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Isfol: il mercato del lavoro italiano durante la crisi

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logo-isfolUscita la quarta edizione del Rapporto di Monitoraggio sul mercato del lavoro dell’Isfol che, anche per il 2014, si impegna a restituire una fotografia dettagliata dell’evoluzione del mercato del lavoro nel nostro Paese

I risultati riflettono un quadro di grande criticità vista l’attuale fase recessiva, tanto da registrare un balzo indietro di quasi 10 anni dal punto di vista dei tassi di occupazione, per quanto gli ultimi dati sulle comunicazioni obbligatorie forniti dal Ministero del Lavoro presentino alcuni timidi segnali di ripresa.

La nuova fase recessiva, dopo la breve ripresa a cavallo tra il 2010 e il 2011, ha agito con ancor più forza rispetto al primo shock economico sviluppatosi nel corso del 2008-2010, innestandosi in un contesto che aveva solo in minima parte recuperato lo svantaggio accumulato negli anni precedenti.
Nel 2012 si concentra più della metà della perdita di occupazione registrata dal terzo trimestre 2008 in poi. È come se il nostro Paese avesse fatto un balzo indietro di quasi 10 anni: bisogna risalire, infatti al primo trimestre del 2004 per trovare un volume di occupati paragonabile a quanto registrato negli ultimi tre mesi del 2013. Per altro gli ultimi dati sulle comunicazioni obbligatorie presentano alcuni timidi segnali di ripresa dell’occupazione.

Il Rapporto di monitoraggio ISFOL sul mercato del lavoro mostra inoltre come alla caduta dell’occupazione si affianchi la diminuzione dell’intensità di lavoro delle persone occupate: la contrazione delle ore mediamente lavorate e di straordinario, l’aumento dell’incidenza del part time involontario e, soprattutto, il massiccio utilizzo degli ammortizzatori in deroga (e in particolare dell’istituto della Cassa integrazione guadagni) hanno contribuito ad arginare la caduta dei tassi di occupazione per tutto il periodo della crisi, ma anche ad aumentare la quota di lavoro sottoutilizzato. Tuttavia, tali strategie adottate dalle imprese per trattenere l’occupazione in eccesso stanno progressivamente perdendo di efficacia, come dimostrato dall’aumento dei tassi di uscita dall’occupazione.

Sempre più persone si trovano senza lavoro perché licenziate, ma anche per il mancato rinnovo di un contratto temporaneo. Sono soprattutto questi ultimi, i lavoratori precari, ad essere esposti al rischio disoccupazione, anche in ragione di contratti che, stante il perdurante clima di incertezza, si fanno progressivamente più brevi. Nel 2007, su 100 occupati temporanei poco più di un quarto transitava verso un’occupazione a tempo indeterminato nell’arco dei dodici mesi successivi; nel 2013 tale quota è scesa di 4 punti percentuali e mezzo. Al contempo, è aumenta la percentuale di coloro che permangono all’interno dell’occupazione con forme contrattuali precarie ma, soprattutto, è andata crescendo la quota di occupati a termine in uscita dall’occupazione, transizione che nel 2013 ha interessato poco meno di un quarto degli occupati temporanei, contro il 6,4% degli occupati a tempo indeterminato.

Al flusso di persone uscite dall’occupazione, si somma quello dei nuovi ingressi nella disoccupazione. Sempre più giovani trovano difficolta, una volta terminato il loro percorso di studi, a trovare un lavoro. Nel 2008, un giovane su due risultava occupato a un anno dal primo ingresso nel mondo del lavoro, quota che, a distanza di cinque anni, praticamente risulta dimezzata.

L’aumentato rischio di disoccupazione dei familiari occupati ha spinto molte donne a entrare, o rientrare, nel mercato del lavoro, abbandonando la condizione di inattività, facendo prevalere all’effetto scoraggiamento il cosiddetto effetto del lavoratore aggiunto. La partecipazione attiva al mercato del lavoro delle donne ha proseguito, anche durante il periodo di crisi economica, il suo cammino di crescita iniziato da tempo, per quanto l’ultimo anno presenti preoccupanti segnali di rallentamento.
La crescita dei tassi di attività femminili, però, non coinvolge i giovani e gli adulti: tra il 2007 e il 2013 la quota di attivi under35 che transita dall’attività all’inattività nell’arco di 12 mesi è aumentata considerevolmente, passando dal 9,4% al 12,6%, mentre quella relativa agli over 35 è rimasta sostanzialmente stabile.

Per quanto il protrarsi della crisi economica abbia coinvolto anche la fascia di occupati più istruiti, il vantaggio in termini occupazionali dato da un titolo di studio elevato è comunque rimasto evidente. Chi ha studiato di più rimane comunque favorito nell’accesso all’occupazione, mostra tempi di ricerca di lavoro più bassi e presenta un rischio di uscita dalla condizione di occupato inferiore a quello di chi possiede un livello di istruzione inferiore.
Al contempo, però, si assiste ad un processo di job-reallocation della forza lavoro verso profili professionali più bassi, con conseguente aumento della quota di occupati che svolgono lavori per i quali, generalmente, è richiesto un titolo di studio inferiore (overeducation). Nel 2012 la percentuale di overeducated tra i laureati e i diplomati sfiorava il 20%, mentre solo 6 anni prima superava di poco il 14%.

Non solo, quindi, nel nostro Paese la distruzione di occupazione ha interessato in modo particolare le professioni più qualificate, ma ciò ha comportato un aumento nella quota di occupati sovra-istruiti con un’intensità che non ha quasi eguali nelle altre economie europee.
Il mercato del lavoro ha reagito alla crisi sottoutilizzando la forza lavoro non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, ridefinendo i confini dell’occupazione italiana lungo direttrici che non sembrano coerenti con l’idea dell’economia della conoscenza delineata nei principi di Europa 2020 e che, purtroppo, appaiono in continuità con precedenti indagini dell’ISFOL sulle competenze dei cittadini italiani (vedi Rapporto Piaac 2014).
Del resto, l’analisi territoriale presentata all’interno del rapporto evidenzia come ovunque sul territorio nazionale sia andata affievolendosi la capacità innovativa del sistema produttivo locale, ma soprattutto quanto l’occupazione e la qualità di quest’ultima presenti evidenti correlazioni con i livelli di competitività locale, intesi in senso lato, rimarcando, ancora una volta, la forte discrasia tra le regioni meridionali e quelle centro settentrionali.
In ultima analisi, il Rapporto cerca di descrivere, da più punti di vista, gli effetti sul mercato del lavoro di 7 anni di crisi economica, componendo un quadro che, per molti aspetti, presenta criticità che nascono al di fuori della crisi congiunturale attuale, e che da questa sono state amplificate. (N.R.)

Rapporto di monitoraggio del mercato del lavoro 2014 (link) 

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