Si parla sempre di più di edilizia sostenibile e di efficienza, ma come si misurano e certificano tali parametri?
di Agnese Cecchini
Direttore editoriale Gruppo Italia Energia
Gli strumenti sono diversi, dalla diagnosi energetica degli edifici che possono compiere società di consulenza, a progettazioni o ristrutturazioni edili secondo l’egida di diversi parametri di sostenibilità. I più noti sono la LEED statunitense e il BREEAM britannico.
La Leadership in Energy and Environmental Design, istituitita dalla U.S. Green Building Council (USGBC), attualmente è operativo in oltre 40 paesi nel mondo. Il sistema che si basa sull’attribuzione di “crediti” per ciascun requisito di sostenibilità della struttura, a cui viene attribuito un output in punteggi. Da qui viene calcolata la qualifica dell’edificio che varia da “base” a “platinum”. L’assegnazione del punteggio prevede la valutazione di: risparmio energetico ed idrico, la riduzione delle emissioni di CO2, il miglioramento della qualità ecologica degli interni, i materiali e le risorse impiegati, il progetto e la scelta del sito.
La Certificazione ha un costo che include una quota di ingresso, e varia in base al tipo di certificazione e a seconda della superficie degli immobili valutata.
Il “BRE Environmental Assessment Method” è invece un protocollo di valutazione energetica e ambientale degli edifici nato nel ’90, per conto del istituto britannico BRE (Building Research Establishment), inizialmente per il mercato domestico e in seguito esteso a livello internazionale. Ad oggi ci sono circa 250.000 edifici certificati in oltre 50 Paesi nel mondo.
I due approcci sono simili sia nelle aree di applicazione che nella quantificazione di un punteggio da soddisfare. La differenza è nell’approccio alla normativa. Gli inglesi prevedono un’attenzione maggiore alle normative delle singole nazioni con l’individuazione di soggetti terzi nazionali che valutano i parametri di analisi, mentre la LEED segue gli standard americani originali.
A questo scenario si aggiungono altre correnti di pensiero che possono o meno rientrare in una certificazione internazionale, ma accettate dalla valutazione energetica nazionale -dalla tripla A alla G, ndr – che non escludono attenzione alle tecnologie e all’efficienza in sé. Ad esempio la bioedilizia prevede un ascolto dell’immobile e della sua struttura originaria e permette di salire nelle classi energetiche con l’impiego di materiali biocompatibili (da un cappotto di canne palustri alla lana di pecora).
La tecnologia non è da meno e sta ideando diverse soluzioni di misura, verifica e correzione di comportamenti scorretti dalla regolazione automatizzata delle temperature al monitoraggio degli sprechi.
Altre novità presto arriveranno rispetto la valutazione del calore di cui l’Inrim (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica) ha elaborato uno strumento di misura portatile, un vero e proprio termometro per gli edifici che permetterà, non appena diffuso, di realizzare un concreto passo avanti nella limitazione della dispersione del calore, uno degli aspetti più impattanti sull’ecosistema collettivo.