Pensioni

Pensioni: i contributi “silenti” che restano inutilizzati presso l’Inps

intervista

 

Le interviste ai sindacalisti CGIL aprono un altro spaccato sui tesoretti che restano nelle casse statali e che sono stati accumulati grazie ai contributi di tanti lavoratori che non hanno percepito alcuna pensione o che ne hanno percepita una minore. Le differenze di genere anche per le pensioni

di Daniela Delli Noci, giornalista

È un’intervista a due voci, quella che Donna in Affari ha realizzato presso il Sindacato Pensionati Italiani della Confederazione Generale del Lavoro del Lazio. I due sindacalisti, Aitanga Giraldi e Domenico De Santis, hanno parlato di “contributi silenti” che rimangono inutilizzati presso l’Inps,  di pari opportunità e di differenze tra impiegate pubbliche e libere professioniste, di reversibilità e di lavori usuranti. Il messaggio di Aitanga Giraldi alle più giovani è di pensare alla propria indipendenza economica, l’unica in grado di garantire la libertà.

AITANGA GIRALDI

È responsabile del Coordinamento Donne del Sindacato Pensionati Italiani – SPI Cgil Lazio. È stata responsabile del Coordinamento nazionale Donne SPI ed ha fatto parte, in qualità di esperta, del Gruppo permanente Donne e Sviluppo del CNEL nella VI Consiliatura. È stata consigliera CNEL nella VII Consiliatura.

DOMENICO DE SANTIS

Attualmente è Segretario regionale SPI del Lazio, con responsabilità alla Previdenza.

E’ stato segretario generale della Filcea e in seguito della Fiom di Frosinone. Ha poi ricoperto l’incarico di segretario generale della Cgil di Frosinone e dello SPI Cgil di Frosinone.

L’intervista doppia:

DiA: Esistono molte differenze tra le pensioni femminili e quelle maschili. Quali le ragioni?

GIRALDI: L’Inps ha un casellario centrale dei pensionati; benché le donne siano di più degli uomini, andando a controllare le pensioni di vecchiaia e quelle di anzianità, le donne sono in numero inferiore. Molte, soprattutto di età più elevata, hanno invece la pensione di reversibilità.

DE SANTIS: Credo che sia giusto rilevare un dato, che salta subito agli occhi: nel 2014 il reddito da pensione medio lordo è stato di 17 mila euro annui circa e le donne, che corrispondono al 53%, hanno ricevuto circa 6 mila euro in meno l’anno rispetto agli uomini. Questo è il dato più significativo.

La maggior parte delle pensioni di reversibilità viene pagata alle donne, che hanno una maggiore difficoltà di accesso al lavoro, percepiscono stipendi più bassi e hanno periodi di interruzione. Il loro lavoro è in genere più “povero” di quello maschile.

DiA: Opzione Donna è una soluzione utile, secondo voi?

DE SANTIS: Opzione Donna può essere valida a livello individuale, ma l’importo è decurtato in maniera significativa, si rischia di avere tagli anche del 10 – 15%. Dipende dal sistema pensionistico, che a volte è misto, in parte retributivo e in parte contributivo; se gli importi versati all’inizio sono bassi, si può arrivare a percepire anche il 25% in meno della pensione.

GIRALDI: C’è un altro problema, che non viene rilevato dalle statistiche e che è legato al mercato del lavoro del passato. Le donne di età più avanzata, delle classi sociali meno abbienti, lavoravano per un certo periodo e poi, quando si sposavano, smettevano la loro attività. Abbiamo quindi un buon numero di “contributi silenti”, che giacciono presso l’Inps, perché non hanno i requisiti per arrivare ad essere una pensione minima. Di questo argomento non si parla più, ma presto o tardi il problema dovrà essere affrontato.

DE SANTIS: È simile a quello che accade per gli immigrati, che lavorano per un periodo e poi tornano in patria. La pensione minima di solito è uguale o superiore a quella che queste persone potrebbero percepire.

DiA: L’equiparazione dell’età di ingresso alla pensione è un obbligo imposto dall’Europa. Quanto penalizza le donne?

GIRALDI: In realtà c’è una certa elasticità. L’Europa interviene solo nel caso in cui ci sia il pericolo che non vengano rispettate le pari opportunità. Quando nel pubblico impiego, esclusi coloro che avevano l’Inpdap, venne parificata l’età delle donne a quella degli uomini, noi ci opponemmo, il Governo –all’epoca c’era Berlusconi, succeduto al Governo Prodi – protestò in modo più debole, ci fu un malinteso, per cui si disse che le donne venivano discriminate andando prima in pensione. In realtà, non ci si rendeva conto che lo Stato era nello stesso tempo datore di lavoro ed ente erogatore di pensione. Un conto era mandare in pensione una professionista, che avrebbe avuto una grossa perdita smettendo di lavorare a 50 anni, altro conto era permetterlo a un’impiegata pubblica. Su questo equivoco, mai chiarito bene dall’Italia alla Corte di Giustizia europea, si fondano le nuove disposizioni d’ingresso alle pensioni. L’Europa si muove solo quando pensa che ci siano delle discriminazioni legate al genere.

 

DE SANTIS: Sarebbe stato più utile lasciare che le donne scegliessero volontariamente a quale età andare in pensione. Dalla riforma Fornero in poi, c’è stata un’impennata nell’innalzamento dell’età: questa è stata la vera penalizzazione per le donne, non quella di mandarle prima in pensione.

L’esistenza di Opzione Donna è la riprova dell’elasticità di cui si parlava prima. La penalizzazione avviene nel momento in cui si calcola la pensione decurtandola. E’ tutto legato all’equilibrio del bilancio e le pensioni sono state utilizzate come “contentino” da dare all’Europa, che ci chiedeva dei tagli che non riuscivamo a fare. Con la riforma Fornero, i pensionati hanno pagato 80 miliardi allo Stato; la Corte Costituzionale ha poi ridato 20 miliardi, ma si continua comunque a pagare.

 

GIRALDI: Si dice di continuo che la situazione delle casse dell’Inps vada peggiorando; si pagano meno contributi, è vero, ed è una realtà che avrà un riflesso sulle pensioni, nessuno lo nega. E’ pur vero, però, che i lavoratori sono coloro che tengono in piedi l’Inps e tutto il sistema assistenziale, perché non si distingue mai tra assistenza e previdenza. Nel passato, ad esempio, il budget relativo agli assegni familiari era più che attivo, e quelli erano contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro.

 

DE SANTIS: Nell’ultimo bilancio Inps si evince in modo chiaro che, almeno per quanto riguarda la cassa relativa ai lavoratori dipendenti, la situazione è positiva. Il problema riguarda tutti gli altri fondi che – nel momento in cui hanno chiuso con passività enormi – sono stati convogliati nell’Inps, un ente che risulta quindi in deficit e che insiste sulla necessità di fare tagli sulle pensioni. Il 50% dei pensionati ha un reddito inferiore a 12 mila euro l’anno e la stragrande maggioranza percepisce meno di 700 euro al mese di pensione. Mi sembra veramente un’aberrazione.

 

GIRALDI: Se noi donne abbiamo più titolarità sulle pensioni di reversibilità, non è per la propensione a far morire prima i nostri mariti, ma per il fatto che molte di noi dipendono ancora dal reddito del coniuge. Per fortuna, con un’azione preventiva fatta dai sindacati dei pensionati, e in primis dallo Spi-Cgil, abbiamo fermato l’idea, contenuta nella legge di Stabilità, che le pensioni di reversibilità possano diventare assistenziali, cosa assolutamente sbagliata, perché la reversibilità deriva dal versamento di contributi relativi a invalidità, vecchiaia e superstiti. Personalmente ritengo che sia assolutamente sbagliato che la reversibilità, già pesantemente decurtata, sia legata al reddito dell’individuo. Per esperienza legata alle politiche per le donne, sento una specie di retropensiero, legato al fatto che le donne percepiscono tali pensioni per il fatto di vivere più a lungo, è una penalizzazione in merito all’idea che la donna lavori. Voglio fare il discorso inverso. Se vengo a mancare io, donna, non capisco perché mio marito debba prendere solo il 30% di quello che percepisco io.

C’è un’altra cosa, che non sempre emerge. Se in una famiglia giovane muore il coniuge che non è pensionato e la pensione viene calcolata sui contributi che ha versato, legare la reversibilità al reddito della moglie che lavora, significa farle percepire pochissimo e mandare in crisi l’istituto familiare.

Faccio un appello alle giovani donne: uno degli obiettivi che si devono porre fin da piccole è di essere indipendenti. È la cosa più importante.

Vengo dell’emancipazionismo e ho fatto parte dell’Unione Donne Italiane, per fortuna, perché, insieme al mio gruppo, ho studiato e lottato per conquistare i nostri diritti e la sola idea di essere dipendente mi è insopportabile. La mia libertà nasce anche dall’indipendenza economica.

Mia madre era una ragazza del ’46, ha sempre lavorato ed ha avuto, a un certo punto, la possibilità di versare contributi come commerciante; questo avrebbe però tolto a mio padre, che era operaio, la possibilità di ottenere gli assegni familiari e, soprattutto, a mia madre di contare sull’assistenza sanitaria.

 

DE SANTIS: Stiamo chiedendo un’attenzione alla tipologia di lavoro che si svolge, soprattutto in merito ai lavori usuranti, per fare in modo che sia riconosciuto a questi lavoratori il diritto di andare in pensione prima degli altri. Un impiegato può forse continuare a stare alla scrivania fino a 70 anni, ma un uomo che lavora in un cantiere o una donna che fa l’infermiera, è difficile che possano rimanere al lavoro fino a tarda età. Bisogna in qualche modo risolvere il problema.

GIRALDI: È importante sottolineare anche la condizione di estrema povertà delle pensionate, soprattutto delle donne più anziane. Mi dispiace dirlo, ma i media sono corresponsabili della divisione tra giovani e anziani, della convinzione che questi ultimi possano rubare ai primi la pensione. Non è assolutamente vero, perché gli anziani di oggi hanno pagato le pensioni dei loro padri con i loro contributi, mentre non si sa chi pagherà le loro pensioni, d’ora in poi.

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