Fisco e norme

I costi della lenta giustizia italiana

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tribunale-romaUna rilevazione di Confartigianato diffusa il 28 agosto mostra come le imprese, per avere giustizia in una causa civile, debbano attendere oltre tre anni (7 per i fallimenti) sostenendo costi pari a oltre un miliardo di euro l’anno

La lungaggine burocratica fa sì che molte imprese rinuncino a far valere i propri diritti e di questo ne approfittano le persone disoneste, quelle ad esempio che non pagano le fatture convinte che tanto nessuno farà mai loro causa, soprattutto quando si tratta di piccoli importi. Ma di piccolo importo in piccolo importo alla fine si fallisce. E anche dichiarare fallimento è un’impresa ardua, visto che ci vogliono ben 7 anni per “terminare la pratica”. E d’altronde finché non lo si fa ogni attività lavorativa dell’imprenditrice o dell’imprenditore – anche in un altro campo – è sospesa. 

Se la giustizia funzionasse in modo celere, invece, vivremmo in un ambiente economico molto più corretto e anche il numero di ricorsi alla giustizia sarebbe inferiore, dal momento che in un clima di giustizia celere e correttezza le persone pagherebbero i debiti e ci sarebbe più gente onesta.

Ciò premesso, vediamo ora i dati della rilevazione di Confartigianato. Secondo quest’ultima, gli imprenditori italiani per avere giustizia in una causa civile devono attendere mediamente 1.185 giorni, pari a 3 anni e 1 mese. Nel resto d’Europa l’attesa è molto più breve, meno della metà, ovvero 544 giorni.
Sono proprio i Paesi con maggiori difficoltà – guarda caso – ad avere i tempi di giustizia più lenti; prima dell’Italia c’è però solo la Grecia, con 1.300 giorni.
I costi che le imprese devono sostenere a causa di questa lentezza, sono pari a 1 miliardo e 32 milioni di euro l’anno.

“L’efficienza della giustizia civile è un fattore determinante per l’attività delle imprese e per le condizioni di sviluppo del Paese” ha dichiarato Giorgio Merletti, Presidente di Confartigianato. “La decisione del Governo di affrontare il problema dei ritardi del nostro sistema giudiziario è una scelta di civiltà che Confartigianato sollecita da tempo. Le imprese devono poter contare su certezza e rapidità della giustizia civile. Ne va della loro competitività”.

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Non tutta l’Italia è uguale però: i tempi per chiudere una causa variano a seconda del luogo. Nella rilevazione di Confartigianato emerge che le attese più lunghe per un procedimento civile presso il Tribunale ordinario si registrano nel distretto di Messina, con 1.992 giorni. Al secondo posto troviamo Salerno, con un’attesa di 1.919 giorni, e poi: Potenza con 1.831 giorni, Catanzaro con 1.703 giorni e Bari con 1.484 giorni.
I tempi più brevi si rilevano nel distretto di Trento con 601 giorni, seguito da Trieste con 656 giorni, Torino (666 giorni), Milano (739 giorni), Brescia (818 giorni).

E i ritardi ovviamente fanno accumulare le pratiche. Dal 1980 al 2013, negli uffici giudiziari, si sono accumulati 5.257.693 procedimenti civili pendenti, al ritmo di 325 pratiche al giorno.
E non si pensi che ciò dipenda dal numero delle pratiche presentate troppo alto, poiché è proprio una questione di efficienza. La spesa pubblica per la giustizia in Italia è in linea con quella degli altri Paesi (0,3% del PIL contro lo 0,4% della media UE) ma per efficienza il nostro si trova al 24° posto (su 27 Paesi!).

In questi ultimi qualcosa – o meglio qualcosina – è migliorata: tra il 2011 e il 2013 la durata media dei giudizi pendenti dinanzi alle corti d’appello è scesa di 26 giorni (da 1.051 a 1.025), quella dei giudizi pendenti dinanzi ai tribunali è diminuita di 29 giorni (da 466 a 437 giorni) e quella dei giudizi dinanzi ai giudici di pace è calata di 9 giorni (da 367 a 358 giorni). Ma la strada per raggiungere la durata media europea di 544 giorni dei procedimenti civili rimane molto lunga: Confartigianato ha calcolato che occorrerebbero 22 anni e 1 mese se si procedesse ad un ritmo costante di riduzione di 29 giorni per ciascun procedimento. Dunque quando si parla di miglioramento ci viene da sorridere, ma in Italia siamo abituati ad “accontentarci dell’aglietto”.

Chi fa causa e perché

In Italia il 10% dei cittadini maggiorenni è stato coinvolto, come attore o convenuto, in una causa civile. E, tra gli imprenditori, a toccare con mano la lentezza della giustizia sono 582.355 titolari di piccole imprese fino a 20 addetti, di cui 191.456 i titolari di impresa artigiana.

I motivi principali di ricorso alla giustizia da parte degli imprenditori riguardano le cause di lavoro (20,5%), seguite da controversie cliente/fornitore (14,4%), rapporti con assicurazione e banca (10,3%) fallimento e diritto societario commerciale (7,4%), eredità e successioni (4,6%), previdenza e assistenza (1,8%).

Confartigianato ha stilato anche una classifica delle aspettative degli imprenditori rispetto alla riforma della giustizia civile. Vediamola:
1) riduzione della durata della causa, indicata dal 75,4% delle imprese,
2) semplificazione della burocrazia (57,6%),
3) puntualità delle udienze (31,6%),
4) disponibilità dei giudici (30,7%),
5) chiarezza sul costo complessivo (27,7%),
6) correttezza degli avvocati (24,4%),
7) chiarezza sulla durata (23,2%),
8) chiarezza sulla parcella (22,1%)
9) chiarezza sulla possibilità di successo (20,6%).
Tutte richieste talmente scontate da far comprendere immediatamente in quale situazione difficile ci troviamo.

E, a chiusura dell’articolo, il tocco finale: il fenomeno dei tempi lunghi della giustizia civile convive con un’offerta decisamente sovrabbondante di avvocati: l’Italia ha un rapporto fra avvocati e popolazione pari a 379 avvocati ogni 100.000 abitanti, il terzo valore più alto in Europa, dietro solo al Lussemburgo e alla Grecia. I 226.202 avvocati italiani superano del 4,2% il numero di avvocati di Germania e Francia messe insieme.

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