Lavoro Pari opportunità

Intervista alla direttrice Istat Cristina Freguja

Intervista esclusiva alla direttrice Istat Cristina Freguja sull’occupazione femminile, volano per la ripresa economica

Abbiamo intervistato la direttrice per le Statistiche sociali e il welfare dell’Istat Cristina Freguja per approfondire il tema dell’occupazione femminile in un momento in cui gli effetti della pandemia hanno determinato un ampliamento del divario di genere. Infatti proprio le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi in termini occupazionali e ancora oggi sono preda di pregiudizi, stereotipi e rappresentazioni schiacciate sui ruoli tradizionali. Eppure sono proprio le donne il vero motore della ripresa del nostro Paese. Per la direttrice Cristina Freguja serve un piano d’azione organico per ridurre i differenziali di genere, partendo dagli investimenti nei servizi alla prima infanzia.

La nostra intervista esclusiva alla direttrice Cristina Freguja

Nel 2020 l’occupazione in Italia ha registrato un calo senza precedenti, con una media annua di 456mila unità in meno. Dott.ssa Cristina Freguja, come sta cambiando il mercato del lavoro nel nostro Paese?
“Sì, in effetti si è trattato di un drammatico calo dell’occupazione, che è seguito a 6 anni di crescita ininterrotta. In che misura gli effetti dell’emergenza sanitaria cambieranno il mercato del lavoro dipenderà molto da quanto le conseguenze di questo shock di natura esogena tenderanno a persistere nel tempo. Quando saranno rimosse le restrizioni imposte a contrasto della diffusione del Covid-19, è probabile che chi avrà perso il lavoro o chi avrà visto i propri redditi ridursi, consumerà beni e servizi di natura non essenziale (tempo libero, intrattenimento, ecc.) molto meno di quanto faceva un tempo; ciò potrebbe frenare la ripresa soprattutto nei settori ad alta intensità di contatto (turismo, spettacolo, ecc.), che poi sono anche quelli più colpiti dalle misure di lockdown. Inoltre, una certa quota di consumatori può aver cambiato le proprie abitudini in modo permanente, dando preferenza ai consumi digitali e online (e-commerce, intrattenimento on-line, banca digitale, ecc.); ciò potrà comportare una profonda trasformazione della domanda di lavoro, con una maggiore richiesta di alcuni tipi di lavoratori (ad es. quelli più dotati di competenze digitali), la minore domanda di altri (ad es. il commesso) e, più in generale, la permanenza nell’inattività di quanti si troveranno in una sorta di obsolescenza professionale dovuta ai cambiamenti in atto. Naturalmente, gli interventi di policy potranno avere un ruolo fondamentale nel governare queste trasformazioni, favorendo la riallocazione settoriale del lavoro”.

Pochi giorni fa il vostro Istituto di Statistica ha divulgato la Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione riferita al quarto trimestre del 2020. Direttrice Cristina Freguja, ci può fare un quadro d’insieme sulle categorie più penalizzate dalla crisi, partendo in particolare della condizione femminile relativa a occupati, disoccupati e inattivi?
“Gli effetti della pandemia hanno determinato un ampliamento del divario di genere. Il calo dell’occupazione è stato maggiore tra le donne (-249 mila occupate in meno rispetto al 2019 e -1,1 punti del già basso tasso di occupazione, contro -0,8 punti tra gli uomini), la disoccupazione femminile è invece scesa di più (-11,4% contro -9,7% degli uomini) e si è affiancata a un maggiore aumento del tasso di inattività (+1,8 punti in confronto a +1,4 punti tra i maschi), evidenziando uno scoraggiamento che ha frenato la ricerca attiva di lavoro. Per spiegare la peculiarità della dinamica dell’occupazione femminile, si deve ricordare che le donne sono più spesso occupate proprio nei settori di attività economica che hanno perso il maggior numero di posti di lavoro e, in particolare, nel settore dei Servizi, dove sono impiegate nell’85% dei casi, contro meno del 60% per gli uomini.  Non va dimenticato, inoltre, che le donne sono più spesso occupate in lavori precari e, nel corso della pandemia, chi aveva un’occupazione a tempo determinato ha perso il posto di lavoro alla scadenza del proprio contratto. Va detto però che, anche a parità di settore di attività o di tipo di contratto, l’occupazione femminile ha mostrato comunque diminuzioni più marcate rispetto a quella maschile, segnalando come le donne ricoprano posizioni lavorative comunque più vulnerabili in tempo di crisi”.

L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 ha di fatto aumentato il gender gap. Nell’ultimo anno le donne, più dei colleghi uomini, sono state costrette a ricorrere allo smart working per far fronte alla chiusura di scuole e servizi dell’infanzia o, talvolta, a lasciare il proprio posto di lavoro. Una situazione resa ancora più difficile per effetto delle difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro e per il forte impegno, tutt’ora sbilanciato, nelle attività di cura. Che fotografia ci lascia oggi la pandemia?
“Non c’è dubbio che lo svantaggio delle donne nel mercato del lavoro sia legato al forte impegno nelle attività di cura della famiglia e alle difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e lavoro. Nel 2019, prima ancora che la crisi ci investisse, il tasso di occupazione delle donne senza figli tra i 25 e i 49 anni era pari al 71,9%. Questo valore scendeva al 53,4% in presenza di un figlio in età prescolare e arrivava al 34,1% tra le donne del Sud. Questa evidenza si affianca a una carenza strutturale di servizi per la prima infanzia con una distribuzione profondamente disomogenea sul territorio nazionale, che continua a penalizzare molte regioni meridionali. L’offerta di posti nei servizi educativi per la prima infanzia, che raggiunge il 25,5% dei bambini sotto i 3 anni, si conferma ben al di sotto del parametro fissato dal Consiglio europeo di Barcellona (33%). Tale obiettivo si sarebbe dovuto raggiungere dieci anni fa e, in alcuni regioni del Sud, ancora oggi scende a valori minimi attorno al 10%. L’attuale sistema di welfare italiano tende ancora, quindi, a rispecchiare e ad alimentare lo squilibrio tra i generi nella ripartizione delle responsabilità familiari.
Non meraviglia dunque che, secondo l’ultimo rapporto sul Gender Gap del World Economic Forum (2020), l’Italia si posizioni al 76esimo posto su 153 paesi per uguaglianza di genere e slitti addirittura al 117° posto quando si considera esclusivamente la partecipazione al mercato del lavoro e le opportunità economiche. Non siamo in una posizione migliore nemmeno se guardiamo solo all’Europa, il nostro paese è tra gli ultimi, seguito solo da Grecia, Malta e Cipro.
La letteratura scientifica più autorevole ha ormai acclarato come l’aumento dell’occupazione femminile favorisca la crescita economica e il benessere dei cittadini, contenga il rischio di povertà e aumenti il tasso di natalità. In tempi di bassa crescita e di record di nascite negativi, la riduzione dei differenziali di genere deve dunque essere una priorità, ma le misure di intervento devono essere inserite in un piano d’azione organico, che tenga conto della matrice culturale di tali differenziali, radicati e persistenti. Investire sui servizi alla prima infanzia costituisce un passo fondamentale per ridurre le disuguaglianze di genere, all’origine e con effetti permanenti”.

L’utilizzo del linguaggio di genere ha riacceso il dibattito sugli stereotipi e sulla figura della donna nella società di oggi. Quali misure a suo avviso, dott.ssa Cristina Freguja, occorre mettere in campo per superare questo divario e permettere alle donne di diventare il vero motore della crescita del nostro Paese?
“In Italia, secondo i risultati di un’indagine condotta un paio di anni fa sugli stereotipi ei ruoli di genere (Istat-Dipartimento pari opportunità), quasi il 60% della popolazione tra i 18 e i 74 anni, e senza particolari differenze tra uomini e donne, si ritrova in affermazioni del tipo: “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”; “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”, “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Si tratta solo di alcuni esempi tra i molti indicatori offerti dall’indagine, ma mettono bene in luce quanto la subalternità della donna sia ancora radicata nella cultura. Abbiamo molte analisi e raccomandazioni a livello nazionale e internazionale che offrono argomenti di riflessione e strumenti operativi per contrastare gli stereotipi, promuovendo progetti e interventi per la diffusione di una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’altro, fin dalla più tenera infanzia. Quello che serve è l’adozione di un programma su larga scala, onnicomprensivo e coordinato, che combatta la diffusa accettazione di ruoli stereotipati attraverso campagne di sensibilizzazione ed educative, che assicuri programmi di formazione e di sensibilizzazione obbligatori per gli insegnanti, i media, le agenzie pubblicitarie e, in generale, per tutti gli attori che possono essere veicolo di pregiudizi, stereotipi e rappresentazioni della donna schiacciate sui ruoli tradizionali”.

Dott.ssa Cristina Freguja, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi? Le previsioni di crescita per l’Italia saranno positive?
“Secondo le previsioni economiche d’inverno della Commissione Europea, ci sono segnali di moderato ottimismo per l’intera economia dell’Eurozona, grazie anche alla disponibilità dei nuovi vaccini anti Covid-19. L’Unione Europea potrebbe raggiungere i livelli di crescita che aveva prima della pandemia, già nel secondo trimestre del 2022, ma la ripresa potrà avvenire in tempi diversi negli Stati membri.  Per la zona Euro si stima una crescita del +3,8% nel 2021 e 2022, mentre per l’Italia è previsto un rimbalzo del 3,5%. Se da un lato, però, queste previsioni potrebbero essere smentite da un peggioramento della situazione epidemiologica, dall’altro, non tenendo conto dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund, potrebbero sottostimare i livelli di crescita”.

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