Diritti Lavoro

Welfare aziendale, gli squilibri del mondo del lavoro

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Presentato il 2° Rapporto Censis-Eudaimon sul Welfare aziendale che evidenzia come in Italia stiano crescendo le diseguaglianze sul lavoro

L’Italia crea meno posti di lavoro degli altri Paesi europei e per i giovani c’è un futuro da camerieri o commessi. Tra il 2007 e il 2017 mentre gli occupati in Italia sono diminuiti dello 0,3%, in Germania e Regno Unito sono cresciuti dell’8% e del 4% in Francia. Non solo creiamo meno lavoro degli altri Paesi, ma ne distruggiamo di più dove ce n’è di meno, nel Mezzogiorno. Crescono le disuguaglianze retributive tra operai, impiegati e dirigenti. Questo è il quadro che emerge dal 2° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale presentato a Roma il 30 gennaio 2019.
Squilibri tra operai, impiegati e dirigenti
Gli sbocchi lavorativi dei giovani sono legati a posti di camerieri o commessi mentre nel settore pubblico persiste la presenza di personale anziano. Se i giovani tra i 15 e i 34 anni nel 1997 costituivano il 40% della forza lavoro, nel 2017 sono scesi al 22% mentre le persone con più di 55 anni dall’11% oggi arrivano al 20%. Questi lavoratori “anziani”, impiegati per il 32% nella pubblica amministrazione, sono presenti (30%) nei settori dell’istruzione, della sanità e dei servizi sociali. I millennial invece sono collocati nel settore alberghiero e nella ristorazione per il 39% e nel commercio 28%.

Disuguaglianze retributive e di intensità di lavoro
Il problema delle retribuzioni basse e ferme è tanto più grave quanto più si scende nella piramide gerarchica delle aziende. Le retribuzioni da lavoro dipendente degli operai sono compresse e più distanti da quelle dei dirigenti. E se nel 2016 il reddito da lavoro dipendente degli operai è diminuito del 3,7% e quello degli impiegati del 2,6%, quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%.
Il 51% dei lavoratori dipendenti ha dichiarato che negli ultimi anni lavora di più, con maggiore intensità e orari lunghi. Oltre 2 milioni di lavoratori svolgono turni di notte, 4 milioni di domenica e nei giorni festivi, senza contare gli altri 5 milioni di persone che lavorano da casa oltre l’orario contrattuale senza percepire il pagamento degli straordinari. A causa del super lavoro, molti di essi accusano sintomi di stress (spossatezza, mal di testa, insonnia, ansia, attacchi di panico, depressione) perché non hanno tempo da dedicare a sé stessi e vivono enormi contrasti in famiglia.

Il welfare aziendale per una migliore qualità di vita
Dalla ricerca condotta su un campione di 7.000 lavoratori che beneficiano del welfare aziendale, l’80% ha espresso una valutazione positiva su di esso. Al primo posto tra i desideri dei lavoratori, c’è la tutela della salute attraverso strumenti di prevenzione e assistenza (43%), seguono i servizi per i figli e per i familiari anziani (38%), le politiche di integrazione del potere d’acquisto (35%), i servizi per il tempo libero (27%), i servizi per gestire il proprio tempo (26%), infine la consulenza e il supporto per lo smart working (23%).

L’indagine illustrata da Francesco Maietta, responsabile delle politiche sociali del Censis, è stata discussa da: Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon (società che si occupa di welfare aziendale); Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil; Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl; Delia Nardone, responsabile bilateralità della Cgil nazionale; Andrea Bianchi, direttore delle politiche industriali di Confindustria; Marco Leonardi, docente di economia politica dell’università di Milano, e Massimiliano Valerii, direttore del Censis.

Le ragioni dei sindacati per puntare al welfare aziendale
“Occorre mirare ad un welfare aziendale aggiuntivo e non sostitutivo” ha dichiarato Carmelo Barbagallo della Uil. “In alcuni settori” ha spiegato “si stanno sottoscrivendo contratti integrativi per dare risposte alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Il welfare aziendale non deve supplire quello pubblico, che deve continuare ad offrire garanzie ai cittadini, ma essere in grado di aiutare il Paese ad uscire da una profonda crisi economica e sociale. Quello cui assistiamo oggi” ha concluso Barbagallo “è un lavoro povero, debole e precario che genera un dilagante rancore sociale”.

“Lavorare a fianco delle imprese aiuta a cogliere obiettivi importanti, che per i lavoratori sono maggiori tutele e diritti, per le imprese opportunità per recuperare pezzi di produttività” ha sostenuto Luigi Sbarra. “Il sindacato deve aggiornare le capacità di rappresentanza, pensare ad un welfare personalizzato dove l’età media dei lavoratori dai 35 anni degli anni ’90 passerà ai 50 anni nel prossimo decennio. L’invecchiamento della popolazione necessita di nuovi bisogni all’interno dell’azienda e per questo occorre esercitare pressioni a livello nazionale e decentrato. É sulla contrattazione territoriale che si possono evitare le disuguaglianze, le disparità sul mercato del lavoro aumentando la tutela dei diritti dei lavoratori. Un altro impegno del sindacato dovrà essere quello di ridefinire il tempo di lavoro” ha aggiunto il segretario della Cisl “stabilendo nuove regole di conciliazione vita-lavoro. Il welfare contrattuale deve essere inclusivo e integrativo per aumentare i diritti dei lavoratori a termine, di alcune tipologie di lavoro autonomo, di quelli che operano sulle piattaforme digitali e dei giovani costretti a lavorare con contratti flessibili e atipici”.

Anche per Delia Nardone c’è bisogno di una politica contrattuale “in linea con il cambiamento demografico del Paese, del lavoro che si trasforma e che non c’è. La vecchia norma del welfare legata alla produttività è ormai obsoleta. Soprattutto se si guarda alla contrattazione di secondo livello dove il problema risiede nelle 4 mila piccole aziende che fanno fatica ad accedere ai servizi di welfare. Se lo strumento del welfare non viene indirizzato e ben gestito, rischia di aumentare le disuguaglianze non soltanto tra i lavoratori ma anche per quelli che non se lo possono permettere all’interno dell’azienda. I nuovi modelli contrattuali dovranno avere un indirizzo comune per aumentare la platea degli aventi diritto eliminando benefit indefiniti e pensare ad un piano di investimenti per il lavoro dei giovani” ha concluso la Nardone.

Il welfare aziendale per Confindustria
Il welfare aziendale per Andrea Bianchi di Confindustria può rappresentare un valido strumento per i lavoratori e per le imprese che sono chiamate a competere sulla qualità dei prodotti e dei servizi. “In un clima di grandi trasformazioni occorre pensare ad una redistribuzione delle opportunità per accrescere la catena del valore all’interno dell’azienda” ha sostenuto. “La contrattazione sul welfare aziendale può essere una leva di accompagnamento al lavoro se non è vista come funzione di redistribuzione del reddito ma come mezzo per migliorare le performance aziendali. Le sfide del nuovo welfare saranno quelle di gestire l’ingresso delle nuove tecnologie in fabbrica, rendere sostenibili i processi produttivi considerando il passaggio da un’economia lineare a quella circolare ed aumentare la responsabilità sociale all’interno dell’impresa”.

Welfare equo per i lavoratori e produttivo per le imprese
Il welfare aziendale, oltre a creare un clima di coinvolgimento fra le persone, genera un circolo virtuoso in cui prevale il senso di comunità – ha spiegato Alberto Perfumo. Inoltre è un ammortizzatore sociale delle disuguaglianze per la capacità di un’azienda di offrire servizi alle persone e aiutare i più deboli a trovare le risorse per sostenersi. “Da un lato deve rappresentare un’integrazione, dall’altro una piattaforma che genera benessere per le persone”. La contrattazione -secondo Perfumo – non si può fermare alla negoziazione del premio ma deve creare le condizioni per far convergere gli interessi dell’azienda e dei lavoratori puntando alla produttività e al benessere.

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