Salute e benessere Società

Come scegliere tra le tante farine di oggi

Le farine di oggi sono di tante – troppe – tipologie diverse e vanno incontro alle esigenze dei consumatori ma questo crea anche confusione nella scelta

Basta muoversi tra gli scaffali di un supermercato per capire che le farine di oggi non sono più quelle del passato: il consumatore ha l’imbarazzo della scelta ma proprio per questo può confondersi e cadere in qualche tranello del “marketing del senza” o di produttori che non hanno attenzione per la sua salute. È importante infatti che i produttori pongano al centro il benessere dei propri consumatori e che questi ultimi siano correttamente informati. Per questo abbiamo pensato di focalizzare l’attenzione su questo prodotto, alla base della piramide alimentare della dieta mediterranea.

La dieta mediterranea abbandonata dagli italiani
La dieta mediterranea è un regime nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei Paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo e in particolare a quello italiano, che è stato riconosciuto tra i migliori a livello mondiale. La dieta mediterranea è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Purtroppo noi italiani, a causa delle “intromissioni” di altre modalità di cucina importate soprattutto dai Paesi anglosassoni, non la seguiamo più (lo abbiamo denunciato già da qualche anno sul nostro giornale: https://www.donnainaffari.it/2015/06/alimentazione-e-salute-la-vera-dieta-mediterranea-che-in-italia-non-si-fa-piu/) e difatti sono aumentate le malattie cardiovascolari e all’età di 50 anni tutti gli italiani siano costretti a prendere almeno un farmaco per qualche problema di salute collegato all’alimentazione errata. Nonostante la vita si sia di molto allungata – siamo al secondo posto nel mondo dopo il Giappone per longevità – non è dunque una vita di qualità. I progressi della scienza e della medicina in particolare ci hanno portato a vivere a lungo ma è necessario seguire i consigli dei medici, che ci dicono a ogni occasione: non fumare, non fare vita sedentaria, stare attenti a non aumentare di peso, tenere sotto controllo il livello di colesterolo e la pressione arteriosa, evitare le cause di diabete.

Tutto ciò porta a problematiche di salute a livello cardiovascolare e nei Paesi occidentali – e in Italia – la prima causa di morte è l’infarto acuto del miocardio. Eppure seguire la dieta mediterranea riduce di un terzo il rischio di malattie cardiovascolari e perfino iniziare a seguirla dopo un infarto riduce l’insorgenza di nuovi attacchi cardiaci di circa il 40%. Questo significa che l’importazione di stili di vita, o meglio di alimentazione, diversi dal nostro ci stanno portando verso direzioni sbagliate. E se a una predisposizione genetica (ovvero alla familiarità con una malattia) non possiamo porre rimedio, a tutto il resto sì. E lo si può fare seguendo i dettami della piramide alimentare, di cui riportiamo due esempi.

I cereali nella dieta mediterranea
Come si vede nella rappresentazione iconografica piramidale della dieta mediterranea, alla base sono state aggiunti negli ultimi anni due livelli (a volte racchiusi in uno): l’attività fisica e il bere acqua o, in minor quantità, liquidi analcolici (per esempio tisane). Ma alla base abbiamo i nostri prodotti tradizionali di Paese agricolo: frutta, ortaggi, verdura, riso, olio (derivato dalla frangitura delle olive, dunque prodotto agricolo) pane e pasta (derivati dai cereali, dunque da prodotti agricoli). La farina, che deriva dalla macinatura dei cereali, in particolare grano e frumento, è dunque un alimento prezioso all’interno della dieta mediterranea. Tanto più che la distribuzione dei componenti della dieta mediterranea prevede che il 60% sia affidato ai carboidrati: sostanze formate da carbonio e acqua contenute principalmente negli alimenti di origine vegetale. Il gruppo alimentare che li contiene in maggiore quantità è quello dei cereali (pane e pasta dunque).

La dott.ssa Cinzia Miriam Calabrese, specialista in medicina interna e nutrizione clinica, evidenzia che alcuni studi hanno dimostrato che un aumento di circa 10 grammi al giorno del consumo di fibre può portare ad una riduzione del 14% del rischio di infarto del miocardio e altri studi hanno rilevato una riduzione del rischio cardiovascolare del 20% per un consumo giornaliero di circa 80 g di cereali integrali. “Negli ultimi anni la scienza ha cercato di far aumentare il consumo di farine di cereali integrali perché riduce il rischio di varie patologie, comprese quelle gastrointestinali, a partire dal cancro, il diabete mellito e compresa la sindrome metabolica (obesità, ipercolesterolemia, ipertensione, insulino-resistenza, malattie cardio-vascolari, ecc.). Di seguito una slide di approfondimento fornita dal DAFNE di UniTuscia:

La farina integrale
La farina integrale è nota dunque per gli elevati benefici che apporta all’organismo. Vediamo perché. La farina alimentare deriva dalla macinazione dei semi di cereali, così denominati perché mantengono in tutto o in parte gli strati esterni del chicco (cariosside) e/o anche il germe. I valori nutrizionali mettono in evidenza l’alto contenuto di fibre (circa 9 gr x 100 gr di farina), di sali minerali e vitamine, mentre è meno ricca di carboidrati complessi, nonché delle proteine gliadina e glutenina. Il chicco contiene anche delle componenti indesiderate dal punto di vista industriale, ma pregiati dal punto di vista nutrizionale: proteine a elevato valore biologico, lipidi essenziali, fitonutrienti ad azione antiossidante, fibre.

Le fibre
Il fabbisogno giornaliero di fibra è di 25 grammi. La fibra alimentare è un “non nutriente” perché non ha un valore energetico in termini di calorie, ma è un elemento importante del metabolismo. È costituita per la maggior parte da carboidrati complessi non digeribili e si trova nei cereali come pane, pasta e derivati, nei legumi, nella frutta e nella verdura. Può essere solubile (si può sciogliere in acqua dove si trasforma in gel che aiuta a regolare l’assorbimento di alcuni nutrienti): un esempio ne sono le pectine che si trovano nei legumi e nella frutta (in agrumi, mele, pere, prugne e uva), mentre la presenza nei cereali integrali è poco significativa. Oppure può essere insolubile, quando non si scioglie in acqua ma è in grado di assorbirne molta, e agisce prevalentemente sul funzionamento del tratto gastrointestinale: un esempio ne è la cellulosa, abbondante negli ortaggi e nelle verdure, nella frutta secca e nei cereali integrali che apportano oltre il 40% di fibra (molto più del fabbisogno giornaliero).

Le fibre sono dunque contenute nei prodotti integrali e, perché si sciolgano e il transito intestinale funzioni correttamente, è bene bere molto quando se ne consumano. Facciamo degli esempi:

  • a colazione si possono assumere circa 30 g di cereali o fette biscottate integrali insieme ad una porzione di latte o yogurt. Oppure, a metà mattina come spuntino.
  • Le farine integrali possono essere utilizzate come alternativa alle farine raffinate per la preparazione di tutti i piatti della tradizione mediterranea.
  • Consumare pasta, riso o altri cereali integrali, con condimenti semplici composti da verdura e un goccio d’olio d’oliva.
  • Se scegliamo preparazioni più elaborate, come sughi di carne o pesce o formaggi o legumi, consideriamoli come un piatto unico.

Come orientarsi nella scelta delle farine di oggi?
Abbiamo iniziato questo lungo articolo di approfondimento con la constatazione che le farine di oggi sugli scaffali sono tante e che abbiamo l’imbarazzo della scelta. Ebbene sappiate che i diversi nomi delle farine dipendono dal grado di allontanamento delle parti più esterne del chicco di frumento. A iniziare dalla farina integrale si passa gradualmente alla “2”, alla “1”, alla “0” e alla “00”. A fare la differenza è ovviamente il contenuto: in amido, proteine, minerali, fibra alimentare.
L’amido abbonda nella farina “00” che è però povera di proteine, fibra e minerali, utili per il corretto funzionamento del sistema cardiovascolare. Al contrario, altri tipi di farina sono poveri di amido ma hanno un contenuto maggiore di proteine e fibra alimentare, che aumenta il senso di sazietà e migliora le funzioni intestinali.

Possiamo riconoscerle anche dal differente colore: se la farina “00” è di un bianco candido, le altre hanno colori gradualmente più scuri.
Per gli usi di cucina però bisogna differenziarle per via della “forza”, ovvero la capacità della farina di tenere nell’impasto l’anidride carbonica che si forma durante la lievitazione. La forza dipende in gran parte da quantità e qualità del glutine; maggiore è il contenuto nella farina, più elevato è il suo valore. Diciamo che gli impasti preparati con farine forti sopportano meglio lunghe fermentazioni, permettono lievitati voluminosi con un’alveolatura ben sviluppata.

Altre farine di oggi
Di seguito un elenco delle farine di oggi, per gentile concessione della dott.ssa Calabrese:

  • Farina di orzo, segale, avena: apportano molte fibre ma non hanno una lievitazione ottimale, hanno bisogno di essere mescolate alla classica farina di grano per preparare pane, torte o dolci secchi.
  • Farina di soia: ricca di proteine, calcio, ferro e magnesio; usata spesso per preparare la pastella, riduce l’assorbimento dei grassi nei fritti.
  • Farina di patate: richiama l’umidità e per questa sua attitudine fa durare il pane più a lungo.
  • Farine di riso e mais: sono buone alternative per chi soffre di celiachia in quanto non contengono glutine, ma sono più povere di nutrienti rispetto ad altre.
  • Farine 0, 00, 1 e 2: è opportuno limitare l’uso della farina 00, la più raffinata di tutte. Vanno preferite le farine di tipo 1 e 2, cioè con un contenuto minimo in proteine pari a 12,00 (calcolate su cento parti di sostanza secca).
  • Farine macinate a pietra: macinate grossolanamente, hanno residui meno digeribili, meno aggrediti dai succhi del pancreas e dunque aiutano il transito intestinale e dopo i pasti non alzano troppo il picco glicemico. Sono queste le vere farine integrali, non quelle raffinate a cui viene aggiunta la crusca.

Attenzione alle farine di oggi senza glutine
In alternativa alle farine più comuni, si trovano in vendita farine senza glutine. Come abbiamo visto, però, il glutine è un elemento indispensabile alla salute umana. Va mangiato e gli unici che devono evitarlo sono coloro i quali soffrono di una specifica malattia conclamata: la celiachia. Che non è una malattia così comune (225.418 celiaci in tutta Italia al 31 dicembre 2019) come il nuovo “marketing del senza” ci vuol far credere. La celiachia è un’enteropatia infiammatoria permanente scatenata, in soggetti geneticamente predisposti, dall’ingestione del glutine presente in alcuni cereali (es. grano, spelta, farro, segale, orzo e avena).

La celiachia è una malattia multifattoriale per il cui sviluppo sono necessari due fattori: uno ambientale (il glutine nella dieta) e uno genetico. Questi due fattori – come riporta la relazione annuale al Parlamento sulla celiachia – sono necessari ma non sufficienti per scatenare clinicamente la malattia. Solo il 3% delle persone geneticamente predisposte che consumano glutine sviluppa prima o poi la celiachia. Al momento attuale non sono noti quali siano gli eventi scatenanti né quando debbano verificarsi nel corso della vita affinché la celiachia si manifesti. La diagnosi di celiachia richiede l’esecuzione della duodenoscopia quindi è inutile usare alimenti senza glutine se non si è eseguito tale accertamento e non si è ricevuta una diagnosi di celiachia. Eliminare i carboidrati dalla dieta fa molto male: si va incontro a molte e diverse patologie mortali.

La storia degli usi della farina. Da dove siamo partiti per arrivare alle farine di oggi
Il prof. Giuseppe Nocca, docente di storia dell’alimentazione, ci ha narrato come si sono evolute le strategie agroalimentari che ci hanno portato ad avere le farine di oggi. L’uomo fin dall’inizio si è preoccupato di estrarre l’amido racchiuso nel chicco di grano. L’amido è infatti protetto dalla cariosside, che è difficile da mangiare perché piuttosto dura. L’evoluzione culinaria ha dunque assecondato questo desiderio di nutrirsi con l’amido contenuto nel grano, partendo dalla bollitura: si mangiava semplicemente il grano cotto. Questo però dava un eccessivo senso di sazietà e gonfiore, dunque si è iniziato a trovare il modo di separare i semi dalla crusca tramite una tramoggia, passando poi alla tecnica della polenta, l’idratazione.

Cotto in acqua, l’amido rigonfia ed è più facile da mangiare, si idrata. Poi si scopre che acqua e farina insieme coagulano anche a freddo e che, seguendo lo stesso principio, se poi si cuociono si hanno delle pastelle, delle frittelle e nel ’600 se ne fa grande uso. Ancora non si pensa agli impasti da stendere con il mattarello. Poi arrivano gli “sfincioni”, i “pizzicotti” e in poche parole la prima pasta con acqua e farina (si fa l’impasto, se ne prendono dei pizzichi e li si fanno bollire in acqua). E solo dopo arriva il pane. Si cerca anche il profumo, non solo la sazietà.

Quindi si decide di rinunciare a una parte dell’amido per il sapore e si scopre la lievitazione. Inizialmente si fanno solo dei panini, ovvero dei pani di forma piccola. Solo nell’Ottocento si cerca anche la grandezza. Sono i pasticceri a guidare il cambiamento. Si chiede al glutine qualcosa in più: di essere più elastico, di avere maggior “forza” per espandersi e crescere. Perché si vogliono dolci e pani alti, simbolo di magnificenza.

 

Oggi, con tutta la grande varietà di farine esistenti, si cerca anche di tornare ai grani antichi, come il senatore cappelli, ma in realtà si tratta di un passo falso: usando questo tipo di grano per la farina non si può fare il pane né i dolci cui siamo abituati perché non riesce a lievitare: non essendo abbastanza forte, i grani di amido vengono sì gonfiati, ma il cristallo si rompe, non ha elasticità. E uno studio scientifico condotto su chi mangiava pane e pasta fatti esclusivamente con farine di grano senatori cappelli ha dimostrato che chi li mangiava aveva gonfiore e pesantezza. “Ai cereali oggi viene chiesto di rispondere a un’esigenza non motivata” denuncia il prof. Nocca. “Riscoprire questa antichità quali vantaggi dà? Senatori cappelli non ha caratteristiche di stabilità genetica quindi se lo vogliamo utilizzare oggigiorno va reingnerizzato perché possa mantenere le sue caratteristiche specialmente nella pasta”.

La scienza applicata alla cerealicoltura
Il miglioramento genetico non è un’invenzione attuale. Oggigiorno il cereale più usato è il frumento e per il 95% della popolazione mondiale quello usato è il triticum aestivum, il resto è il triticum durum, si tratta di frumenti tramandati di generazione in generazione. Ma non tutto è sempre andato per il meglio, poiché nel tempo si sono dovuti affrontare attacchi fungini o situazioni che non permettevano alla pianta di giungere a maturazione e di ottenere le spighe e i grani. Per questo si è dovuto far ricorso alla genetica. In Italia ai primi del ’900 fu Mussolini a richiederlo. Incaricò il dott. Strampelli di aumentare le rese per non far morire di fame la popolazione, mentre oggigiorno – come ci spiega il prof. Francesco Sestili, ricercatore di genetica agraria presso l’Università della Tuscia – gli obiettivi principali sono produrre frumenti con migliore qualità nutrizionale.

“All’epoca di Strampelli si doveva vincere la ‘ruggine gialla’, causata da un fungo, che causava fortissime perdite di produzione; poi si doveva combattere l’allettamento: le piante erano troppo alte, 2 metri di altezza, e una volta mature si piegavano sotto il peso delle spighe fino a terra. Abbiamo abbassato la taglia fino ad arrivare oggi ad avere frumento alto 80 centimetri. Dagli anni Ottanta invece si cerca di aumentare la qualità del frumento, di avere un frumento tenero, con un buon contenuto proteico, un buon contenuto di glutine, una cariosside meno dura”. Questo lavoro è molto importante perché non si possono avere farine di qualità se non si parte da un buon frumento. Ed è utile anche sapere quale tipo di glutine contiene il frumento perché a seconda di questo si ha una farina adatta a un impasto o l’altro. “Inutile utilizzare i grani antichi” sottolinea Sestili, il futuro è altrove: bisogna lavorare, ad esempio, sulle intolleranze, sulle necessità che mostra la popolazione di oggi. Se siamo arrivati fin qui è perché siamo progrediti, tornare indietro non è un bene.

Potrebbe interessarti