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Sharing economy e crowd working: luci e ombre del nuovo modello di lavoro

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Rapporto Uni Europa: “Italia e UE si aprano all’economia digitale”. Per la leader della Cgil Camusso, il crowd working “ha potenzialità positive”, ma vanno apportate alcune modifiche

L’economia della condivisione, la cosiddetta sharing economy, rappresenta un settore in pieno divenire, emerso tra le novità più importanti negli anni della crisi. Eppure secondo un Rapporto presentato da Uni Europa, la Federazione europea dei sindacati del settore dei servizi, nasconde molti più svantaggi che opportunità, soprattutto dal punto di vista fiscale e previdenziale.

La ricerca, durata un anno e promossa dalla Fondazione europea per gli Studi progressisti, Feps, e da Uni Europa, analizza la sharing economy focalizzandosi in particolare su Regno Unito e Svezia, che sono i primi di una serie di Paesi ad aver reso noti i dati del sondaggio. 

 

L’indagine, nel Regno Unito, ha rivelato che i benefici del crowd working per i lavoratori sono di gran lunga inferiori agli svantaggi, vale a dire lavoro precario senza coperture sociali, come indennità di malattia, ferie, contributi pensionistici o garanzie di salario minimo. Le pratiche di crowd-sourcing non prevedono alcun pagamento a titolo di imposte sul reddito né versamento di contributi sociali. Ciò potrebbe comportare, in futuro, il rischio di mancati introiti fiscali e previdenziali per gli Stati, quindi una perdita di risorse  economiche.

Sono 5 milioni gli inglesi che vengono pagati mediante le piattaforme online; di queste, più di 3 milioni sono regolarmente impegnate in varie forme di crowd working.

 

Gli strumenti informatici offrono diversi tipi di impiego: da lavori d’ufficio che si possono svolgere da casa ad attività rapide e click work, fino a lavori di tipo off-line nell’ambito della prestazione di servizi di pubblica utilità.

 

I dati sulla Svezia mostrano invece che il 12% della popolazione (circa 737mila unità) sta già lavorando nell’economia digitale basata sulle piattaforme on-line, mentre il 24% sta cercando di 
trovare lavoro attraverso le nuove tecnologie.

 

La prima ad avanzare dubbi sul modello di sharing economy è la leader della Cgil, Susanna Camusso, secondo cui la crescente economia detta crowd working è “parte del nuovo mondo del lavoro ed ha un potenziale di sviluppo positivo per la società. In questo momento, stiamo vedendo principalmente l’aspetto negativo di un mercato del lavoro quasi completamente non regolamentato, sulla coesione sociale e la crescita sostenibile. È la dimostrazione della necessità di modificare il modello di sviluppo, di lottare per un lavoro davvero dignitoso e di chiedere all’UE il varo di standard minimi comunitari da applicare in tutti i Paesi”. 

Invece il segretario regionale di Uni Europa, Oliver Roethig, rileva che “l’Europa sta cambiando, con noi o senza di noi. Invece di aver paura del cambiamento, vi lancio una sfida: quella di essere entusiasti, carichi, e persino euforici. Noi possiamo fare la differenza su come cambiarla”. 

Il nostro giornale si è già occupato della Sharing Economy in più occasioni, per esempio nell’articolo dal titolo L’utilità della Sharing Economy http://bit.ly/1pZQAWy

(dar)

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