Ambiente Imprenditoria

Intervista esclusiva alla Senatrice Patty L’Abbate

La Senatrice Patty L’Abbate, economista ambientale, si sta occupando di vari temi attualissimi, dalle mascherine sicure per tutti alla lotta all’inquinamento all’economia circolare e ci informa di un bando europeo per le imprese

Membro della Commissione permanente Territorio, ambiente, beni ambientali, membro della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, presidente della sezione bilaterale Italia Svezia, membro della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Iniziativa Centro Europa (InCE), la Senatrice Patty L’Abbate potremmo dire che è la donna giusta al posto giusto in questo periodo storico tanto particolare.

Abbiamo iniziato la nostra intervista proprio parlando della necessità più impellente in questo momento in Italia: le mascherine, dispositivi di protezione sicuri e per tutta la popolazione. Infatti è proprio lei, per la propria personale competenza specifica, abbinata al ruolo che ricopre, ad occuparsi di questo tema, e lo sta facendo con il superamento di diversi ostacoli ma con buoni risultati. Ecco cosa ci ha detto:
In questo momento di emergenza a mio avviso ognuno deve tirar fuori il proprio background per dare veramente una mano. Quindi visto che io, a parte essere senatrice, membro della commissione ambiente ed economista della sostenibilità, faccio ricerca nel settore delle eco innovazioni, e dunque dei miglioramenti dei processi industriali, mi sono fin da subito dedicata alla problematica della mancanza delle mascherine, le protezioni facciali sia per la cittadinanza, sia per gli operatori sanitari. La mia conoscenza del settore imprenditoriale italiano, soprattutto del settore del tessile e del tessuto non tessuto (si chiama proprio così), mi ha permesso di approcciare varie aziende, grandi e PMI, per creare una rete di supporto per la produzione di mascherine. Ci sto lavorando da tre settimane (ho conversazioni telefoniche continue con imprese, istituti di ricerca, ecc.) con ottimi risultati perché abbiamo già molte aziende che non hanno avuto nemmeno bisogno di fare grandi trasformazioni per produrle in quanto avevano già delle attrezzature con le quali era possibile costruire un nuovo prototipo di mascherina. Siamo a buon punto ma il lavoro è stato duro perché bisognava recuperare le materie prime in Italia. In particolare ciò che occorre è il tessuto non tessuto, una materia prima che ha proprietà filtranti e idrorepellenti e altri tipi di materiali che a volte hanno necessità di essere trattati. Ho parlato sia con il Commissario Arcuri sia con le Associazioni imprenditoriali, ad esempio Confindustria Moda, sia con il politecnico di Bari che sta mettendo a punto una serie di studi al riguardo, e abbiamo creato un gruppo di lavoro. Ognuno ha fatto la propria parte e diverse aziende stanno già producendo le mascherine, sia quelle per gli operatori sanitari, sia quelle per la cittadinanza, per la collettività, che non hanno necessità di test per seguire norme particolari (come le “UNI”).
Abbiamo già avuto ottimi risultati e vedremo nel prossimo Decreto che porteremo per la votazione in Parlamento l’8 o il 9 aprile, se ci saranno anche ulteriori novità per agevolare questa produzione che – attenzione – deve essere di qualità. Perché bisogna controllare quei “rami alternativi” di prodotti che arrivano dall’estero ma sono di bassa qualità o anche dall’Italia ma costruiti magari in aziende non salubri che mettono sul mercato delle mascherine potenzialmente pericolose. Mentre se si crea una rete, un circuito controllato dei nostri centri di ricerca pubblici, delle nostre università che collaborano con le Regioni a livello nazionale, con noi dello Stato, c’è un discorso di qualità.
Sono state già effettuate delle linee guida e alcune aziende le stanno già seguendo. Molto spesso effettuo questo ruolo di tramite tra la parte tecnica e la parte legislativa e il Governo.

Il lavoro della Senatrice Patty L’Abbate nell’InCE
Tra gli obiettivi dell’Iniziativa Centro Europa (InCE) c’è il rafforzamento della cooperazione multilaterale tra gli Stati membri a livello parlamentare, della partecipazione di tutti gli Stati membri al processo di integrazione europea, la promozione della cooperazione economica e la tutela dell’ambiente conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. In particolare abbiamo posto alla Senatrice Patty L’Abbate la seguente domanda:

Gli obiettivi dell’InCE dovrebbero essere quelli di attuare una politica condivisa sovranazionale per quanto riguarda lo sviluppo economico, tutela dell’ambiente, cooperazione inter-culturale, libertà dei media, cooperazione scientifica, educazione e formazione. Quali passi sono stati fatti nell’ultimo anno?
Tra gli obiettivi principali, come lei ha detto c’è anche quello di promuovere la cooperazione economica e la tutela dell’ambiente conformemente al principio dello sviluppo sostenibile.
Nell’ultimo anno l’InCE si è riunita a novembre 2019, a Roma, presso la Camera dei Deputati, dove c’è stato l’evento conclusivo, a livello parlamentare, della Presidenza di turno italiana dell’Iniziativa Centro Europea (InCE), e a maggio 2019, a Trieste, presso la Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia. A Roma, la delegazione parlamentare italiana ha scelto quale tema della riunione “Sviluppare le Infrastrutture per la Competitività delle Imprese nell’area InCE” con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione delle delegazioni presenti sul ruolo espansivo delle politiche di connettività infrastrutturale ai fini dell’integrazione economica e commerciale dell’intera regione InCE.
È stata enfatizzata la necessità di neutralizzare gli effetti negativi insiti nel processo di globalizzazione, utilizzando efficaci politiche di interconnessione nel campo dei trasporti, dell’energia, del commercio e delle relative infrastrutture, per rafforzare la competitività delle imprese. Al termine della riunione è stata approvata una Dichiarazione nella quale l’assemblea parlamentare dell’InCE invita i Paesi membri a collaborare per eliminare gli ostacoli giuridici e regolamentari esistenti nel mercato dell’energia e impostare così un approccio condiviso sulle politiche infrastrutturali dell’area InCE, sottolineando il ruolo della Business Dimension dell’Iniziativa Centro Europea come strumento centrale per promuovere la competitività delle imprese in quest’area.
A Trieste è stato trattato il tema del “rafforzamento della dimensione locale dell’Iniziativa Centro Europea” con l’obiettivo di stimolare la riflessione sul ruolo delle autorità regionali e locali nel promuovere i valori dell’InCE e nel tradurli in politiche e progetti concreti.
Una “local dimension” che si affianchi alle “dimensioni” intergovernative e parlamentari, per un dialogo costruttivo, la creazione di sinergie positive ai fini del processo di integrazione europea dei Paesi membri che ne sono ancora esclusi oltre che nella costruzione di una rete di rapporti finalizzati allo sviluppo delle infrastrutture, allo scambio reciproco e alla crescita delle rispettive economie; sviluppare forme di cooperazione orizzontali.

L’emergenza sanitaria ha bloccato questo processo o messo a dura prova la politica dei 18 Stati membri dell’INCE? Oppure al contrario, l’ha rafforzata, visto che sono stati proprio alcuni Paesi dell’Europa dell’Est a portarci degli aiuti?
Infatti da loro stiamo avendo un grande supporto. Ad esempio dall’Albania – che conosco sia a livello istituzionale sia a livello personale – abbiamo avuto veramente un grande supporto. È un popolo che, anche se ha poco, nel momento delle difficoltà quel poco lo mette in comune. Questo ci insegna molto.

Il bando InCE per aiutare le PMI per l’emergenza Covid-19
La Senatrice ci informa di un nuovo bando europeo che è stato lanciato per supportare le PMI in questo periodo di emergenza da Covid-19. Ha una dotazione finanziaria di 600.000 euro ed ha lo scopo di finanziare proposte e progetti negli ambiti della sanità, dell’istruzione, dell’e-learning, della digitalizzazione (ad ogni progetto approvato vengono riconosciuti fino a 40.000 euro). Il link al bando è: https://www.cei.int/news/8809/covid-19-extraordinary-call-for-proposals-launched-600000-eur-for-projects-in-field-of-healthcare.
Viviamo una emergenza che ha scoperto le nostre debolezze, e dobbiamo mettere da parte gli egoismi nazionali. In questa situazione l’Ince ha appena lanciato un bando con una dotazione finanziaria di 600.000 euro per finanziare proposte e progetti negli ambiti più disparati, dalla sanità, all’istruzione ed e-learning fino alla digitalizzazione delle piccole e medie imprese.

La Senatrice Patty L’Abbate per l’Ambiente
In un periodo di emergenza sanitaria in cui la maggior parte del popolo italiano è chiuso in casa, si è visto che l’inquinamento atmosferico è sceso e la qualità dell’aria delle città è migliorata moltissimo, eppure i riscaldamenti domestici – cui si dava la colpa della maggioranza dell’inquinamento cittadino – sono tutti accesi. Ne consegue che di fatto sono proprio le automobili a inquinare… Abbiamo chiesto alla senatrice Patty L’Abbate:

Ci sono riflessioni in merito da parte dei parlamentari e previsioni per un futuro di mobilità sostenibile?
Si è vero, l’inquinamento atmosferico è diminuito notevolmente. I dati dell’EEA – European Environment Agency – confermano una notevole riduzione dell’inquinamento atmosferico. Mostrano soprattutto una forte riduzione di monossido e biossido di azoto, dovuti alla riduzione del traffico e di altre attività nelle grandi città. La riduzione del monossido di azoto, in città come Roma e Milano va dal 24 al 47%. Mentre i dati dell’Agenzia Spaziale Europea, mostrano come ad esempio sopra l’area della pianura padana, è diminuita notevolmente la nuvola rossa di diossido di azoto. Prendendo ad esempio una città come Milano – secondo i dati dell’ARPA Lombardia – nelle ultime settimane la concentrazione di PM10 nell’aria non ha mai superato la quota limite di 50 milligrammi per metro cubo, mentre precedentemente al blocco del traffico e delle attività, il livello medio giornaliero era tra i 79 e i 96 milligrammi. Ci sono stati dei giorni, dove il livello di PM10 è rimasto sotto 17 milligrammi per metro cubo, sono dati incredibili, se consideriamo i livelli precedenti.
Ed è vero che per i canoni della nostra società stiamo vivendo una situazione unica – che mai avevamo vissuto nella storia. L’arresto delle attività industriali e della mobilità, tuttavia non può non generare una riflessione sulla sostenibilità che il mondo potrebbe raggiungere attraverso politiche ambiziose e investimenti lungimiranti, come ad esempio il “Green New Deal”, collegato all’economia circolare. Attualmente c’è piena sinergia, sia a livello governativo che parlamentare sul problema dell’inquinamento. In tema di mobilità sostenibile, nel DL Clima di cui sono stata relatrice, son state inserite molte misure a favore della mobilità sostenibile, è chiaro che si tratta di un inizio, ma la strada intrapresa è quella giusta. Il decreto-legge, è stato fortemente voluto dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, ed ha introdotto misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva europea per la qualità dell’aria. Fra queste c’è il cosiddetto “bonus green” rivolto a chi rottama la vecchia auto, con l’obiettivo di finanziare un’economia sempre più sostenibile
Il “bonus green” è destinato a coloro che vivono nelle città metropolitane delle zone più inquinate e sotto procedura d’infrazione Ue (Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Liguria, Toscana, Molise e Sicilia); contiene anche un contributo di 500 o 1.500 euro per chi rottama una moto o un’auto fino alla classe euro 3 entro il 31 dicembre 2021. Inoltre, l’incentivo può essere speso, per sé stessi o in favore di persone conviventi, per abbonamenti ai mezzi del trasporto pubblico locale e regionale ma anche per l’acquisto di biciclette, sia tradizionali che a pedalata assistita. Anche in merito al Trasporto sostenibile, nel DL Clima sono previste risorse per i comuni per investire sui mezzi ibridi elettrici per il trasporto scolastico dei bambini della scuola dell’infanzia statale e comunale.
Il problema, adesso, è fare tesoro di quanto è avvenuto: è certamente importante ripartire, ma è decisivo farlo con una progettualità diversa. Il mondo deve tornare a produrre ma con un’altra mentalità che metta la tutela dell’ambiente come primo obiettivo.   

Sembra che in queste settimane la preoccupazione per il cambiamento climatico sia stata accantonata, ma il problema esiste e ogni nazione deve fare la propria parte per contrastarlo: quali azioni ancora intende mettere in campo l’Italia?
I contenuti del Decreto Clima, perché, anche se diventato Legge, stiamo ancora aspettando di poter attivare tutte le azioni che vi sono inserite, ma a causa di questa emergenza ci siamo fermati un momento. Per il ‘climat change’ quest’anno l’Italia accanto all’Inghilterra doveva organizzare la COP giovani e la preCOP prima della conferenza Cop 26 [conferenza sui cambiamenti climatici, ndr] Ma come sappiamo tutto è stato rinviato al prossimo anno. Sto seguendo i lavori preparativi, avendo partecipato sia alla Cop 24 e sia alla Cop 25. Ho parlato con l’ambasciatrice inglese in Italia per portare avanti alcuni temi come la decarbonizzazione e la produzione sostenibile attraverso l’ecodesign, in occasione della Cop 26, che deve essere decisiva, perché a mio avviso questa pandemia virale è collegata anche all’inquinamento e quindi alla concentrazione di gas effetto serra in atmosfera. Infatti alcuni studi hanno mostrato che il Covid-19 utilizza come carrier il particolato come il PM 2.5 e il PM 10. Il che significa che dobbiamo riflettere sul fatto che il climate change è collegato direttamente alla salute dei cittadini e del pianeta.

Non dobbiamo effettuare una scelta tra l’aumento del PIL o l’aumento dell’inquinamento; ma l’obbiettivo è aumentare il benessere dei cittadini, magari misurandolo in modo differente. Nell’agenda 2030 gli obiettivi di sviluppo sostenibile che dovremmo portare avanti tutti insieme, segnano la giusta strada per la transizione green. Il prodotto interno lordo è un giusto indicatore, ma semplicemente del mercato, non del benessere della popolazione.

 

Come parlamentare che si occupa in particolare di ambiente, ha rilevato quali rapporti ci siano tra imprenditoria femminile e sostenibilità ambientale?
Ho l’impressione a volte che la parte femminile sia più attenta alla sostenibilità. Forse perché è intrinsecamente portata al prendersi cura dell’altro. Una certa sensibilità io l’ho notata.
Ho conosciuto diverse imprenditrici in gamba, che hanno già una visione molto chiara dell’economia circolare, della sostenibilità dei processi e vogliono veramente effettuare questa transizione. E molto spesso chiedono come fare. Ma quando parlo di femminile, devo essere sincera, non parlo solo delle donne perché a volte c’è una parte femminile anche negli uomini, soprattutto nei giovani, che hanno acquisito una certa sensibilità. Ci sono Start-up innovative, costituite sia da donne sia da ragazzi, che hanno acquisito una nuova visione di produzione, un’ottica più di sharing, di condivisione. È come se alcune virtù si siano risvegliate, si  collabora  invece di  competere. Per questo penso alla sharing economy.

Quali forme di aiuto il Parlamento propone di dare alle imprese in difficoltà per la transizione ecologica, per procedere verso il Green New Deal?
Ce ne sono molte, già nell’ultima Legge di Bilancio ci sono state una serie di proposte ed emendamenti, poi diventati attuativi, che riguardavano per esempio l’Industria 4.0. Incentivi per eco-innovare e per effettuare  formazione, in quanto  con l’innovazione anche il tipo di lavoro cambia. Ad esempio per il settore  ICT  [Information and Communication Technology, ndr] sono necessarie figure professionali con specifiche  competenze. Quindi  un approccio integrato fra  imprese / università e ricerca è fondamentale. In questo modo le imprese potranno realmente innovare ed essere competitive in un mercato sempre più globalizzato che sta andando verso un nuovo modello economico circolare.
Nel pacchetto del Green Deal ci sono azioni che hanno questo duplice aspetto: da una parte supportano le piccole e medie imprese per poter virare verso un’economia green e circolare; dall’altra  ovviamente  si cerca di ridurre il cambiamento climatico. Il Green Deal è un patto verde fra le aziende, i governi ma anche con la cittadinanza che deve acquisire uno stile di vita differente formulando una domanda diversa di beni da acquisire dal mercato. Perché se il cittadino è informato crea una  domanda di beni sostenibili, acquisterà  beni e servizi green e le aziende si dovranno adeguare ad una produzione sostenibile.
Lo stato può supportare con  incentivi le aziende, ma attenzione: è la popolazione che decide cosa mettere nel carrello della spesa.
Facciamo un esempio: se la popolazione sa che un PC magari è leggermente più costoso ma non ha un’obsolescenza programmata, ossia durerà più a lungo di un altro PC con stessa destinazione d’uso,  non lo si dovrà cambiare dopo un breve periodo di tempo, allora è conveniente acquistarlo.In questo modo la popolazione avrà dato il proprio contributo alla sostenibilità ambientale perché, se funziona per più anni, non si dovrà consumare altra materia prima ed energia  per  un prodotto nuovo. Così si consuma  meno capitale naturale  e si emette meno Co2 in atmosfera. È tutto collegato.  E’ un nuovo modo di fare impresa, ecoinnovare per produrre valore,  non solo  economico ma anche  sociale.

Ci sono invece soluzioni allo studio nei confronti di chi non vuole cambiare mentalità e adeguarsi alle azioni che un po’ tutti noi stiamo mettendo in campo, nel nostro piccolo, in favore della sostenibilità? Intendo contro chi inquina, chi danneggia l’ambiente marino o forestale, i territori, ecc.?
Le sanzioni. L’inquinamento può essere regolamentato dalle sanzioni riconducibili al principio di derivazione comunitaria secondo il quale ‘chi inquina paga’. Inoltre per i bandi pubblici, le PA rispettano i CAM (Criteri ambientali minimi), ossia le forniture di prodotti e servizi seguono le regole degli “acquisti verdi”, i Green public procurement. Bisogna che un prodotto abbia certi requisiti, vengono effettuate delle valutazioni del prodotto in termini di ciclo di vita, di servizio sostenibile, di impatto sull’atmosfera, ecc. e se un’azienda non è conforme a queste richieste, non puoi partecipare alle gare d’appalto.
E poi ci sono le etichette ambientali su prodotti e servizi, come la carbon footprint, e l’ecolabel; nel momento in cui un prodotto riporta sulla confezione un’etichetta ecologica, i cittadini hanno la possibilità di comparare i prodotti e scegliere il più sostenibile.
Un problema serio a questo proposito è il greenwashing [la comunicazione ingannevolmente positiva sull’impatto ambientale, ndr], che deve essere combattuto con armi molto molto serie.

 

Packaging ecologico, biocarburanti, riciclo, economia circolare. Oggi i nostri enti di ricerca hanno già pronte centinaia di soluzioni ad hoc e, se veramente lo si volesse, fin da subito potremmo attivare un circolo virtuoso, ma ciò non accade: perché? per ignoranza? per pigrizia? Cosa potrebbero fare i nostri legislatori per mettere in contatto i ricercatori con le imprese e con i consumatori finali?
Da un lato alcuni concetti fortunatamente sono stati recepiti, ma si riscontra una certa lentezza nel cambiamento, questa è una caratteristica degli esseri umani. Quando un istituto di ricerca ha messo a punto una tecnologia innovativa è necessario un po’ di tempo perché possa diventare una ricerca applicata, un prototipo e poi una merce posta in commercio. L’innovazione deve essere accettata dal mercato. Per fare un esempio pensiamo alla produzione di carne: esistono vegani e vegetariani che potrebbero mangiare la carne fatta in laboratorio, ma che gusto ha? Oppure ci sono alimenti fatti con gli insetti, ma in quanti sono pronti a mangiarne?
A parte questo c’è un altro aspetto: la verifica del rischio. Tutte le volte che immetti qualcosa di nuovo sul mercato devi verificare se il prodotto crea danni a lungo termine. Per esempio quando tanti anni fa si è cominciato ad utilizzare l’amianto nelle costruzioni, si pensava che fosse un prodotto eccezionale: manteneva il calore, aveva tanti pregi ma poi si è scoperto essere cancerogeno.
Ciò significa che le nuove scoperte devono essere anche valutate dal punto di vista del rischio, poiché andiamo incontro a qualcosa che non conosciamo ancora bene. Infine la ‘novità’ deve essere supportata da normative e leggi appropriate. Pensiamo agli OGM. Tutto questo porta via molto tempo.

Occorre far passare il messaggio che “diventare ecologici” può rappresentare un guadagno economico per le aziende e può attivare un gran numero di posti di lavoro, creando ricchezza per la nazione. Avendo studiato Economia aziendale e ambientale, con una tesi in economia ecologica e un dottorato di ricerca in economia e management delle risorse naturali, tu cosa diresti?
Perchè diventare ecologici? Prima di tutto perchè stiamo vivendo in un’epoca differente da quelle pregresse: la popolazione è in aumento, nuovi Stati in via di sviluppo con la necessità di acquisire un livello di vita dignitosa. E le risorse della Terra sono limitate: ci sono stock di materie prime come i combustibili, il petrolio, ecc. Sono stock nel senso che non possono aumentare ma si esauriscono nel tempo. Quindi o cavalchi l’onda e diventi ecologico evitando di andare verso il precipizio o ci andrai senza prevenzione.
Ad esempio se non cambiamo il mix energetico, i combustibili fossili saranno sempre di più bassa qualità e anche inferiori come quantità, ed avranno un costo elevato. Come potrai più produrre con un certo costo se dovrai pagare sempre di più l’energia? Si giungerà ad ottenere dei rendimenti decrescenti, che comportano nel tempo una diminuzione del guadagno. Questo per quanto riguarda l’energia, ma è così per qualsiasi cosa. Se siamo ecologici risparmiamo, perché risparmiare significa evitare gli sprechi, altrimenti un domani non avremo più tutto quello che ci serve per le nostre esigenze.
Tra l’altro se una popolazione o una parte di un popolo non ha una vita dignitosa, non solo non è eticamente giusto ma si intensifica il livello di diseguaglianza e la diseguaglianza crea malcontento e violenza.
La sostenibilità ambientale dunque si collega anche con la pace su questo pianeta.
La cura della casa comune, come dice Papa Francesco, è qualcosa che riguarda tutti, spetta a ciascuno essere custode e non padrone della natura che ci circonda. 

 

La Senatrice Patty L’Abbate
Oltre agli incarichi elencati all’inizio di questo articolo, vogliamo sottolineare che la Senatrice Patty L’Abbate come capogruppo della Commissione Ambiente è stata relatrice del Decreto Clima. Ha inoltre partecipato, come delegazione italiana, alla COP24 e alla COP25.
Economista ecologico PhD, è docente in managment delle risorse naturali e delle energie rinnovabili nonché membro dell’associazione internazionale degli economisti ecologici (ISEE), dell’associazione scientifica Rete Italiana LCA.
Si occupa da molti anni di sostenibilità, contabilità ambientale, Life Cycle Thinking, economia circolare ed ecoinnovazione. Docente del master sul Miglioramento continuo dei processi sostenibili presso il Politecnico di Bari, ha al suo attivo diverse pubblicazioni e i sui paper sono pubblicati su: Journal of Cleaner Production, International journal of hydrogen energy, Land Use Policy.

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