Lavoro Opportunità

Il lavoro che c’è, i lavoratori che mancano

Presentata, in occasione del XIII Festival del Lavoro, l’indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro sui lavoratori che mancano

Il lavoro c’è, sono i lavoratori che mancano. O almeno i lavoratori richiesti dalle aziende che offrono lavoro e che ormai da anni non riescono a trovare dipendenti da assumere in quanto non se ne trovano con le qualifiche richieste: un gap di formazione che non si riesce a colmare.

Il divario crescente tra domanda e offerta di lavoro
Entro 4 anni la situazione si farà critica per le aziende, che non riusciranno a portare avanti la propria attività per mancanza di personale adeguato. Il fabbisogno è di circa 4,3 milioni di lavoratori ma le previsioni indicano che 1,35 milioni di posti resteranno vacanti per assenza di candidati. L’indagine di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono” sintetizza in numeri l’emergenza tendenziale provocata dal mismatch, che metterà in crisi le imprese italiane entro il 2026 se non vi si pone riparo.

Il mondo del lavoro ormai cambiato
L’indagine è stata realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e presentata all’Università di Bologna nel corso della XIII edizione del Festival del Lavoro, organizzato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro e dalla Fondazione Studi e tenutosi a Bologna dal 23 al 25 giugno. “Il mondo del lavoro” ha sottolineato Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, “è la cartina al tornasole dei complessi cambiamenti che hanno caratterizzato gli anni passati e ancora di più incideranno su quelli futuri. Confrontarci sulle transizioni economiche, sociali, digitali con tutti gli attori era un imperativo per la nostra categoria, al centro tra le esigenze datoriali e quelle dei lavoratori”. Transizioni che cambiano anche le competenze necessarie per poter essere attrattivi nel mercato del lavoro.

Il mercato del lavoro in crisi per via dei lavoratori che mancano
Chi cerca lavoro non ha competenze e formazione adatta ad occupare i posti offerti dai datori di lavoro. Per fare un esempio basta pensare che siamo appena entrati nella stagione estiva e nei comparti della ristorazione e delle attività ricettive la carenza di personale è tale da non permettere loro di riaprire. Lo abbiamo visto in diverse inchieste anche televisive, lo scriviamo noi da tempo. Sono diversi i motivi che, in un complesso intreccio, hanno causato questa tendenza che interessa persino gli immigrati (14,4% di inattivi in più). I giovani non cercano lavoro – e tutti conosciamo il problema NEET (tra l’altro cresciuti di 194.000 unità) – ma dal 2018 al 2021 la domanda di lavoro è calata di 838.000 persone attive (quelle in età da lavoro,15-64 anni). Per quanto a fare scalpore sia soprattutto la carenza di cuochi e camerieri (circa 50mila irreperibili nel mese di giugno), questi rappresentano una quota importante (23%) di un fenomeno che è però molto diffuso tra altri profili: operai specializzati nell’edilizia, conduttori di mezzi di trasporto, tecnici dell’ingegneria. Complessivamente a giugno 2022, su quasi 560mila entrate previste, 219mila (39,2%) risultavano di difficile reperimento. Nello stesso mese del 2019 tale valore si attestava al 25,6%. A crescere è stata la carenza di candidati (23,7% contro il 12,2% del 2019) mentre la quota di aziende che associa la difficoltà di reperimento alla preparazione inadeguata degli stessi è rimasta pressoché simile (11% circa).

Le cause
Aumentato il numero di quanti non cercano lavoro o sono scoraggiati a farlo (+194mila, per un incremento del’1,5%). Si tratta di un dato importante, che certifica un fenomeno più generale di allontanamento dal lavoro, prodotto da cause diverse, tra cui il rifiuto di lavori a bassa remunerazione, la crescita di forme di lavoro irregolare, l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici avvenuta durante la pandemia o, più semplicemente, una revisione delle priorità di vita nel dopo pandemia, che ha portato ad una visione diversa del lavoro nella vita delle persone. In ogni caso, il risultato è quello di una significativa riduzione della platea di persone interessate a lavorare, che non ha precedenti nella storia più recente. Ma in secondo luogo, ad essere chiamato in causa, è lo storico mismatch esistente nel nostro Paese tra offerta e domanda di formazione, che interviene nello spiegare la difficoltà di reperimento dei profili più specializzati.

I lavoratori che mancano … di formazione
Uno dei primi problemi che andrebbe affrontato a livello culturale è la differenza tra la formazione richiesta dai datori di lavoro e quella posseduta da chi vorrebbe un lavoro. Secondo l’indagine della Fondazione Studi Consulenti del lavoro il disallineamento più forte è nell’istruzione terziaria (la laurea), in cui il gap più importante si registra nell’indirizzo giuridico-politico sociale dove mancherebbero ogni anno circa 12mila laureati, seguito dall’area economico statistica (11mila in meno del necessario), ingegneria (quasi 9mila in meno). Secondo l’Indagine Unioncamere di previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali a medio termine, a partire dal 2022, il mercato del lavoro italiano potrebbe avere bisogno in media ogni anno di circa 238mila laureati e 335mila diplomati secondari, corrispondenti all’incirca ai due terzi del fabbisogno occupazionale complessivo. A questi si aggiungerebbero circa 130mila diplomati delle scuole di formazione professionale. Confrontando tali grandezze con l’offerta di neo diplomati dei diversi livelli di istruzione, si evidenziano già significative carenze, sia sul fronte dell’offerta di laureati, dove ne mancherebbero all’appello ogni anno circa 47mila, un valore pari al 19,7% del fabbisogno, che sul fronte dei diplomati provenienti dalle scuole di formazione professionale, dove il gap sarebbe ancora più elevato sia in termini assoluti (mancherebbero più di 50 diplomati all’anno) che relativi (il 40% dei diplomati richiesti).

I lavoratori che mancano frenano la ripresa dell’economia
Tra i fattori che rischiano di penalizzare la ripresa occupazionale, dopo il costo del lavoro, indicato al primo posto dal 64,5% delle imprese del panel (un panel molto ampio considerando che sono stati impegnati nell’indagine oltre 2.000 consulenti del lavoro) la difficoltà di reperimento dei profili necessari alle aziende (42,7%). Criticità particolarmente avvertita nelle aree in piena ripresa: al Nord Est, il 64,5% degli intervistati indica l’item al primo posto. Le difficoltà di reperimento di nuove risorse sarà la principale tendenza fino alla fine dell’anno, seguita, a distanza, dalla crescita della povertà lavorativa, dalla ripresa di fenomeni di irregolarità del lavoro, ma anche dalla difficoltà crescente delle aziende a “trattenere” i giovani.

Le offerte di lavoro
L’ultimo bollettino Unioncamere Excelsior di previsione dei fabbisogni occupazionali a giugno, confermando i trend degli ultimi mesi, evidenzia criticità importanti con riferimento ad alcuni profili. In particolare, rispetto alle previsioni di assunzione per il periodo giugno-agosto 2022, a mancare saranno soprattutto cuochi, camerieri e professioni in ambito turistico (si stima che saranno più di 50mila le opportunità di lavoro non coperte) e, a seguire, operai edili specializzati (16mila), conduttori di mezzi di trasporto (15mila), personale non qualificato nei servizi di pulizia (quasi 15mila), tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (13mila circa) operai metalmeccanici (più di 21mila, nel settore di specializzazione e in altri), tecnici delle vendite, commessi, personale di segreteria. Complessivamente, su circa 560mila figure che imprese e organizzazioni intendono assumere, anche stagionalmente, quasi 220mila (39,2%) sono difficili da reperire sul mercato.

I profili più richiesti
I lavoratori che mancano spiccano in particolari campi: tra i profili divenuti sempre più difficili da trovare troviamo i farmacisti, i biologi e gli specialisti nelle scienze della vita e i medici: per entrambi questi gruppi professionali, considerati irreperibili rispettivamente dal 76,1% e 63,2% delle aziende, il tasso di carenza sul mercato è cresciuto del 50% rispetto al 2019. Anche per quanto riguarda i tecnici della sanità e dei servizi sociali il 54,6% dei profili risulta irreperibile, ma nel 2019 la percentuale si attestava al 32,4%. I tecnici in campo informatico, ingegneristico e delle produzioni sono tra le professionalità più difficili da recuperare sul mercato (56,6%). Anche tra gli operai specializzati e conduttori di impianti si registra una crescente difficoltà delle aziende, soprattutto nell’edilizia (il tasso di irreperibilità passa dal 29,1% al 49,9%), per gli operai metalmeccanici, chimici e conduttori di mezzi di trasporto: qui la crescita è passata dal 34,3% al 50,8%. Ma mancano sempre più all’appello anche i lavoratori per quelle professioni che non richiedono particolari titoli ed expertise: è sempre più difficile, rispetto al giugno 2019, trovare personale generico nelle costruzioni (dal 6,2% al 30,7%) e nelle attività commerciali e di servizio (dal 5% al 24,5%).

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