tartufo

Un lavoro particolare, un’attività per la quale è stato richiesto all’Unesco il riconoscimento di bene immateriale. Il mondo del tartufo e il giro d’affari collegato

Testo di Daniela Molina
Immagini di Agnese Cecchini

Sono 9 le specie di tartufi e si raccolgono per 11 mesi l’anno (mai a maggio) a seconda dei territori di appartenenza. Quella dei tartufi in realtà non è una raccolta: non sono frutti di un albero ma funghi che crescono sottoterra e che vanno cercati: parliamo dunque di “cerca e cavatura”. Ed è per quest’attività – un’attività lavorativa remunerativa – così particolare e unica nel proprio genere che gli stakeholder hanno presentato all’Unesco domanda affinché venga riconosciuta come bene immateriale.

In Italia il tartufo si trova in ben 14 regioni su 20, persino in Sicilia nonostante il clima caldo. Ed è un tartufo di ottima qualità sul quale esiste tutto uno studio poiché le tartufaie, ovvero i luoghi in cui cresce, si trovano naturalmente accanto agli alberi (una tartufaia può essere quella che sta intorno a un solo albero) e non vengono piantati e coltivati. C’è una bella differenza tra un tartufo dell’Europa dell’Est, che viene che viene coltivato in enormi appezzamenti di terreno, da decine di ettari, annaffiato e scavato con la ruspa nei periodi in cui fa più comodo e quello trovato da un cane da tartufo (che ha seguito magari l’università dei cani da tartufo in Piemonte) nel periodo giusto e seguendo tutte le modalità corrette.
Il cane da tartufo, solitamente scelto tra i cani da caccia, che sono quelli con il naso più adatto e l’olfatto più sviluppato, viene allenato a fiutare l’odore del tartufo, a scavarlo delicatamente ma non mangiarlo bensì consegnarlo al suo proprietario. Un cane da tartufo ben allenato ha un valore incommensurabile (un proprietario rifiuta di venderlo anche per 30.000 euro) in quanto rappresenta uno “strumento” del mestiere del cercatore, anche se c’è chi usa altri metodi, come una sorta di bacchetta da rabdomante per rilevare i campi magnetici dove dichiara che crescano le pepite di tartufo.

Il valore del tartufo

Pepite è un modo tutto speciale di chiamare questi funghi sotterranei, un modo che richiama subito alla mente il valore dell’oro; probabilmente perché – come si sa – il loro prezzo è molto alto e dipende da tre fattori principali: la grandezza (più è grande e più è saporito), la rotondità e il profumo.
Come ci spiega il presidente dell’associazione nazionale Città del tartufo, Michele Boscagli, quest’anno dal punto di vista della produzione è il
migliore da 40 anni a questa parte e in Italia c’è una grande quantità di tartufi, in particolare bianchi. Ciò significa che anche il prezzo è più abbordabile. Bisogna però distinguere il prezzo riconosciuto al cercatore da quello al grossista, al ristoratore, al negoziante o al consumatore finale. Il tartufo infatti per essere commercializzato ha 3 o 4 passaggi durante i quali il prezzo ovviamente lievita.
Poiché quest’anno di tartufo bianco ce n’è tantissimo, si possono trovare prezzi al cercatore che vanno da 500 a 1.500 euro al kg (dipende dai fattori già visti pocanzi, primo fra tutti la pezzatura). Nel secondo passaggio, dal cercatore al commerciante, il ricarico può essere tranquillamente di ulteriori 500 euro al kg. come minimo (anche 1.000, 2.000 o 3.000 euro in più al kg) e ristorante e negozio ricaricano ulteriormente. Se poi la qualità è superiore i costi sono anche molto più alti. Il bianco è quello che va in questa stagione e quindi ora il presidente Boscagli può parlarci dei prezzi di adesso, mentre per il nero si vedrà più avanti, anche se in linea di massimo un tartufo nero può valere 800, 1.000 euro al kg. al cercatore.
Da queste cifre si capisce però perché si parla di pepite (rispetto alla pezzatura del tartufo) e perché questa attività lavorativa è degna di nota. E anche perché un cane da tartufo non lo si vuole vendere nemmeno per 30.000 euro, visto che permette di fare affari che possono arrivare a  centinaia di migliaia di euro. Se si combinano i 3 fattori: aroma, estetica e grandezza, il valore di un tartufo è molto alto. “Già se lo si taglia, un tartufo perde la metà del suo valore perché l’estetica non è più quella”. Il tartufo deve essere tondo e intero per corrispondere al criterio estetico richiesto dal mercato. Un bel globo, di una decina di centimetri di diametro, può pesare un paio d’etti e valere, al termine della filiera, anche centinaia di euro.
Il tartufo bianco d’Alba è commercialmente il più importante – ma solo commercialmente, poiché il tartufo bianco di ottima qualità si trova non solo in Piemonte ma anche in Umbria o in Toscana, in Emilia Romagna o in Liguria, in Lombardia nelle zone del Po e in qualche parte del Veneto. Alla fiera di Alba l’anno scorso, in cui il tartufo bianco era raro, si trovavano pezzature da 6.000 euro al kg. Quest’anno invece di tartufo bianco se ne possono fare belle scorpacciate a prezzo moderato.
Non si riesce però a sapere quanti kg l’anno di tartufo vengano cavati in Italia, poiché non esiste una legge che imponga di renderlo noto. Il minimo che si presume è di 10.000 kg l’anno. In Spagna, primo paese al mondo per questo settore, si parla di 30.000 kg l’anno. Ma sono sempre valori presunti.

Il giro d’affari

Il giro d’affari del mondo del tartufo in Italia è di circa 500 milioni di euro l’anno. Quello emerso e legale, poiché non tutti dichiarano gli introiti avuti con la vendita dei tartufi trovati. Anzi, l’80% di chi cerca i funghi o di chi frequenta questo mondo lo fa di frodo o in modo sommerso e li vende a nero, quindi è difficile quantificare correttamente questo business.
Esiste poi anche l’indotto: secondo la stima dell’associazione delle Città del tartufo ci sono circa 2,5 milioni di turisti che vengono in Italia e fanno pranzi a base di tartufo, escursioni per la cerca del tartufo, tanto che esiste un lavoro collegato a quello principale di cercatore di tartufi, che è quello di accompagnatore/guida (con partita Iva) per chi vuole passare una giornata diversa cercando questi funghi.
Il piano nazionale della filiera del tartufo è l’unico documento ufficiale ad oggi che tratti l’argomento dal punto di vista economico commerciale nonché della sicurezza alimentare per il consumatore.

Il mondo del tartufo

Di tartufi commestibili ne esistono 9 tipi: bianco pregiato, bianchetto o marzuolo, nero Bagnoli, nero dolce, nero pregiato, uncinato, scorzone, trifola, mesenterico. I più importanti sono: nero pregiato, bianco, bianchetto e nero Bagnoli. Quest’ultimo ha un sapore acidulo e può essere mangiato solo cotto o sa di acido fenico.
Per la raccolta (ma il termine preciso è cavatura) del tartufo esiste un calendario nazionale demandato alle Regioni poiché il periodo varia a seconda della specificità del territorio e del relativo clima. Per fare un esempio generale il tartufo bianco si raccoglie da metà settembre fino ai primi di dicembre mentre il nero – sempre eccetto maggio – si può cavare in tutti gli altri periodi dell’anno.
Il momento della cavatura è importantissimo perché il tartufo deve essere maturo (il tartufo maturo al punto giusto si riconosce dal profumo intenso e dalla morbidezza al tatto, che non deve però essere eccessiva, altrimenti significa che il fungo è andato a male). Chi va “a cerca” di frodo solitamente ignora di fare un danno enorme al territorio, all’ambiente e alla produzione poiché strappa al terreno, addirittura con la zappetta, un tartufo immaturo. Innanzitutto un fungo immaturo è durissimo, non profuma e non ha sapore quindi prelevarlo dal terreno è un’azione inutile dal momento che il fungo non è ancora commestibile, ma soprattutto – come spiega il presidente dell’associazione Tartufai e Tartuficoltori Pietro Fontana, Domenico Manna – il micelio non riesce più a fruttificare e per questo i tartufi stanno scomparendo. Infatti il tartufo giunge a maturazione quando fa le spore (che sono sia maschili sia femminili) ed è per questo che emana il caratteristico forte odore: lo scopo è attrarre gli animali che se ne cibano in modo che, dopo il passaggio intestinale, le spore possano fecondare il terreno per far nascere nuovi tartufi. Raccogliendolo troppo presto, al tartufo viene negata la possibilità di riprodursi e, usando la zappetta, si rovina il terreno intorno e non si permette più ai residui nel terreno di nutrirsi e fare altri tartufi.
Combattere l’ignoranza dei cercatori di frodo è fondamentale e lo è anche la trattazione a livello normativo poiché questa attività lavorativa a tutti gli effetti deve essere maggiormente tutelata: vanno dunque tutelate le tartufaie ma anche i tartufai, tanto più che se si vuole iniziare un’attività agricola in questo settore impiantando alberi tartufigeni bisogna fare degli investimenti che potranno fruttare solo dopo qualche anno. In questo senso il Presidente della FITA (Federazione italiana tartuficoltori associati), Gianfranco Berni, fa un appello ai politici perché ascoltino i territori e anche perché si sappia che in Italia l’offerta di tartufi è molto carente rispetto alla domanda, tanto che siamo costretti ad importarli dall’estero a quintali. Questo significa che per chi vuol intraprendere l’attività di tartufaio in Italia ci sono ampie possibilità.
Purtroppo non esiste ancora una legge sull’etichettatura del tartufo e pertanto quel che arriva dall’estero non è segnalato al consumatore il quale crede di acquistare un prodotto locale.

Dalla parte del consumatore di tartufo

La differenza di qualità tra i tartufi italiani e quelli importati è notevole: non è assolutamente lo stesso tartufo. Nel 2016 nel porto di Bari sono state sdoganate 80 tonnellate di tartufo straniero, prodotto senza seguire alcuna regola, che ha altri sapori e odori. Purtroppo noi importiamo da Iran, Cina, Romania e Albania senza che ciò sia scritto in etichetta e dunque senza che il consumatore lo sappia. Spesso si tratta di vasetti di tartufo già trasformato addizionato con aromi realizzati in laboratorio. Di tartufo in questi casi (ovviamente ci sono eccezioni) troveremo al massimo il 3% e spesso vengono aggiunte – poiché questi tartufi che a volte non sono nemmeno tartufi ma prodotti simili di aspetto non hanno il sapore e l’odore cui siamo abituati – gocce di bismetiltiometano, un gas in forma liquida che riproduce l’aroma più penetrante del tartufo. In realtà il tartufo ha ben 47 aromi ma, visto che le nostre tavole sono ormai invase da questo aroma artificiale, non riusciamo più a riconoscere quelli propri del tartufo vero.
Purtroppo non si può distinguere un vero tartufo italiano da un simil-tartufo se non tramite un’analisi di laboratorio, poiché questa differenza si può vedere solo al microscopio e i nostri agenti delle dogane non sono tenuti ad analizzare il DNA del tartufo importato, visto che non esistono norme al riguardo. Comunque i consumatori devono essere informati che, se un tartufo ha prezzi troppo bassi, non può essere tale, come abbiamo visto: si tratta di falsificazione e di concorrenza sleale. Inoltre il tartufo cinese, l’indicum (che non è un vero tartufo ma somiglia al nostro tartufo nero), in Italia è vietato ma di fatto lo si può acquistare facilmente. Se ci fosse l’etichettatura con il paese di provenienza faremmo almeno un passo in avanti nella tutela dei diritti dei consumatori oltre che dei nostri produttori.

Il Nero del Nera

Vallo del Nera è un Comune situato nella parte sudorientale dell’Umbria, in Valnerina, composto da 7 agglomerati urbani disseminati in un territorio prevalentemente montano. Ed è fra questi monti e questi boschi che si trovano i famosi tartufi neri pregiati, che da secoli rappresentano una buona fonte di reddito. Oltre ai tartufi neri pregiati si trovano, scavando tra querce, roverelle, lecci, faggi e pini d’Aleppo, i tartufi neri invernali, gli scorzoni invernali e quelli estivi nonché i marzuoli.
Già nei documenti del 1571 si rinvengono tracce del commercio di questi funghi sotterranei sui quali in quegli anni veniva imposta una gabella (“introita 1 fiorino, 7 baiocchi e 2 quattrini” a saldo del cottimo delle tartufaie concesse a Fantuccio Di Silvestro).
Che il commercio del tartufo fosse riconosciuto e fiorente lo si riscontra anche dai documenti comunali del 1563: le estese cave di tartufo (le tartufanare, ancora oggi presenti) erano tutelate e ai forestieri ne era vietato l’uso, mentre chiunque vi avesse arrecato danni era condannato.
Dal ’900 in questo territorio la raccolta dei tartufi diventa una valida rendita integrativa all’agricoltura e la figura del “tartufaro” viene riconosciuta come quella di chi conosce i segreti di un mestiere antico.
Oggigiorno le tartufaie di proprietà del comune e degli enti pubblici locali vengono date in affitto: sono aumentate le tartufaie impiantate artificialmente e calate quelle spontanee ma le autorizzazioni rilasciate dalla locale Comunità montana per le tartufaie controllate sono numerose, come numerosa è la quantità di tesserini di cavatore che vengono concessi. Da segnalare che sono molte le donne agricoltore che si occupano di questo settore.
Inoltre, la presenza del tartufo ha fatto nascere a Vallo di Nera, come in altri Comuni della Valnerina, un’azienda di trasformazione e commercializzazione del tartufo ricevuto dai cavatori della zona. Anche ristoranti e agroturismi propongono piatti a base di tartufo (tra le ricette “tartufate” troviamo: bruschette, strengozzi, frittate, trote, maiale e agnello).
La sindaca di Vallo del Nera, Agnese Benedetti, fa notare però che fin dalla fine degli anni ’70 si è verificato un abbandono demografico del Comune e che ora si cerca di far tornare i giovani a lavorare in questi territori. Il tartufo, dalla cerca alla ristorazione a tutto l’indotto, potrebbe essere dunque alla base di un’attività lavorativa, svolta in luoghi ameni che attraggono il turismo, che può avviare il ripopolamento del territorio. Anche per questa ragione l’amministrazione comunale ha voluto indire una giornata annuale dedicata al prezioso fungo, denominata “il Nero del Nera”, con l’obiettivo di far diventare sempre di più il tartufo e gli altri prodotti agroalimentari locali ambasciatori di un territorio pieno di risorse naturali e antropologiche e attrarre giovani e meno giovani che vogliano ripopolare questi luoghi.

L’Associazione nazionale città del tartufo

Vallo di Nera è entrato a far parte dell’Associazione nazionale Città del tartufo. Si tratta di un’associazione di soggetti pubblici nata ad Alba nel 1990 da 6 Comuni caratterizzati dalla presenza del tartufo nei propri territori e arrivata oggi a contare 57 enti pubblici (tra Comuni, parchi – quello del Matese – e altre realtà della PA). Lo scopo è quello di valorizzare i territori che possono vantare questo prodotto di eccellenza accendendo i riflettori su questo valore aggiunto.
Tra gli eventi che realizza l’associazione a questo scopo ci sono quelli formativi, anche a richiesta, e da circa 6 anni l’associazione sta lavorando alla documentazione necessaria per far riconoscere all’Unesco la cerca a la cava del tartufo come bene immateriale facendo notare come il tartufo non sia solo un prodotto gastronomico ma un prodotto culturale. L’associazione ha così potuto creare in questi anni una raccolta eccezionale di documenti, storie e aneddoti tramandati oralmente da generazioni di tartufai che mettono in evidenza questa particolarità tutta italiana.

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