informazione degli italiani giunti al “famigerato” anno 2020? Il XVI Rapporto sulla comunicazione realizzato dal Censis spiazza un po’ gli studi dei sociologi degli ultimi anni. Se si credeva che la televisione avrebbe soppiantato la radio e poi che internet avrebbe soppiantato i giornali e la televisione, i dati degli ultimi anni hanno dimostrato che le previsioni erano erronee e che i “vecchi” mezzi di comunicazione resistono alla grande anche se hanno dovuto leggermente modificare il proprio modo di porsi al pubblico. Di certo oggi sono i telegiornali a continuare a rappresentare la principale fonte di informazione “rapida” mentre la carta stampata continua a essere letta, seppur come approfondimento e analisi dei fatti di attualità, grazie al successo degli editoriali e dei commenti. Spiazza però la notizia – allarmante – che dopo i TG la seconda fonte d’informazione del pubblico italiano sia… Facebook! Un social network non dà infatti alcuna affidabilità in quanto chiunque può “sproloquiare” senza alcuna attendibilità su fatti completamente inventati solo a scopo di divertimento o – peggio ancora – di strumentalizzazione per fini personali.

Le fonti d’informazione degli italiani

Secondo i dati divulgati dal XVI Rapporto sulla comunicazione «I media e la costruzione dell’identità», le prime cinque fonti d’informazione utilizzate dagli italiani includono strumenti tradizionali – come telegiornali, reti televisive all news e quotidiani cartacei – insieme all’innovazione fornita dalla piattaforma social più diffusa, Facebook, e dai motori di ricerca su internet, come Google, che permettono in pochi secondi di aggregare risultati per parole chiave o argomenti.

I telegiornali mantengono salda la leadership: sono i programmi a cui gli italiani ricorrono maggiormente per informarsi (59,1%). L’apprezzamento è generalizzato, ma aumenta con l’età: dal 40,4% dei giovanissimi al 72,9% degli over 65.

Elevato è anche il favore accordato alle tv dedicate all’informazione “h 24”, utilizzate per informarsi dal 19,6% della popolazione.

Ma sale anche la carta stampata, con la sua nicchia di fedelissimi, fino a raggiungere il 17,5% (+3,3% in due anni). Seguono i giornali radio (16,7%).

Facebook è però il secondo strumento di diffusione delle notizie, dopo i tg: lo utilizza per informarsi il 31,4% degli italiani. E il 20,7% ricorre ai motori di ricerca online.

Gli argomenti scelti dai media

La politica nazionale è da sempre regina dei palinsesti ma gli utenti compongono un mix personalizzato delle fonti, online e offline. Ad attirarli di più – ma forse proprio perché se ne parla di più – è la politica nazionale. Il 42,4% della popolazione segue le vicende di governi e partiti politici, che così rappresenta il genere di notizie più seguito. Sorprendentemente le informazioni politiche superano di oltre 10 punti percentuali le voci classiche dei palinsesti informativi, come lo sport (29,4%) o la cronaca nera (26,1%) e rosa (18,2%). Nelle diete informative, un rilievo ancora minore è attribuito alle notizie di taglio economico (15,3%) e soprattutto alla politica estera (10,5%).

Come giornale che si occupa di economia reale, dobbiamo però dire che in Italia le notizie di economia vengono diffuse dai “grandi media” in una forma piuttosto complessa che le fa apparire come qualcosa di distante dalla vita di tutti i giorni. Fortunatamente, con la sua modalità comunicativa più unica che rara, Donna in Affari rappresenta un unicum nel panorama informativo italiano e l’interesse di lettrici e lettori resta sempre acceso.

L’influenza dei media nella percezione del futuro

La gran parte degli italiani è convinta che in futuro l’Italia perderà peso economico e politico nello scenario internazionale (57,5%) e che l’Unione europea non si rafforzerà (55,3%). Solo per il 14,8% poi non si deve temere che le democrazie liberali entrino in crisi.

Secondo la maggioranza degli italiani le attività quotidiane verranno svolte tramite internet (67,4%) e i media cartacei (giornali, riviste, libri) sono destinati all’estinzione (49,6%) con un’informazione che sarà meno libera di oggi (42,4%).

Il Censis segnala però che sono in prevalenza le persone che hanno una maggiore dimestichezza con i media personali a mostrare un atteggiamento più positivo verso il futuro: non solo i giovani, ma anche i soggetti più istruiti e gli abitanti delle grandi città.

Il digital gap

Per sfruttare appieno le opportunità offerte dai dispositivi digitali bisogna essere in grado di usarli bene, ma il 25% degli italiani ammette di non possedere le competenze necessarie. I più “attrezzati” per vivere nell’ambiente digitale sono: chi ha tra i 30 e i 44 anni (8%), i più istruiti (11,4%), i più giovani (11,5%). Mentre il 57,3% delle persone anziane confessa un totale deficit di competenze.

Un altro dato che emerge dal Rapporto Censis sulla Comunicazione è che l’11,8% degli italiani prevede di incrementare nel 2020 la spesa per l’acquisto di dispositivi digitali, il 19,6% ipotizza invece una riduzione della spesa, mentre per il 68,6% rimarrà invariata. A spendere di più saranno i residenti del Sud (16,2%), gli abitanti dei piccoli centri urbani (14,6%), i maschi (14,9%) e i giovani adulti di 30-44 anni (15,1%).

Il XVI Rapporto sulla Comunicazione nel dettaglio

Nel 2019 la fruizione della televisione è stabile, ma si registra una flessione dei telespettatori della tv tradizionale (il digitale terrestre: -2,5% in un anno), mentre resta salda l’utenza della tv satellitare (-0,1%) e crescono significativamente la tv via internet (web tv e smart tv salgono al 34,5% di utenza: +4,4% in un anno) e la mobile tv (che è passata dall’1% di spettatori nel 2007 all’attuale 28,2%, con un aumento del 2,3% solo nell’ultimo anno).

La radio continua a rivelarsi all’avanguardia dentro i processi di ibridazione del sistema dei media. Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,4% degli italiani, stabili da un anno all’altro. Ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale perde 5,3 punti percentuali di utenza, l’autoradio è stabile (+0,3% rispetto all’anno precedente) e l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (lo fa il 17,3% degli italiani: +0,3%) e soprattutto attraverso lo smartphone (con una utenza arrivata al 21,3%: +0,6% rispetto a un anno prima) è sempre più rilevante.

Crescono ancora internet, smartphone e social network. Si registra ancora un aumento dell’utenza di internet: dal 78,4% al 79,3% della popolazione, con una differenza positiva di quasi un punto percentuale in un anno. Gli italiani che utilizzano gli smartphone salgono dal 73,8% al 75,7% (con una crescita dell’1,9%, quando ancora nel 2009 li usava solo il 15% della popolazione). I social network più popolari sono YouTube, utilizzato dal 56,7% degli italiani (ma il dato sale al 76,1% tra i 14-29enni), Facebook dal 55,2% (dal 60,3% dei giovani), Instagram dal 35,9% (dal 65,6% degli under 30). E WhatsApp è utilizzato dal 71% degli italiani: il 3,5% in più in un anno (si arriva all’88,9% dei 30-44enni, ma si scende al 30,3% tra gli over 65).

La carta stampata: si è fermata l’emorragia di lettori. Media a stampa ancora nella crisi, ma sembra essersi fermata l’emorragia di lettori. Quelli dei quotidiani, che nel 2007 erano il 67,0% degli italiani, si sono ridotti al 37,3% nel 2019, praticamente gli stessi di un anno prima (il 37,4% nel 2018). Le edizioni online dei giornali si attestano a una quota di utenza pari al 26,4% (la stessa di un anno fa: +0,1%). Nel campo dei periodici, flettono leggermente i settimanali (il 30,1% di lettori, -0,7% in un anno) e tengono i mensili (il 27,4% di lettori: +0,9%). Gli aggregatori di notizie online e i portali web d’informazione sono consultati dal 51,6% degli italiani, con una crescita del 5,5% rispetto all’anno precedente. Anche i lettori di libri in Italia continuano a diminuire anno dopo anno. Se nel 2007 il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un volume nel corso dell’anno, nel 2019 il dato è sceso al 41,9%, ma sembra essersi fermata la caduta, dal momento che il dato risulta stabile rispetto all’anno precedente (-0,1%). Né gli e-book (letti solo dall’8,5% degli italiani, con una variazione nulla in un anno) hanno compensato la riduzione dei lettori.

In dieci anni quadruplicata la spesa per i telefoni. La spesa delle famiglie per i consumi mediatici tra il 2007 (l’ultimo anno prima dell’inizio della crisi) e il 2018 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza essere ancora tornato ai livelli pre-crisi (-2,0% in termini reali è il bilancio nel periodo considerato), la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto quadruplicando in valore (+298,9% nell’intero periodo, per un valore di oltre 7 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella dedicata all’acquisto di computer e audiovisivi ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+64,7%), mentre i servizi di telefonia si sono assestati verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-16,0%, per un valore però di 16,8 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno). La spesa per libri e giornali ha subito invece un vero e proprio collo nel decennio (-37,8%), che però si è arrestato nell’ultimo anno, quando c’è stato invece un rialzo del 2,5%.

Le diete mediatiche di giovani e anziani. La piramide dei media dei più anziani vede al vertice la televisione (96,5%), con i quotidiani (54,6%) e i periodici (52,2%) collocati ancora sopra internet (42,0%) e smartphone (38,2%). Televisione e carta stampata, dunque, costituiscono le fonti principali per chi ha 65 anni e oltre. Una vera piattaforma di accesso digitale si presenta invece tra i più giovani. Tra chi ha 14-29 anni risultano appaiati internet (90,3%), tv (89,9%), telefono cellulare (89,8%) e social media (86,9%): in questo caso siamo compiutamente nel regno della transmedialità.

Le differenze territoriali. La più ricca piattaforma mediatica è quella su cui si collocano gli abitanti delle grandi città (con più di 500.000 residenti), in cui praticamente tutti i dati si posizionano al di sopra della media nazionale dei consumi mediatici, con l’eccezione dei quotidiani, letti solo dal 20,4% della popolazione. Nelle aree metropolitane hanno preso più piede sia la mobile tv (31,6%) che la tv on demand (31,3%). Al contrario, nei centri urbani minori (fino a 10.000 abitanti) i consumi mediatici sono per la maggior parte al di sotto della media nazionale, con la sola eccezione dei quotidiani: il 40,5% di lettori, cioè il doppio rispetto alle grandi città.

La costruzione dell’identità nell’era biomediatica. La famiglia costituisce ancora di gran lunga il primo fattore di identificazione. Lo è per il 76,3% degli italiani e in misura maggiore per gli anziani (83,5%). L’essere italiano (39,9%) e il legame con il proprio territorio di origine (37,3%) si collocano a poca distanza l’uno dall’altro. Segue il lavoro (29,2%), una leva di identificazione più forte tra chi ha una età compresa tra 30 e 44 anni (39,1%). Poi la fede religiosa (17,2%) e le convinzioni politiche (11,8%). Solo dopo viene l’identità europea (10,9%). Ma per il 3,5% è il proprio profilo sui social network a determinarne l’identità, e questa percentuale sale al 9,1% tra i giovani: uno su dieci.

La presentazione del XVI Rapporto sulla comunicazione

Il XVI Rapporto sulla comunicazione, realizzato dal Censis e promosso da Agi, Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre, è stato presentato il 20 febbraio a Roma presso la Sala Zuccari del Senato da Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, e discusso da Massimo Angelini, Direttore Public Affairs, Internal & External Communication di Wind Tre, Salvatore Ippolito, Amministratore Delegato di Agi, Vincenzo Morgante, Direttore di rete e delle testate giornalistiche di Tv2000, Roberto Nepote, Direttore Marketing della Rai, Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione di Mediaset, e Giuseppe De Rita, Presidente del Censis.

 

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