Le novità della ricerca sui tumori femminili, le nuove cure e la prevenzione per combattere la malattia ereditaria in anticipo
Love – Respect – Care sono le parole chiave alla base di un nuovo modo di vedere la malattia oncologica per combatterla in ogni sua forma; la scienza medica attuale fa un passo in avanti allargando le vedute per comprendere l’impatto dei tumori femminili su ogni aspetto della vita di una donna, grazie al coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e alle testimonianze dirette di chi vive o ha vissuto questa difficile esperienza.
Innovazione e accesso al femminile in oncologia
Si è svolto a Roma, presso il Pio Sodalizio dei Piceni, il 18 ottobre 2024, il meeting sui tumori femminili organizzato in occasione della Giornata mondiale contro il cancro dall’Associazione Naschira, partner del Barrett International Group di Virginia Barrett, che ha condotto la tavola rotonda della mattinata con gli interventi medico-scientifici, parte dei quali si è focalizzata sulla prevenzione, dal momento che molte donne hanno una predisposizione nota a sviluppare tumori mammari ed ovarici.
Il rischio eredo-familiare dei tumori femminili
Non lasciare che il cancro ci colga impreparati quando si è un soggetto a rischio si può. Il cancro alla mammella, quello che più di sovente colpisce le donne, nel 18% dei casi è dovuto a una familiarità e nel 6-7% dei casi è ereditario, nel 7-8% dei casi legato a mutazioni genetiche. Un tumore viene infatti definito ereditario quando la sua insorgenza è dovuta a una mutazione genetica trasmessa dai genitori. I geni che possono mutare sono il BRCA 1 e il BRCA 2.
Luigi Ciuffreda – direttore UOC Chirurgia senologica, direttore del dipartimento scienze chirurgiche e coordinatore della Breast Unit IRCCS Casa Sollievo della sofferenza San Giovanni Rotondo (FG) – ha spiegato che chi ha questi geni che predispongono alle neoplasie mammarie e/o ovariche può essere identificato attraverso alcuni criteri. Si tratta di soggetti ad alto rischio in quanto portatori della mutazione genetica identificabili in base a tre criteri clinici che gli oncologi conoscono. Per scoprire se il gene è mutato occorre fare un test genetico ma è necessario che i medici territoriali, cui la paziente ricorre in prima istanza, siano informati al riguardo, soprattutto quelli di medicina generale che possono richiedere una consulenza genetica oncologica in caso di dubbio. Attenzione però: il test si fa sul “caso indice” ovvero sul componente della famiglia che ha sviluppato la malattia e poi si estende l’indagine al resto del nucleo familiare con più di 18 anni di età. Se la persona del nucleo familiare con la patologia oncologica è deceduta, si fa il test ai familiari quando è determinato un rischio di almeno il 10% per il tumore mammario oppure quando la parentela è di primo o secondo grado in caso di tumore ovarico.
Come prevenire l’insorgere dei tumori femminili quando si è a rischio
Una volta appurato che il gene è mutato, anche se ancora non si ha la patologia, si sa di essere ad alto rischio e a questo punto è la persona a decidere quale via intraprendere: chirurgia preventiva o sorveglianza intensiva. La sorveglianza intensiva consiste nell’eseguire accertamenti ogni 6 mesi (non un anno), con indagini radiologiche e risonanze magnetiche. Sapendo che chi ha la mutazione genetica ha il 70% in più di sviluppare il cancro alla mammella (peraltro di tipo molto aggressivo se ad essere mutato è il gene BRCA1) si consiglia però di sottoporsi direttamente e immediatamente alla chirurgia preventiva. Una mastectomia bilaterale profilattica riduce il rischio del 92-95%. Questo perché l’intervento fa necessariamente residuare dei piccoli elementi che possono sviluppare questi tumori femminili ma comunque il rischio a quel punto – sottolinea Ciuffreda – è del 5% e non del 70%. Il percorso decisionale del paziente prevede sempre un supporto psicologico.
Tumori femminili. L’intervento chirurgico preventivo
L’intervento consiste nello svuotare la ghiandola (il seno) lasciando un sacco di pelle vuoto nel quale viene immediatamente inserita una protesi per ricostruire subito il seno. Questo è più semplice quando il seno è di piccole dimensioni poiché tutta la parte esterna del seno, compreso il capezzolo viene lasciata intatta e si può riempire con la protesi. Quando il seno è voluminoso invece l’intervento è più lungo e complesso, dal momento che il “sacco” vuoto è molto più grande rispetto alla protesi. Di conseguenza occorre intervenire riducendo anche la pelle ed eliminando la parte del capezzolo. Si tratta di un intervento di ricostruzione mammaria che ha spiegato il prof. Giovanni Dal Pra, direttore UOC di chirurgia plastica dell’ASL Roma 1 – Ospedale Santo Spirito, Ospedale San Filippo Neri, Centro Sant’Anna.
Ricostruzione mammaria, la chirurgia plastica
Dal Pra ha sottolineato che la ricostruzione mammaria è indicata in tutte le mastectomie, non solo in quelle preventive. Consente un ripristino totale della forma e del volume della mammella ed è consigliata a qualsiasi età, anche a 80 anni. Solo nell’Ospedale San Filippo Neri sono state già effettuate oltre 800 ricostruzioni contestuali alla mastectomia, che ormai porta ad avere una mammella perfetta ed evitare che l’intervento chirurgico sia demolitivo come quello che si effettuava un tempo. L’estetica per una donna che deve sottoporsi a questo intervento è fondamentale, serve anche a sollevare il morale prima dell’intervento, e le nuove tecniche lo rendono sempre migliore: una volta la tecnica era quella dei due tempi (la ricostruzione mammaria si effettuava dopo, a distanza dall’intervento) ma oggi la tecnica è a un tempo, ovvero il chirurgo senologo effettua una mastectomia con risparmio della cute e del complesso areol-capezzolare per poter inserire la protesi. Che non va più al di sotto del muscolo pettorale ma sopra, soluzione molto più naturale (la mammella è sopra e non sotto il muscolo), meno dolorosa e traumatica, semplice e veloce. E di più rapido recupero. La nuova tecnica è resa possibile – spiega Dal Pra – grazie a un’innovazione: le reti sintetiche a matrici biologiche che rivestono le protesi. L’intervento completo per una mastectomia dura di solito 4 ore, di cui solo 20 minuti sono dedicati alla ricostruzione plastica. Se il seno però è voluminoso, la durata è più lunga e il complesso del capezzolo non si può salvare ma può essere ricostruito in seguito. Si agisce pertanto come nei casi delle mastoplastiche riduttive estetiche.
Tumori femminili. Gli effetti secondari e l’importanza dell’estetica
Oncologia ed estetica, un rapporto difficile che va agevolato. Perché esiste oggi un nuovo approccio multidisciplinare, che deve considerare anche questo aspetto che influisce sulla psiche della donna ma che può anche essere un supporto per i medici. A parlarne è la dott.ssa Adelina Petrone, radioterapista oncologa e medico estetico del Gemelli, che spiega come le donne siano preoccupate delle conseguenze delle terapie, degli effetti devastanti che potrebbero avere sul proprio corpo. Ad esempio la chemioterapia sui capelli o la radioterapia sulla pelle. La sana estetica deve saper rispondere alle domande delle donne colpite dai tumori femminili, come sapere se al termine della terapia si potrà fare una tinta o un filler, se potrà prendere il sole o fare il bagno al mare. “Non sapendo cosa rispondere, gli oncologi dicevano subito di no. A qualsiasi domanda di questo tipo. Invece molte risposte potrebbero essere positive se si studiasse l’estetica oncologica e ginecologica funzionale, per questo ho aperto al Gemelli un laboratorio – Cute inForma – per prendermi cura delle pazienti e per dare loro informazioni su come prendersi cura di sé stesse dopo la fine delle terapie”. Ma c’è anche un altro motivo: la pelle stessa, con le sue reazioni, può informare i medici, ad esempio della tossicità dei vari farmaci. La radioterapia, l’immunoterapia e ogni terapia oncologica rende fragile la pelle. La radioterapia ad esempio ha effetti collaterali come il rush cutaneo, l’eritema, la fotosensibilità. Oltre all’alopecia della chemioterapia (a volte a chiazze). “Questi effetti impattano in modo devastante sulla donna, che per la prima volta vede allo specchio la sua malattia. L’emocromo non lo vede, ma la cute sì.” Il filtro idrolipidico che difende la pelle viene a mancare, poi c’è il prurito, la fissurazione… la dermocosmesi è importante al punto tale che al Gemelli stesso c’è un corso di laurea in cosmetologia clinica. Perché le pazienti devono fare dei trattamenti estetici per tornare a una vita sociale e lavorativa normale. E si stanno facendo dei corsi formativi anche per i medici estetici, che devono sapere cosa consigliare, perché una crema sbagliata, un filtro solare, un detergente intimo possono causare danni invece di aiutare.
I tumori femminili. Il tumore ovarico
Il tumore ovarico è raro ma molto aggressivo soprattutto perché silente: lo si scopre quando ormai ha raggiunto uno stadio avanzato. Di conseguenza, anche se colpisce solo il 2% della popolazione femminile, è ad alta mortalità. Come spiega la dott.ssa Laura Orteghi, della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli, il 50% di questi tumori femminili è legato ad alterazioni genetiche. E non esistono screening per la diagnosi precoce del tumore ovarico, dunque l’unica arma per combatterlo prevenendolo è la chirurgia profilattica. Un’arma cui molte donne non sono preparate, sia per un problema legato all’infertilità successiva, sia per l’insorgenza della menopausa precoce. Per questo il consiglio a chi ha il gene mutato è di fare al più presto un figlio, per poi ricorrere all’intervento, che è poco invasivo, in laparoscopia. Non è necessaria anche l’isterectomia (levare anche l’utero) ma in alcuni casi può essere utile, anche pensando alla terapia ormonale sostitutiva che dovrà seguire. I sintomi della menopausa sono molto pesanti e in questi casi iniziano in una donna già a 30/35 anni di età (l’età consigliata per sottoporsi all’intervento). La terapia ormonale viene raccomandata con soli progestinici e va portata avanti fino ai 50 anni di età per “recuperare” gli anni persi. Ma serve ad evitare anche i rischi cardiovascolari e l’osteoporosi che arrivano con la menopausa. Per vincere la paura dell’intervento si deve però essere consapevoli che questi tumori femminili oltre a manifestarsi nell’80% dei casi solo quando sono a uno stadio avanzato, si evolvono coinvolgendo altri organi e che chi ha una mutazione genetica può avere il tumore 10 anni prima del parente malato. Al Gemelli c’è un laboratorio dedicato, “Abbracciamoci”, cui ci si può rivolgere se si ritiene di essere a rischio (figlia di una paziente oncologica) di tumore ovarico. Basta scrivere un’email a abbracciamoci@policlinicogemelli.it.
Tumori femminili. Le associazioni di medici e pazienti
La Breast Unit è un’unità composta da specialisti che seguono le donne con tumore al seno. Si tratta di un’unità multidisciplinare, in cui un senologo, un oncologo, un ginecologo, un radioterapista, uno psicologo, ecc. collaborano nel dare risposta sul miglior percorso da affrontare per ogni singolo caso che si presenta. E la possibilità di guarigione quando si è seguito da una Breast Unit è superiore del 20%. A spiegarlo è il prof. Massimo Vergine, direttore UOC Chirurgia della mammella del Policlinico Umberto I di Roma nonché presidente dell’associazione Filo Teso, che supporta le donne operate di tumore al seno nel loro bisogno di comunicare tra loro. Le associazioni devono infatti permettere la comunicazione e la conoscenza, per esempio occorre sapere che se il tumore è inferiore al centimetro, c’è possibilità di guarigione al 100%. E devono dare informazioni anche pratiche, ad esempio sugli iter da seguire per il riconoscimento dell’inabilità. Questo perché “i senologi e gli oncologi hanno poco tempo per parlare con le pazienti e dunque sta alle associazioni sopperire, ascoltare e rispondere alle domande, lasciare che si confidino. Perché con l’apertura si vengono a sapere anche quali sintomi hanno, per esempio molte hanno problemi sessuali che non riescono a comunicare ai medici. Poi magari vanno sul web e trovano informazioni sbagliate. Anche i problemi estetici sono importanti: devono sapere che con la chemio cadono anche le sopracciglia e devono sapersi truccare, che ci sarà un rigonfiamento causato dalla ritenzione idrica, ci sarà un edema, devono saper usare i prodotti cosmetici giusti. E le associazioni danno anche un importante supporto psicologico, pre e post terapia, per permettere loro di tornare alla vita di tutti i giorni con serenità, per impedire che si chiudano in casa, che si deprimano. In questo è importante anche la ripresa delle attività fisiche, in particolare sportive. Noi consigliamo di iscriversi subito a qualche centro sportivo, per socializzare e riprendere a muoversi”.
Le associazioni e la prevenzione dei tumori femminili
Il professore di chirurgia alla Sapienza Università di Roma nonché vicepresidente vicario dell’associazione LILT (Lega italiana per la lotta contro i tumori), Giuseppe D’Ermo, nel 1988 creò il primo centro di prevenzione dei tumori e da allora ha allargato l’ambito di azione alla riabilitazione, poi alla ricerca in partnership con Università e Centri. La sua denuncia è grave: “Serve interagire con le istituzioni perché siamo tornati indietro, abbiamo enormi ritardi sulla prevenzione. Noi crediamo che si debbano rompere gli steccati creati dalle strutture territoriali, dove si è convinti che lo screening debba essere fatto solo dalle Regioni e tutto il resto alle altre istituzioni. La prevenzione va fatta fare a tutti. Si deve creare una rete tra tutti coloro che hanno qualità e competenze per attuarla, privati compresi, con una cabina di regia stabilita insieme. Si può collaborare con tutte le categorie, sindacali e corporative, con le associazioni rappresentative delle attività produttive. Se si facesse un accordo per la defiscalizzazione del welfare aziendale ci sarebbe un minor assenteismo, un attaccamento dei dipendenti alle proprie aziende, minori costi per il Servizio sanitario nazionale”.