EDUCAZIONE E FORMAZIONE

La pubblicità per EXPO ci fa pensare al cibo

di Mariangela Giusti, Docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca

La presenza di EXPO sui media (trasmissioni televisive e spot pubblicitari) comincia a crescere progressivamente e ciò significa pensare al cibo in tanti momenti della giornata. Le raffigurazioni del cibo delle pubblicità sono molto belle: colorate, rallentate, magiche, gioiose…Chissà che tipo di imprinting formativo lascerà nei minori questo bagno continuo di riferimenti al cibo nei prossimi sei mesi…Lascerà un’immagine più falsata o più reale del cibo? Un’immagine di sostanza o di superficialità? Il cibo è uno dei valori culturali che gli immigrati si portano dietro con molta concretezza. Da una ricerca recente è emerso che le donne e gli uomini migranti in Italia spesso scelgono di restare ancorati alla cultura e alle tradizioni del paese d’origine, ai valori familiari e a certi cibi, che mischiano e negoziano con quelli del paese d’arrivo, adattati e conservati in una rete di connessioni che si ricreano nel paese ospitante. Il cibo, i nutrimenti, i vari aspetti che gravitano intorno alla cultura alimentare possiedono riferimenti trasversali a tutti i gruppi etnici e sono argomenti che consentono di accedere a vari mondi culturali. La storia del cibo mostra che nel corso del tempo sono avvenute contaminazioni di spezie e sapori, mescolanze e migrazioni di alimenti e le microstorie di vita raccontate dai testimoni della ricerca hanno confermato queste contaminazioni. Per esempio, ciò è emerso in virtù della stretta connessione fra i riferimenti religiosi e i cibi nelle testimonianze di donne e ragazze ucraine per i festeggiamenti della Pasqua. E’ raccontata con frequenza l’abitudine di festeggiare la ricorrenza religiosa organizzando dei pranzi all’aperto nei grandi parchi cittadini, con cibi tipici ucraini. Analogamente per il Natale, in particolare col riferimento ai cibi preparati per la vigilia. Le donne e perfino le giovani ragazze ucraine (pur vivendo in situazioni non certo floride dal punto di vista economico) ricordano con precisione per esempio le “torte con i papaveri e la crema”, preparate seguendo rigorosamente la ricetta tradizionale. S.B, 28 anni, originaria dell’ Ucraina, in Italia da due anni precisa che si tratta del “Makovyi Knysh, il rotolo di semi di papavero, un dolce della tradizione ucraina del Natale e della Pasqua. Nelle testimonianze i riferimenti al valore del cibo in Ucraina sono ricorrenti e sempre precise, con l’orgoglio di ricordare che “in Ucraina si fa tutto in casa: il pane, il salame, la carne, le cose affumicate”. 

Anche per quanto riguarda le famiglie filippine e sudamericane, i rimandi al collegamento cibi/celebrazione delle festività liturgiche sono frequenti. Molte testimoni filippine per esempio fanno riferimento al fatto che la domenica è il giorno in cui il primo dovere è la partecipazione alla funzione religiosa (la messa), ma ciò prelude anche alla riunione della comunità in parrocchia e al pranzo celebrato tutti insieme, nei locali parrocchiali, messi a disposizione dai sacerdoti e gestiti in autonomia, coi cibi tipici.
Per quanto riguarda le testimonianze degli adulti sudamericani (peruviani, equadoregni, colombiani) un riferimento frequente è ad alcune festività religiose che, insieme al clima della festa, prevedono il mantenimento di tradizioni culinarie tipiche del paese d’origine. Per esempio, molti testimoni peruviani fanno riferimento alla festività del Seňor de los Milagros (per la quale è prevista, soprattutto in alcune grandi città come Roma, Bologna, Milano un’ imponente processione molto sentita e partecipata) e riferiscono che in Perù “è considerato di buon auspicio offrire qualche cibo agli stranieri presenti alla festa, come senso di solidarietà” e che c’è un dolce tipico che, pur vivendo lontani dal paese d’origine da molti anni (quindici, venti, spesso anche venticinque) continuano a preparare per mantenere un legame e una forma d’identità sociale, in virtù di ciò che la tradizione di quel dolce tramanda. Si tratta, nello specifico del “Turrón de Doña Pepa, un dolce a base di bastoncini di pasta frolla e di una glassa mielosa composta da frutti, spezie e chancaca, un impasto di saccarosio e fruttosio che viene dalla canna da zucchero ” (E.L, 45 anni, originaria del Perù, in Italia da 17 anni). El Señor de los Milagros (“Il Signore dei Miracoli”, conosciuto anche con il nome di Signore dei Terremoti) è un Cristo molto venerato in Perù; è un’immagine dipinta su una parete del Santuario di Las Nazarenas di Lima al quale sono attribuiti molti miracoli, tra cui quello di proteggere dai terremoti (nel 1655 un forte terremoto sconvolse Lima: crollarono molti edifici, case e gran parte del Santuario di las Nazarenas, ma rimase intatta la parete con l’immagine dipinta del Cristo, attribuitao a uno schiavo africano) . Anche l’origine del Turrón de Doña Pepa è legato alla storia degli schiavi africani portati in Perù: secondo la leggenda, una schiava nera di nome Josefa Marmanillo che viveva nella Valle di Cañete, viaggiò fino a Lima per chiedere la grazia al Señor de los Milagros per essere curata dalla paralisi che aveva cominciato a soffrire alle braccia. El Señor de los Milagros guarì Josefa e lei preparò un dolce in suo onore: il Turrón de Doña Pepa. E’ un dolce dal sapore salato e dolce allo stesso tempo, salato dentro, nella parte del biscotto, e dolce nella glassa mielosa. La sua origine rimanda alla storia di gente umile e emarginata, con la speranza e la possibilità di un riscatto fisico (Josefa ebbe il miracolo) ma anche sociale in quanto Josefa era una schiava, che alla fine fu chiamata “Doña” Pepa.
Dalle testimonianze raccolte si comprende che per le famiglie di antica tradizione sudamericana il giorno di vacanza domenicale collega i cibi a ricorrenze religiose contiene almeno due componenti educative e formative: la trasmissione del senso della condivisione e il mantenimento di riferimenti culturali. I rimandi al cibo sono sempre frequenti, in particolare con racconti anche molto coloriti di abbondanti grigliate in spazi consentiti (e spesso anche non consentiti) dove “ciascuno porta qualcosa di carne e poi si griglia il tutto”.

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