EDUCAZIONE E FORMAZIONE

I gruppi stranieri che invadono le città

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di Mariangela Giusti, Docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca

In questa rubrica ci siamo occupati spesso di quanto le città possono educare e formare. Lo faccio anche oggi in quanto la settimana scorsa mi è capitato di partecipare a eventi pubblici molto formativi in due grandi città italiane: Torino e Milano. Si tratta di due grandi eventi che segneranno i mesi centrali di questo 2015 per l’Italia; due eventi molto diversi fra loro: la solenne Ostensione della Sindone a Torino e l’Expo a Milano. Sono stata colpita in entrambi i casi dai tanti gruppi di visitatori stranieri che ho visto e vorrei provare a rielaborare in dimensione formativa le riflessioni fatte sul momento, stando in fila davanti o dietro a molti di loro. 

Le visite a eventi espositivi così importanti sono avvenimenti validi in sé: divertono, educano, lasciano delle idee, fanno crescere la volontà di fare, aumentano la fiducia nei diritti positivi di tutti, abituano i ragazzi a conoscere meglio gli adulti, consentono agli adulti di imparare qualcosa di più su se stessi.

Sono stata colpita dai gruppi numerosi dei visitatori provenienti da paesi dell’Est Europa: i loro vestiti tradizionali, i fazzoletti bianchi sulla testa delle donne, le barbe lunghe degli uomini; sono stata colpita dai gruppi di orientali: uomini e donne che non superavano i quarant’anni, eleganti e sfilati nelle loro linee griffate; sono stata colpita dai gruppi di ragazze indiane, nei loro abiti tipici di tessuti troppo leggeri per le giornate di una primavera italiana incerta e piovosa.

Questi gruppi così numerosi che invadono le città ci ricordano che i grandi eventi sono maniere importanti e significative per ricordare che il diritto all’educazione è un diritto di tutti: il cibo, la spiritualità, le colture sostenibili, l’acqua sono tematiche vive, da collocare al centro dell’attenzione, parte integrante della vita degli uomini, su cui è necessario riflettere e interrogarsi. Nei modi, negli atteggiamenti esteriori dei gruppo di stranieri mi è parso di leggere questo atteggiamento. Si vedeva riflessività e condivisione nelle facce delle giovani contadine arrivate da di chissà quale Paese dell’Est, in fila scomposta dietro ai loro giovani sacerdoti illuminati, con la lunga tunica marrone e la barba. Si vedeva riflessività e condivisione nelle facce delle giovani cinesi, in tailleur nero e tacco 12; si vedeva riflessività e condivisione nelle facce delle giovani ragazze indiane, incerte su come muoversi nei loro shari e coi loro sandali aperti. I gruppi stranieri invadono le città ed è una benedizione per tutti. Con le loro gonne lunghe, le loro trecce, le loro sete colorate ci insegnano a riflettere sul fatto che siamo tutti sulla stessa linea di partenza, che siamo tutti in un rapporto sempre un po’ incredulo di fronte al mistero, di fronte alla novità, di fronte alla bellezza delle innovazioni. Siamo tutti sulla stessa linea di partenza e non ci si deve stancare di fronte all’impegno e alla responsabilità di fare meglio, di inventare ancora, di scrivere nuove storie sempre un po’ diverse dalle precedenti.

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