Politiche internazionali sulla parità di genere, il confronto nell’evento promosso da BPW International e Regione Lombardia svoltosi a Roma
È ancora lunga la strada da percorrere per arrivare alla reale parità di genere. È quanto emerso nel corso dell’incontro che si è tenuto il 24 ottobre 2024 a Roma, dedicato alle “Politiche internazionali sulla parità di genere”, organizzato da BPW International in collaborazione con Regione Lombardia. Un tragitto in salita che è dovuto a problematiche di tipo culturale, politico e sociale, a una resistenza ai cambiamenti.
Parità di genere, i passi già fatti
Sono molti i passi in avanti già fatti, come dimostrano l’esperienza della Svizzera – che in relativamente pochi anni ha ottenuto il riconoscimento dei diritti delle donne – e le iniziative del Regno Unito in favore dell’istruzione femminile e della lotta alla violenza. Inoltre, sono importanti le “antenne sul territorio” promosse dall’Unione europea tramite la rete Europe Direct e il monitoraggio delle politiche sulla parità di genere nel G20. Fondamentali, poi, le conquiste delle donne arabe e di quelle che vivono in Paesi “difficili” dal punto di vista della parità di genere, vere e proprie eroine del quotidiano.
Le nuove discriminazioni
La pandemia ha portato molte donne a preferire la cura della famiglia alla carriera, mentre le posizioni manageriali e gli stipendi più sostanziosi continuano ad essere appannaggio maschile. L’intelligenza artificiale, poi, sta creando nuove discriminazioni sociali e di genere; si teme che gli algoritmi possano escludere da molte attività sia le donne, sia le persone che non hanno accesso alla tecnologia.
Le politiche sulla parità di genere in Svizzera
Monika Schmutz Kirgöz, Ambasciatrice della Svizzera in Italia, ha aperto il suo intervento dicendo di essere nata senza alcun diritto. La Confederazione elvetica, infatti, ha riconosciuto i diritti politici alle donne solo nel 1971. In un tempo relativamente breve – soprattutto se paragonato a millenni di disparità – la Svizzera ha raggiunto l’obiettivo di avere una maggioranza femminile nell’esecutivo, quattro su sette ministri nel passato, “solo” tre attualmente. Un ottimo risultato, ottenuto nonostante la riluttanza di uno dei Cantoni, l’ultimo tra ventisei, obbligato dalla Corte Federale a concedere i diritti politici alle donne nel 1991.
L’ambasciatrice Schmutz ha parlato di come la parità di genere sia ancora un miraggio in tanti Paesi e in particolare nel nostro. Ad esempio, in Italia l’appellativo “ambasciatrice” si riserva alla moglie dell’ambasciatore e non alle donne che ricoprono quella posizione in ambito diplomatico. Molti gli aneddoti portati sia dall’Ambasciatrice Schmutz, sia da Serena Corti, Console Generale Aggiunta del Consolato Generale Britannico, alla quale, all’inizio del suo percorso professionale, fu consigliato di sposare un diplomatico per poter accedere alla carriera in tale ambito.
Regno Unito, la diplomazia è donna
Nel 2021 e 2022, i diplomatici britannici in tutte le città più importanti nel mondo erano donne. “Eravamo fiere di questo risultato – ha detto Serena Corti – ma la pandemia, le crisi internazionali ed economiche, il cambiamento climatico e le guerre ci hanno riportato un po’ indietro. Uno studio del Foreign Office ha calcolato che, andando di questo passo, ci vorranno 132 anni per ottenere la parità di genere. Non abbiamo tutto questo tempo.”
Il Foreign Office è molto attivo nella promozione della parità di genere e chiede al personale diplomatico all’estero di farsi portavoce dei diritti delle donne anche attraverso le relazioni bilaterali. “Quando incontriamo la controparte italiana, ad esempio, solleviamo la questione della parità di genere e quest’anno, con il G7, ci sono state varie opportunità. Anche a noi è capitato di organizzare un forum business di amministratori delegati dove, su 45 amministratori delegati, solo due erano donne” ha detto la Console Generale Aggiunta.
Le iniziative britanniche sulla Parità di genere
Il governo britannico l’anno scorso ha approvato un nuovo piano strategico che va a coprire gli anni dal 2023 al 2030 e che si basa sulle tre E: Education, Empowering Women, Ending Violence. La prima garantisce almeno dodici anni d’istruzione alle ragazze di tutto il mondo. Iniziato in Nigeria e in Bangladesh, il progetto ha già coinvolto un milione di ragazze. “Un risultato di cui siamo orgogliosi, ma c’è ancora molto da fare nel Regno Unito, anche a livello nazionale” ha precisato Serena Corti. Vi è poi un’iniziativa che avvicina le ragazze al mondo Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics): si tratta di quiz matematici, di una gara alla quale hanno aderito 56 mila ragazze, lo scorso anno ben 9 mila. “Per noi è stato un risultato importante, perché abbiamo visto che le donne a volte non ricoprono posizioni manageriali perché non vengono da background scientifici. È importante iniziare da un cambiamento culturale.” Empowering Women, la seconda “E”, è l’ulteriore azione in favore della parità di genere, per la quale il Regno Unito si è attivato fin dal 2010 con il Quality Act al fine di combattere qualsiasi tipo di discriminazione di genere. L’ultima “E” è quella di Ending Violence. In merito alla lotta alla violenza, sono stati approvati una legge nel 2021 e uno stanziamento di fondi per lavorare sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime di violenza.
La collaborazione possibile
Sono molte iniziative su cui possiamo collaborare, ha detto Serena Corti. L’Italia potrebbe fare proprie le buone pratiche di altri Paesi, hanno ribadito le relatrici intervenute all’incontro. Ad esempio, sempre per rimanere in ambito britannico, l’iniziativa WOW (Work and Opportunities for Women), mirata a supportare la carriera manageriale delle donne nel settore privato, in collaborazione con il governo britannico; in questo progetto sono state coinvolte molte aziende e, attraverso uno sportello dedicato, migliaia di donne hanno avuto un aiuto per raggiungere posizioni apicali.
L’insidia degli algoritmi
Una delle questioni più importanti, portata all’attenzione dei presenti, è quella delle discriminazioni dovute alle nuove tecnologie, in particolare all’intelligenza artificiale. A parlarne è stata Luciana Delfini, Consigliera per le Relazioni Internazionali dell’Associazione Donne Giuriste Italia. “Facciamo parte della Fédération internationale des femmes de carrières juridique (FIFCJ), il cui compito è di armonizzare le legislazioni e tutelare i diritti umani. Gli algoritmi sono il contenuto reale dell’intelligenza artificiale e meno del 26% delle persone che scrivono la stringa degli algoritmi è donna.”
La stringa di ricerca è costituita da una serie di parole chiave attraverso le quali il motore di ricerca interroga il database per fornire la risposta desiderata. “Non sono pericolose le ricerche che facciamo, dobbiamo invece temere ciò che diventa la base per le scelte.” Il 40% del nuovo modo di assumere, ad esempio, passa attraverso l’algoritmo; lo stesso accade per la concessione dei mutui bancari.”
Parità di genere e parole chiavi
Il problema è sottovalutato, ha detto Elvira Marasco, Presidente dell’associazione Women 20 Italia, perché, a causa di parole chiave orientate esclusivamente al maschile, potrebbe verificarsi ad esempio una discriminazione di genere nella scelta dei curricula. La finalità dell’Associazione W20 è di monitorare le politiche di genere nei Paesi che fanno parte del G20, Gruppo a cui aderirà a breve l’Unione Africana. “È una panoramica importante, sicuramente interessante, perché ci sono anche Paesi difficili come la Russia, l’India o l’Indonesia, dove la parità è ancora in salita” ha precisato Marasco, che ha coordinato l’incontro insieme a Carla Laura Petruzzelli di Fidapa-BPW Italy.
Lotta alle disparità in UE e nel mondo
“Il 2023 segna un anno di grande importanza per la parità di genere, perché è stata emanata una direttiva dell’Unione Europea sulla trasparenza retributiva” ha detto Maria Elena Chiodo, del Team di Europe Direct, la rete istituita dall’Unione europea per rispondere alle esigenze dei cittadini e avvicinarli a questa istituzione.
L’obiettivo dell’Europa è di rafforzare i principi della parità nelle retribuzioni e diminuire il gender pay gap, il divario nei compensi economici dovuto alle discriminazioni di genere. “Tutto è partito nel 2006 – ha proseguito Maria Elena Chiodo – con l’applicazione dell’art. 157 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, il quale stabiliva che gli Stati membri eliminassero la discriminazione di genere nel mondo del lavoro e abolissero concetto di segretezza salariale. A giugno di quest’anno si è concluso il processo di adesione dell’UE alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne, inclusa la violenza domestica. Quest’ultima, per una questione di tipo culturale, non era molto considerata in alcuni stati membri, soprattutto in quelli dell’Est Europa. Ad oggi abbiamo il primo vero strumento giuridico completo per affrontare la violenza in tutte le sue forme e in termini di protezione, sostegno e accesso alla giustizia.”
Le organizzazioni per la parità di genere nel mondo del lavoro
Un sostegno alle donne che lavorano viene da BPW International (International Federation of Business and Professional Women), presieduto da Catherine Bosshart, e, per il nostro Paese, da BPW Italy (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari). Si tratta di organizzazioni che lavorano per garantire uguaglianza e pari opportunità al mondo femminile, per sviluppare il potenziale professionale, imprenditoriale e di leadership delle donne, creando occasioni per sostenere le più giovani. “Abbiamo scelto il 24 ottobre” ha detto Cristina Visconti Gorajski, rappresentante di BPW International presso la FAO, L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura “in omaggio alle Nazioni Unite, da cui tutte le nostre organizzazioni derivano”. Nel 1945 infatti, proprio in tale giorno, è entrata in vigore la Carta delle Nazioni Unite, che ha segnato la nascita ufficiale dell’ONU. Alla BPW International aderiscono 112 Paesi dei 5 continenti.