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Genitori ai tempi del Coronavirus

Essere genitori ai tempi del Coronavirus è complicato: tra lezioni online, smart working e spazi ristretti bisogna gestire diversamente il rapporto con i figli. Spieghiamo come grazie alla dott.ssa Roberta Rubbino

Essere genitori ai tempi del Coronavirus non è semplice, con questioni pratiche e burocratiche da gestire e la grande attenzione verso i propri figli. La chiusura di alcune attività, il lavoro in smart working per chi può proseguire comunque una certa operatività, ma soprattutto la chiusura delle scuole, insieme all’obbligo di restare in casa sta mettendo a dura prova gli equilibri di molte famiglie.

I bambini in “clausura forzata”
Non dimentichiamo che questa strana situazione, questo tempo sospeso, sta pesando anche su bambini e ragazzi, e più di quanto possiamo immaginare. Ci sono intensità e diversità nei vari approcci a questa nuova condizione abitativa ed esistenziale. Non avere la possibilità di svago, di correre e di giocare all’aperto, per i più piccoli specialmente, è una grande privazione. Senza considerare che non tutti vivono in case grandi o con giardino. I tempi sono ancora lunghi per tornare ad una vita all’aperto.

la psicologa e psicoterapeuta Roberta Rubbino

Il lato positivo del rapporto figli genitori ai tempi del Coronavirus
Secondo la dott.ssa Roberta Rubbino, psicologa-psicoterapeuta, responsabile Area Età evolutiva dell’Istituto Beck per la terapia cognitivo comportamentale “i bambini in età prescolare, per esempio, soprattutto quelli abituati a stare poco con i propri genitori, possono vivere questi momenti di ‘quarantena’ come un vero e proprio sogno che si avvera. Il rischio però è che, se non si mantiene una routine il più possibile simile a quella precedente alla quarantena e una adeguata stimolazione fisica e cognitiva, è possibile il verificarsi di comportamenti regressivi come l’enuresi notturna, la richiesta di essere imboccati, una maggiore richiesta di vicinanza fisica o un impoverimento del lessico.”

Il rapporto con gli adolescenti
Più si cresce con l’età, invece, più il rapporto con i pari, il bisogno di esplorazione e la privacy crescono di importanza.  “Gli adolescenti” continua la Dottoressa “cominciano a preferire nuove figure di riferimento con le quali confrontarsi o passare il proprio tempo e non poterlo fare è fonte di un grande senso di impotenza e frustrazione”.
Da non sottovalutare anche il rischio noia nei ragazzi più grandi. “La ‘quarantena’ sta quindi costringendo a stare a casa degli individui programmati per ricercare piaceri da vivere a pieno e limiti da superare.”
La Dottoressa Rubbino, nel descrivere il delicato periodo dell’adolescenza, parla di adultessenza citando Daniel Siegal proprio per sottolineare come questo periodo della vita sia il momento in cui ogni ragazzo e ragazza sviluppa l’adulto che sarà.
“L’adolescente è pronto a mettersi in gioco in mille avventure senza dare troppa importanza alle conseguenze negative o agli svantaggi a lungo termine. Questo è anche il periodo in cui cambiano le figure di riferimento: i problemi o le difficoltà non vengono più riferite a mamma o papà nel lettone la domenica mattina, ma ai compagni di scuola o agli amici del quartiere. Certo si può sempre comunicare via chat ma non è la stessa cosa quando si sta a casa con i genitori in sempre agguato. È importante quindi salvaguardare la privacy dei ragazzi, far capire che hanno un loro spazio e che verrà rispettato da ogni membro della famiglia. Esistono però delle eccezioni, ovvero quei ragazzi per cui la socializzazione rappresenta un problema o una sfida difficile da superare. È compito dei genitori aiutare questi ragazzi a non aumentare l’isolamento o il vuoto che possono crearsi intorno.”

Perché molti bambini non vogliono né vedere né parlare al telefono o in video con nonni, cugini o parenti? Cosa passa nella testa dei bambini?
“Questo avviene soprattutto nei bambini in età prescolare quindi prima dei 6 anni. Sembrano esserci due elementi alla base di questo comportamento: il primo è una difficoltà nella regolazione emotiva: vedere parenti o amichetti allo schermo li attiva emotivamente e quindi anche fisicamente (una vera e propria sovraeccitazione) tanto da non riuscire a gestirne l’intensità. Da qui il manifestarsi di comportamenti di rifiuto o di difficoltà a tornare a uno stato di calma una volta terminata la chiamata. Il secondo fattore ha a che fare con le caratteristiche di sviluppo e in particolare i loro tempi di attenzione. È possibile, comunque, trovare questo tipo di comportamento anche nei bambini più grandi e se ci riflettiamo, anche negli adulti. Compito dei genitori è quindi quello di aiutare i bambini ad esprimere i loro stati d’animo e le loro emozioni semplicemente accogliendole senza dare un’opinione al riguardo. Questa abilità prende il nome di validazione. Invece di soffermarci sul comportamento e magari sottolineare quanto il/la parente possa rimanerci male nel vedere il nipotino o la nipotina che non vuole parlare con lui/lei, è bene aiutare il proprio figlio ad esprimere il motivo per cui lo fa. Creare uno spazio fisico ed emotivo in cui accogliere la sua sofferenza per poi trovare insieme una soluzione. Un dono prezioso per i bambini, e spesso anche per gli adulti, è quello di capire che anche le emozioni spiacevoli fanno parte della vita e assecondare comportamenti di evitamento, in realtà, non ci libera mai completamente dalla sofferenza ma anzi, ci toglie una fetta di esperienze per noi importanti. Mandare un video messaggio, una lettera o un disegno prima di riprovare a fare una video chiamata potrebbe essere di aiuto ai bambini, per familiarizzare con le emozioni spiacevoli ed imparare cosi a conviverci.”

Come devono comportarsi i genitori? Spesso sono entrambi a casa ma in modalità smart working, con impegni di lavoro e forse anche qualche preoccupazione di tipo pratico o economico. Come devono agire, sia con i più piccoli che con gli adolescenti in casa?
“La routine di ogni famiglia è stata stravolta ma è bene ricordarsi che l’organizzazione e la prevedibilità rappresentano la formula corretta per il benessere di ogni essere umano. È di fondamentale importanza continuare a dare “una forma” alle giornate. Questo implica un lavoro di squadra in cui ogni membro della famiglia deve fare la sua parte anche se prima aveva avuto un ruolo marginale. Come ci hanno insegnato le leggi della fisica, tutto si può trasformare. La riorganizzazione durante la quarantena ha subito certamente delle variazioni, ma i momenti riguardanti sonno, alimentazione, vestizione, igiene personale e attività fisica devono essere gli aspetti meno stravolti. Avere un programma giornaliero delle attività da compiere aumenterà, per tutti, il senso di collaborazione familiare e di controllo. Il consiglio è quello di realizzare una lista di attività che non tenga conto solamente del lavoro. ma anche dei momenti di svago e di attività fisica.”

L’uso della tecnologia, da dosare quanto basta. Un supporto o un motivo di scontro generazionale?
“Indipendentemente dall’età, in questo momento la tecnologia è l’unico strumento che abbiamo per mantenere i contatti sociali, se si escludono le persone con cui condividiamo lo stesso tetto. È uno strumento prezioso e bisogna che si eviti che diventi un motivo di scontro più di quanto non lo sia già. Questo implica la revisione delle regole rispetto all’uso dei dispositivi elettronici in casa. L’uso del pc per la didattica online non deve essere preso in considerazione nel conteggio del tempo a disposizione dei bambini e dei ragazzi e bisogna fare una distinzione tra l’uso della tecnologia per i giochi online e quello per la socializzazione. Le linee guida promosse dall’Associazione degli Psicologi Americani sconsigliano assolutamente l’uso dei dispositivi elettronici per i bambini con meno di 2 anni, il massimo di 1 ora al giorno per i bambini in età prescolare, mentre dai 6 anni in poi l’importante è che nella gestione del tempo, l’utilizzo dei dispositivi elettronici non sostituisca o alteri attività fondamentali quali il sonno, i pasti, l’attività fisica regolare, lo svolgimento di attività ludiche. Qualsiasi sia il regolamento che verrà messo in atto, ricordiamoci sempre che il primo esempio deve partire da noi adulti altrimenti ogni regolamento, premio o punizioni non sortiranno alcun effetto.”

Una volta tornati ad una nuova normalità, dopo questa forte esperienza di reale convivenza, cosa cambierà per le famiglie?
“È una domanda che ci stiamo ponendo tutti e alla quale non abbiamo purtroppo una risposta precisa. Il Covid-19 può essere considerato come uno tsunami e niente sarà più come prima. Per alcune famiglie si sta rivelando un’occasione per rimettere ‘le cose al proprio posto’, per altre invece la definitiva sentenza di qualcosa che non si aveva il coraggio di affrontare. All’interno delle mura domestiche ci si sta riscoprendo o forse conoscendo davvero per la prima volta, si sta imparando ad ascoltare e a rispettare gli spazi. Qualsiasi sia la scoperta che ognuno di noi sta facendo, in qualsiasi assetto familiare si trovi, la cosa più importante è che non si perda nel tran tran della vita una volta che tutto questo, lentamente, finirà. Il mio augurio è che le famiglie non ricomincino, in un futuro spero non così lontano, ad essere delle catene di montaggio di azioni automatiche ma sistemi in cui ogni individuo abbia un proprio ruolo, un proprio spazio, una voce.”

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