Diritti Lavoro

I divari di genere nel mercato del lavoro

Svoltosi a Roma il convegno organizzato dal Civ dell’Inps dal titolo “Analisi dei divari di genere del mercato del lavoro e nel sistema previdenziale”

Nel convegno svoltosi il 21 febbraio 2024 sono stati analizzati i divari di genere nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale facendo riferimento ai dati in possesso dell’Inps. Ad organizzare il convegno il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’istituto.

I divari di genere che permangono
Negli ultimi venti anni il mercato del lavoro italiano ha subito un processo di trasformazione culturale che ha coinvolto le donne in modo attivo. Oggi ad esempio non esistono più come in passato le preclusioni formali all’accesso delle donne a una vasta gamma di professioni. Eppure, nonostante ciò, la parità nel mercato del lavoro è ancora lontana dall’essere pienamente realizzata. Nel corso degli ultimi dieci anni, la percentuale di donne impiegate nel settore privato non agricolo è aumentata solo in modo marginale: il tasso di femminilizzazione (ovvero la percentuale di donne lavoratrici rispetto al totale degli occupati) è passato dal 40,6% nel 2010 al 41,7% nel 2022. Inoltre, le donne continuano a trovare impiego in un numero limitato di occupazioni rispetto ai loro colleghi uomini (fenomeno che si definisce segregazione occupazionale di tipo orizzontale). Le lavoratrici sono concentrate in alcuni comparti del settore dei servizi (nel 2022 il tasso di femminilizzazione è di circa il 79% nella sanità, 77% nell’istruzione, 53% negli alloggi/ristorazione) e sono invece sotto-rappresentate nel settore manifatturiero (30% circa).

 

I divari di genere nella remunerazione
Quanto detto sopra si accompagna a una scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali e maggiormente remunerative: infatti ancora nel 2022 solo il 21% dei quadri e dei dirigenti è di sesso femminile (percentuale che era del 13% nel 2010). L’analisi dei dati relativi ai rapporti di lavoro subordinato nel settore privato extra-agricolo mostra una netta disparità salariale a sfavore delle donne lungo tutto l’arco temporale considerato. Il vantaggio retributivo maschile nei redditi annuali è di circa il 40% (senza grandi variazioni negli ultimi 10 anni), mentre scende a circa il 30% per le retribuzioni giornaliere. Tale divario è, almeno in parte, frutto di differenze sui piani individuale, contrattuale, settoriale, di impresa, ecc.. Le donne oltre ad essere sovra-rappresentate in settori che pagano salari più bassi ed essere poco presenti nelle posizioni di vertice, tendono a lavorare per un numero minore di giorni (nel 2022, nel settore privato i giorni retribuiti sono in media 221 per le donne e 234 per gli uomini) e sono spesso assunte con contatti part-time (l’incidenza del part-time sfiora il 50% tra le donne e in molte regioni del Sud supera il 60%). Quando si comparano donne e uomini con stesse caratteristiche individuali e occupazionali e che lavorano all’interno della stessa impresa il gap nelle retribuzioni annuali è pari a circa il 12% e a circa il 10% nelle retribuzioni giornaliere. Questo gap non è spiegato da differenti condizioni individuali e lavorative.

Divari di genere anche nel settore pubblico
Questi divari, anche se meno marcati, si presentano anche nel settore pubblico dove i 2/3 dei lavoratori sono donne. In maniera del tutto simile a quanto avviene nel privato, l’analisi denota una forte segregazione settoriale. Nella Scuola (il comparto nel quale lavora circa 1/3 di tutti dipendenti pubblici) le donne rappresentano quasi l’80% di tutto il personale; anche la Sanità è un comparto ad alto tasso di femminilizzazione (65% nel 2014 e quasi il 70% nel 2021); mentre, al contrario, nel comparto delle Forze Armate, Corpi di Polizia e Vigili del Fuoco il rapporto si capovolge completamente e gli uomini rappresentano circa il 90% del personale in servizio. Negli altri comparti si registra un sostanziale equilibrio. L’analisi delle retribuzioni annue e giornaliere evidenzia la presenza di un vantaggio retributivo maschile anche nel comparto pubblico, sebbene più modesto di quello rilevato nel privato. Il gap grezzo (senza controllare per caratteristiche individuali e lavorative) è di circa il 16%, mentre il gap a parità di caratteristiche individuali e occupazionali è di circa il 6%. La minore distanza tra queste due misure di gap salariale rispetto al settore privato dipende dal fatto che le donne e gli uomini occupati nel settore pubblico esibiscono condizioni contrattuali più simili. Ad esempio, il gender gap nell’uso dei contratti part-time è di soli 3 punti percentuali contro i quasi 30 del settore privato.

Divari di genere e congedi parentali
I dati sull’uso dei congedi parentali nell’ultimo decennio rivelano che le richieste di congedo da parte delle madri coprono oltre l’80% del volume totale e che il gap di richieste per genere è particolarmente ampio fino ai 3 anni di età del bambino, che è proprio la fascia di età in cui si concentrano la maggior parte delle richieste (circa il 65%). Gran parte delle richieste di congedo viene espressa da lavoratori impiegati in grandi aziende. Inoltre, assolutamente preponderante è l’incidenza dei lavoratori a tempo pieno sul totale dei richiedenti, soprattutto per i padri (per il 2022 l’incidenza del part-time tra le richiedenti supera il 46% mentre per i padri si attesta intorno al 9%). Infine, ancor più smaccata l’incidenza dei lavoratori richiedenti caratterizzati da contratti di lavoro a tempo indeterminato (oltre il 96% per ognuno dei due generi su tutto il periodo). Relativamente invece al congedo di paternità, introdotto in via sperimentale per gli anni 2013-2015, l’indagine mostra come la richiesta sia gradualmente aumentata negli anni, passando dal 19% del 2013 al 64% del 2022 e come sia maggiore per gli occupati nel settore Industria (69% nel 2022) e minima nel settore Alloggio e ristorazione (33% circa nel 2022). Inoltre, è più elevata nelle aziende di grandi dimensioni rispetto alle piccole imprese e tra i lavoratori a tempo indeterminato (nel 2022 è pari a 65%). E tende a crescere al migliorare della condizione economica del lavoratore.

Divari di genere nei redditi da pensione
Per quel che riguarda il divario di genere nei redditi da pensione, l’analisi svolta evidenzia che questo persiste nel tempo in base alle differenze nella continuità delle carriere che si riflettono in un divario salariale con un impatto diretto sui trattamenti retributivi e indiretto su quelli contributivi, essendoci un minor montante contributivo. Oltre a questo, è stato rilevato che le riforme del sistema pensionistico hanno avuto un impatto diverso tra i generi in quanto hanno allineato ai requisiti di accesso al pensionamento dei maschi i requisiti delle femmine che precedentemente erano meno stringenti. Su 16,1 milioni circa di pensionati nel 2022, il 52% sono di genere femminile ma hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 141 miliardi di euro, con un importo medio mensile pari a 1.416 euro, del 36% inferiore rispetto a quello maschile. Negli ultimi 20 anni, in termini nominali, il divario di genere è cresciuto in modo continuativo nel tempo ed è passato da 3.900 euro nel 2001 a 6.200 euro nel 2022. Le donne sono prevalentemente rappresentate nelle classi di reddito pensionistico più basso (fino a 1.500 euro mensili) mentre oltre il 70% dei percettori nella classe più alta (coloro che percepiscono più di 3.000 euro mensili) è di genere maschile. Fatto che deriva dalla differenza nella tipologia di prestazione percepita (nel 2022, il 50% degli uomini riceve una pensione anticipata – quelle di importo più elevato in media – contro il 20% delle donne, mentre queste ultime sono prevalenti nelle pensioni ai superstiti). Tali divari emergono anche considerando gli importi medi delle prestazioni, con un vantaggio maschile medio di oltre il 60% (1.430 euro contro 884 euro nel 2022), e nel numero di prestazioni pro-capite (mediamente maggiore per le donne). Inoltre, emergono profonde differenze di genere negli importi anche a parità di tipologia di prestazione (soprattutto per prestazioni di vecchiaia e invalidità con un gap del 50%) mentre i trattamenti assistenziali, legati a situazioni di disagio economico e con tetti massimi relativamente contenuti, hanno valori simili. Di contro, le pensioni al superstite di cui le donne sono le principali beneficiarie contribuiscono a ridurre il divario, ma il contributo è molto contenuto. Focalizzando sulle prestazioni più strettamente legate all’attività lavorativa (anticipate e vecchiaia), il gender gap è in linea di principio legato ad almeno tre fattori: retribuzione oraria, tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno) e anzianità contributiva (che dipende dalla durata e dalla continuità della vita lavorativa).

Divari di genere. Il commento del CIV dell’Inps
Nel suo intervento a Palazzo Wedekind, sede Inps dove si è tenuto il convegno, il presidente del CIV dell’Istituto Roberto Ghiselli ha commentato: “anche da un punto di vista culturale si sta affermando nelle nuove generazioni una consapevolezza maggiore della disparità di genere, malgrado questo gap sia ancora evidente soprattutto per ciò che concerne le differenze retributive e la maggiore discontinuità lavorativa tra uomini e donne. Le cause di queste diversità sono principalmente da ricondurre a un’organizzazione del lavoro e della produzione che non tiene conto della conciliazione della vita delle persone e accade spesso che, all’interno delle comunità, i servizi per l’infanzia e per l’autosufficienza siano completamente mancanti. La ricerca presentata oggi dal CIV dell’INPS, approfondita e completa, dovrà continuare in futuro, sempre in collaborazione con le direzioni competenti dell’Istituto. Con l’iniziativa di oggi, l’INPS non solo vuole consegnare a tutti i suoi interlocutori il patrimonio di dati a propria disposizione riguardanti il divario di genere, ma soprattutto vuole alimentare le reti relazionali che consentono di mettersi in sinergia per sostenere politiche efficaci di contrasto ai divari di genere, sia a livello centrale che locale”.

Divari di genere. I commenti delle istituzioni
Annamaria Furlan, Vicepresidente della Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, commentando i dati presentati dall’Istituto ha ribadito la necessità di mettere in campo azioni e politiche amministrative efficaci per contrastare il divario di genere.
Il commissario straordinario dell’INPS, Micaela Gelera, ha sottolineato l’importanza e il valore del patrimonio dei dati amministrativi detenuti dall’Istituto che analizzano in profondità fenomeni come quello della disparità di genere durante il periodo lavorativo e successivamente pensionistico. Per il Commissario Gelera “quello della disparità di genere è un problema ancora molto evidente nel nostro Paese oggi e che rende necessario rafforzare e rendere strutturali le misure messe in campo dal decisore politico per conciliare i carichi familiari con la vita lavorativa delle donne. Penso ad esempio ai congedi, al bonus asili nido, all’assegno unico universale e alla recente misura, introdotta dal governo, per favorire la retribuzione in busta paga delle madri lavoratrici (il cosiddetto Bonus Mamma), consentendo loro di affrontare con maggiore serenità il carico familiare legato alla presenza dei figli. Analogamente, tutte le misure finalizzate alla cura degli anziani non autosufficienti permetteranno di alleggerire ulteriormente il carico familiare delle donne”.

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