Bilancio 2013. Parlamento Europeo: a rischio i fondi per le PMI
Nel mese di settembre il Parlamento Europeo ricomincia i lavori ed affronta le priorità. Tra queste, la principale è la crisi economica, seguita dal budget da predisporre per il 2013, dalla riforma della PAC (Politica Agraria Comune) e dalla predisposizione del bilancio UE a lungo termine
Dopo la pausa estiva il Parlamento Europeo si accinge ad affrontare i temi scottanti che affliggono gli Stati membri. La crisi economica comune si riflette naturalmente sulla disponibilità di budget dell’Unione per il 2013 e si contrappone alla necessità di creare crescita e posti di lavoro. All’orizzonte si vedono tagli sui fondi per le piccole e medie imprese e per la ricerca.
Sui tagli è guerra aperta: chi è a favore, chi contrario. Per l’anno 2013 la proposta iniziale di investimenti era di 138 miliardi di euro, con tagli già previsti; ma il Consiglio vorrebbe limitare ulteriormente i fondi scendendo a quota 132,6 miliardi. I due organismi europei, Parlamento e Commissione, hanno avviato dal mese di luglio le negoziazioni per decidere insieme il budget da destinare alle Regioni Europee, ma la discussione non terminerà prima di ottobre, quando, il giorno 23, è previsto il voto in assemblea plenaria. Ma la discussione potrebbe procedere anche per tutto l’autunno, come fanno notare gli eurodeputati, poiché il Parlamento Europeo “decide in merito al bilancio su piede di parità con i paesi UE, il che significa che esso non può essere adottato senza il consenso dei DPE (Deputati del Parlamento Europeo, ndr)”. Infatti, se non c’è subito accordo, si devono avviare i cosiddetti colloqui di conciliazione tra Consiglio e Parlamento. Il periodo previsto per questi eventuali colloqui va dal 24 ottobre al 13 novembre per arrivare all’approvazione del bilancio definitivo durante la sessione plenaria del 19-22 novembre.
La contrapposizione tra i rami istituzionali europei è scaturita nel momento in cui tutti i Governi dell’Unione hanno iniziato una politica di tagli che ha portato a far aumentare la crisi economica, mettendo in ginocchio soprattutto le piccole e medie imprese. Gli europarlamentari hanno più volte dichiarato che i fondi concessi dall’UE devono servire a sostenere crescita e occupazione ed hanno ammonito i singoli Stati membri a non effettuare tagli inutili che avrebbero pregiudicato gli investimenti aziendali riducendo le possibilità di uscita dalla crisi.
Riguardo alla Ricerca, essenziale per l’innovazione e la concorrenza internazionale tra aziende, gli Stati membri vogliono tagliare i fondi ad essa destinati del 15%, dato in contrapposizione con i fatti, dal momento che solo il 29 giugno i governanti europei hanno stabilito un “patto per la crescita” che stanziava 120 miliardi a tale scopo e impegnava 55miliardi di euro extra bilancio, dunque in più, proprio a sostegno della ricerca e dell’innovazione allo scopo di stimolare la crescita delle imprese.
Ciononostante, la settimana successiva al vertice durante il quale si era pattuito ciò, ecco che “i funzionari pubblici degli Stati membri hanno preso precisamente la direzione opposta preparando la posizione del Consiglio sul bilancio 2013” afferma con amarezza il presidente della Commissione Bilanci del Parlamento Europeo, Alain Lamassoure, facendo rilevare che in questo modo non ci si può fidare nemmeno delle decisioni prese nel modo più ufficiale durante i summit.
Inoltre, gli Stati membri hanno proposto di ridurre del 28% le risorse per il sostegno finanziario alle Piccole e Medie Imprese e di ridurre di 1,6 miliardi di euro i fondi di coesione, essenziali per sostenere i Paesi in difficoltà economica.
E’ un italiano il membro del Parlamento Europeo che risulta essere il principale negoziatore del Parlamento Europeo sul bilancio 2013, si tratta di Giovanni La Via. Questo membro ha segnalato l’ambiguità della logica degli Stati membri avvertendo che oltretutto così si lancia un messaggio confuso ai mercati europei come ai cittadini: “vorrei capire perché – da un canto – i singoli Stati membri chiedono alla Commissione che i fondi UE siano spesi nei loro paesi e – dall’altro – rispondono no quando sono invitati a finanziare tali azioni” dice.
La situazione economica europea infatti funzione esattamente come quella interna dei singoli Stati: si pagano le tasse per ottenere in cambio dei servizi. Ovviamente la cassa europea non è senza fondo e va rimpinguata di volta in volta e, chi lo deve fare, sono i singoli Stati. Essi invece pretendono di ottenere sempre più denaro senza metterne in cassa.
In questo modo la battaglia sul budget viene alimentata da discorsi retorici e puramente politici da parte di chi vuol essere rieletto e dunque vuol far bella figura con il proprio elettorato di appartenenza.
A Strasburgo, sempre nel mese di luglio, il Parlamento Europeo aveva chiesto ai singoli Stati di non effettuare tagli artificiali al bilancio 2013 e di impegnarsi a proteggere i fondi stanziati per la crescita e l’occupazione. A questo scopo ci si doveva accordare sui metodi di calcolo da applicare, in modo che fossero uguali per tutti. Il voto era stato favorevole (540 a favore, 93 contrari, 52 astenuti) ed aveva alimentato la speranza dei parlamentari. Proprio il relatore italiano Giovanni La Via aveva dichiarato: “questo voto avviene in un momento cruciale per l’Europa di oggi. Sono dell’opinione che, dopo il vertice del Consiglio europeo del 28-29 giugno, durante il quale i Capi di Stato e di governo hanno trovato un accordo sul ‘Compact per la crescita e l’occupazione’, dobbiamo chiedere agli Stati membri di investire le risorse necessarie per uscire dalla crisi”. Oggi invece la situazione sembra essersi modificata e gli Stati proseguono nella politica di tagli in contrapposizione con la politica ufficiale europea. I soli tagli possibile invece, affermano i parlamentari europei incaricati della negoziazione di bilancio, sono quelli ai settori “in cui
si registrano ritardi ingiustificati o un basso tasso di assorbimento dei fondi dell’UE”. E questa cosa potrebbe mettere a rischio le sconsiderate politiche di alcune regioni italiane che, come abbiamo già denunciato, preferiscono non pubblicizzare i bandi relativi ai finanziamenti europei per le imprese ed evitare che queste ultime vengano messe a conoscenza delle disponibilità economiche oppure creano ostacoli di ordine burocratico in contrapposizione alle numerose regole sulla semplificazione.
Attualmente, il progetto di bilancio per il 2013 ammonta a 151 milioni di euro in stanziamenti d’impegno (è quanto l’UE può impegnarsi a investire nell’anno) ed è stato pertanto aumentato del 2% rispetto al bilancio 2012; e a 138 milioni di euro in stanziamenti di pagamento (i pagamenti effettivi previsti per l’anno) che sono stati aumentati del 6,8% rispetto al bilancio 2012.
L’aumento dei pagamenti è più elevato sia perché i livelli di pagamento sono stati tenuti artificialmente bassi negli anni precedenti, sia perché si ritiene che la spesa per i programmi pluriennali, previsti nel bilancio a lungo termine, dovrebbe raggiungere la “velocità di crociera” proprio entro questo anno. Infatti, occorre tener conto anche del quadro finanziario pluriennale, poiché è questo che determina la spesa massima che l’UE può sostenere di anno in anno.
A questo proposito, rileviamo che per il periodo 2014-2020 c’è già stata una proposta da parte della Commissione Europea: essa è di 1.033 miliardi di euro in stanziamenti di bilancio (cioè comprese le eventuali necessità extra bilancio) e di 987,5 miliardi di euro in stanziamenti di pagamenti (cioè quelli realmente previsti). Il Parlamento Europeo, dal canto suo, vorrebbe introdurre delle risorse alternative per rendere il bilancio più flessibile, imponendo una tassa sulle transazioni finanziarie al fine di ridurre i contributi degli Stati membri che ora si basano sul 75% PIL (Prodotto Interno Lordo). Con questa riforma, il Parlamento Europeo vorrebbe che i contributi scendessero, entro il 2020, al 40% del PIL. Per fare ciò, si potrebbe, dicono gli europarlamentari, acquisire anche altre risorse dirette, e si ripromette di studiare una proposta di riforma che possa essere condivisa dagli altri organi istituzionali europei e dagli Stati membri. Una nuova battaglia si intravvede dunque all’orizzonte.