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Il ruolo delle banche per la ripartenza

Un sondaggio sul ruolo delle banche per la ripartenza il cui esito conferma la delusione di imprese e lavoratori. Disattesa ogni aspettativa: non arrivano gli anticipi della Cassa Integrazione né vengono erogati i famosi prestiti garantiti dallo Stato

Il ruolo delle banche per la ripartenza sarebbe fondamentale e a tanti piacerebbe se la pubblicità che passa in questi giorni in tv (e per la quale chissà quanto hanno speso) rappresentasse il vero. Invece delusioni e critiche negative si sommano, come conferma la grande indagine nazionale realizzata dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro.

Niente anticipi della cassa integrazione, niente prestiti garantiti al 100% dallo Stato
Solo 6 lavoratori su 100 hanno ricevuto l’anticipo della cassa integrazione dalle banche. Solo il 6,2% dei prestiti garantiti dallo Stato sono stati accolti ed erogati. Tutto il resto è noia. Anzi, rabbia.
Il rischio è sempre lo stesso: consegnarsi nelle mani degli strozzini, con grande gioia della criminalità organizzata, che in questo periodo di “rilancio” economico è in attesa di fare affari d’oro.

Il ruolo delle banche nelle misure a sostegno di imprese e lavoratori
Questo ruolo delle banche per la ripartenza dovrebbe essere fondamentale in questo periodo, in cui c’è necessità di liquidità per affrontare costi fissi e c’è la certezza che la maggioranza delle imprese non riuscirà a fare lo stesso fatturato dei periodi precedenti. D’altro canto non dimentichiamo che le banche sono nate proprio per svolgere questa attività: raccogliere i risparmi e gestirli prestandoli a chi ne ha bisogno in cambio di un interesse. Ora, è comprensibile che le banche abbiano iniziato a svolgere altri tipi di attività, dal momento che i tassi di interesse da alcuni anni sono estremamente bassi e non darebbero loro un sufficiente guadagno. Però in questo periodo potrebbero anche mettersi la proverbiale mano sulla coscienza. La pensano così anche i 1.300 consulenti del lavoro iscritti all’Ordine che hanno risposto al sondaggio tra l’11 e il 13 maggio 2020. Un sondaggio predisposto dalla Fondazione per valutare le difficoltà operative e procedurali per l’erogazione dei sostegni al reddito e l’accesso ai prestiti garantiti previsti dal cd. Decreto “Liquidità”.

Gli anticipi della Cassa Integrazione. Documenti inutili richiesti per evadere la pratica
Con riferimento alla possibilità di anticipo della Cig per i lavoratori, più della metà del campione evidenzia in primo luogo i ritardi degli istituti di credito per l’evasione della pratica (51,9%), assieme al numero eccessivo di moduli da presentare (50,6%) e allo scarso impegno degli istituti nel rendere realmente efficace questo strumento (48,9%).
A ritardare l’anticipo è soprattutto l’appesantimento burocratico. Stando a quanto dichiarato dal 78,2% degli intervistati, gli istituti di credito richiedono ancora, tra i vari documenti, anche la copia del “Modello SR41” che i datori di lavoro devono inoltrare all’Inps per il pagamento. L’inoltro del modello, non necessario ai fini del perfezionamento della richiesta secondo quanto confermato dall’Abi con circolare del 23 aprile scorso, può essere fatto solo dopo aver completato l’iter regionale di autorizzazione della cassa integrazione in deroga.
Si spiega così anche la lunghezza dei tempi che intercorre tra la presentazione della domanda e l’erogazione dell’assegno, stimata dai Consulenti in 50 giornate lavorative, con una variabilità geografica (45 giornate al Nord; 47 al Centro; 65 al Sud).

I prestiti garantiti che non vengono erogati. Documenti inutili richiesti
La situazione non migliora per i prestiti concessi dallo Stato alle piccole e medie imprese, riconosciuti nell’importo massimo di 25 mila euro. Per i Consulenti del Lavoro le procedure di riconoscimento e accettazione delle domande si stanno rivelando molto più complesse e tortuose del previsto. La stragrande maggioranza degli intervistati ha riscontrato rallentamenti della fase istruttoria (68,9% degli interpellati) e soprattutto richiesta di documentazione ulteriore rispetto a quella prevista dal Decreto (68,9%). Ecco cosa fanno le banche per la ripartenza.

Quando la banca disorganizzata approfitta della situazione
Più della metà denuncia l’elevata disorganizzazione del sistema creditizio nel complesso che ancora non è pronto né con la modulistica né con le procedure; mentre una fetta minoritaria, ma comunque importante, segnala la richiesta di apertura del conto corrente presso la stessa banca (21,2%) o la proposta da parte della stessa di prodotti finanziari diversi da quelli previsti dai decreti “Cura Italia” e successivo “Liquidità” (18,6%). Eppure le banche per la ripartenza dovrebbero essere molto più flessibili del solito.

Il commento del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo
Del ruolo delle banche per la ripartenza di sostenere imprese e lavoratori in questa emergenza, così come del rischio di infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema economico-finanziario, se ne è parlato nel corso di una puntata di “Diciottominuti-uno sguardo sull’attualità” con il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho. Secondo il Procuratore “questa fase di emergenza potrebbe contribuire a rafforzare la presa delle mafie sulle imprese italiane oggi in difficoltà” ed è proprio per questo motivo che “lo Stato non può venir meno nel garantire liquidità alle imprese e un sostegno di solidarietà alle persone che soffrono. Perché laddove questo aiuto non arriva dallo Stato, arriva dalla mafia”. Necessaria, secondo il Procuratore, anche una fase di controllo, la cui mancanza “preoccupa anche le banche”. Il tracciamento non è previsto dal Decreto Liquidità ma è essenziale “per evitare che gli aiuti possano essere fruiti da aziende o soggetti legati alla criminalità organizzata”.

Emergenza liquidità vs burocrati
Si aggrava l’emergenza liquidità per aziende e lavoratori: il ricorso alle banche per l’erogazione dei prestiti e degli anticipi bancari, al fine di garantire un più rapido accesso alle risorse nella fase dell’emergenza, resta bloccato dalla burocrazia, che ritarda tempi e prospettive di ripresa. La burocrazia però non è qualcosa di astratto ma una precisa trafila cui i cittadini sono obbligati voluta da alcuni dirigenti. Motivo? Evitare di prendersi responsabilità. Eppure i dirigenti, pubblici e privati, sono pagati molto di più proprio per assumersi delle responsabilità, ma in Italia, repubblica Kafkiana per eccellenza, i burocrati possono fare il bello e cattivo tempo, portare al suicidio un essere umano, far fallire un’intera nazione. Nella nebulosità dei loro operati, vivono nell’ombra e riescono a non risultare mai in prima persona. Sarebbe ora che questa situazione cambiasse e che chi rallenta e ferisce l’Italia finalmente venisse messo con le spalle al muro per assumersi tutte le responsabilità che finora ha evitato. E pagarne le conseguenze.

Un Paese a più velocità. Anche per la Cassa integrazione
Su 100 lavoratori per cui è stata inoltrata richiesta di anticipo della Cassa integrazione agli istituti di credito aderenti all’accordo del 30 marzo, solo 6 hanno ricevuto la somma richiesta: un dato che resta uguale al Nord come al Sud del Paese (fig. 1). Altro che ruolo delle banche per la ripartenza dunque.

I prestiti garantiti al 100% dallo Stato? Non si fidano lo stesso
Il Decreto Legge – che di certo vale di più delle decisioni dei burocrati – prevede che per i prestiti alle piccole e medie imprese garantisca lo Stato il 100% dell’importo fino ad un ammontare di 25 mila euro. Ebbene: a fronte delle 165 mila richieste pervenute al Fondo Garanzia, dal 17 marzo al 13 maggio 2020 solo il 6,2%, secondo i Consulenti del Lavoro, è stato accolto e liquidato.
Perché? È presto detto: gli intervistati (78,8%) hanno riscontrato, tra l’altro, rallentamenti della fase istruttoria (segnala tale problema il 68,9% degli interpellati) e soprattutto (anche in questo caso è il 68,9% a segnalare tale problematicità) una richiesta di documentazione ulteriore rispetto a quella prevista dal decreto!
E poi c’è la banca che ne approfitta – incredibile ma vero: a chi va a chiedere un prestito garantito dallo Stato propone di aprire lì un conto corrente (21,2%) o acquistare prodotti finanziari diversi da quelli previsti dai decreti “Cura Italia” e successivo “Liquidità” (18,6%).
Ma la questione principale è rappresentata dalla richiesta da parte delle banche di ulteriore documentazione volta ad accertare un merito creditizio (la cui logica dovrebbe essere superata dalla stessa natura “emergenziale” della misura). E ripetiamo: altro che ruolo delle banche per la ripartenza!

Cosa chiedono le banche? Le garanzie. Quella dello Stato non conta
Nel 69,6% dei casi è stata richiesta, in fase istruttoria, la dichiarazione dei redditi degli anni precedenti e, nel 62,1%, il bilancio 2019 in bozza. La metà circa (50,2%), inoltre, ha dovuto presentare i bilanci aziendali degli anni precedenti, il 39,5% la dichiarazione dei redditi 2019 in bozza, il 17,4% il Durc aggiornato e il 14,5% i modelli UniEmens degli anni precedenti.
C’è poi un 30% che segnala ulteriore documentazione, tra cui spiccano i modelli SR41, le dichiarazioni Irap, moduli aggiuntivi di autodichiarazioni predisposti dalle banche, visure camerali, autocertificazione antimafia, addirittura il valore degli immobili di proprietà.
Come riscontrato per l’anticipo della Cassa integrazione, le criticità nella fase di istruttoria risultano comuni a tutto il sistema, interessando le grandi realtà nazionali ma anche le piccole banche di territorio, con riferimento alle quali è l’87,1% dei Consulenti a registrare comportamenti non aderenti alle misure indicate.

Quando le imprese rinunciano per sfinimento
Come noto, all’11 maggio 2020 le richieste di accesso ai finanziamenti risultano molto basse rispetto alle attese. Le banche per la ripartenza non vengono prese più in considerazione da imprese e lavoratori a quanto sembra. La farraginosità degli iter, oltre a impedire un accesso alla liquidità tempestivo per tante imprese e a condizionare così le prospettive stesse di ripartenza, ha sicuramente anche l’effetto di inibire l’accesso agli strumenti di sostegno messi a disposizione dal sistema. Tra i motivi per cui le imprese non fanno richiesta di prestiti, il 40,8% dei consulenti del lavoro afferma che le imprese stanno in realtà valutando l’ipotesi di chiusura, mentre il 38,1% dichiara che la complessità delle procedure frena le domande. Il 33,4% adduce come causa rispettivamente il fatto che i tempi di erogazione della liquidità sono troppo lunghi e non funzionali alle esigenze contingenti degli imprenditori e la mancanza di fiducia nei confronti del sistema bancario più in generale.
Prima di tutto, però, quasi 8 Consulenti su 10 (79,1%) adducono, come ragione per cui le imprese oggi non ricorrono alla richiesta di prestiti, anche se garantiti al 100%, il fatto che esse non vogliono indebitarsi ulteriormente. È forse questo il segnale più evidente dello stato di crisi in cui versa il sistema imprenditoriale e delle problematicità degli strumenti messi finora in campo per sostenere il tessuto produttivo italiano, incapaci di intercettare il reale bisogno delle aziende.

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