Normative

Effetti della crisi economica tra occupazione, giovani e condizione femminile

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Convegno organizzato dall’ISFOL sull’attuale situazione del mercato del lavoro in Italia anche a seguito delle riforme legislative, per studiarne i risultati e gli effetti

di Martina Bortolotti

Giovedì 10 dicembre si è tenuto a Roma, presso la sede dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), il convegno “Lavoro e crisi economica: evidenze, riforme e prospettive”, un’occasione per tracciare un quadro della situazione del mercato del lavoro in Italia, tra crisi economica, riforme legislative e i risultati da esse prodotti.

Nel convegno, dopo aver definito i cambiamenti in atto negli ultimi anni, si sono approfondite una serie di tematiche sociali centrali per la questione del mercato del lavoro: in particolar modo la disoccupazione giovanile e il calo della fecondità. Hanno partecipato all’evento studiosi esperti delle tematiche del lavoro e, in rappresentanza delle istituzioni, la Sottosegretaria di Stato al Lavoro e alle Politiche Sociali Teresa Bellanova.

In base a quanto è stato detto in tale occasione, facciamo il punto di ciò che si sta muovendo nel mondo del lavoro da qualche anno a questa parte.

convegnoQuella cominciata nel 2008 è stata una crisi robusta, che ha toccato il tasso di investimenti, di esportazioni, la produttività, l’input al lavoro e conseguentemente l’occupazione. Nei primi anni, i risultati di questa situazione disastrosa si sono palesati in maniera evidente. Tra il 2009 e il 2010, infatti, i posti di lavoro – tra quelli a tempo determinato e a tempo indeterminato – sono diminuiti di circa mezzo milione, con uno sviluppo inversamente proporzionale del part-time (negli uomini si è passati dal 52% all’81% di lavoratori part-time, nelle donne dal 37% al 60%).
Secondo i dati, nel 2012, con l’introduzione delle Riforma Fornero, la situazione ha cominciato a migliorare: si è assistito a una restrizione del lavoro autonomo con un calo dei contratti di collaborazione e dei lavori “flessibili” mentre sono aumentati i contratti tipici.
Il 2014, invece, è stato un anno di attesa, solo apparentemente negativo, durante il quale le assunzioni a tempo indeterminato sono rimaste pressoché ferme. Il motivo: gli imprenditori erano in attesa dell’arrivo del nuovo anno per poter usufruire delle agevolazioni previste dal Jobs Act.
Solo con il 2015, dunque, i risultati delle riforme hanno potuto essere valutati.

I dati registrano un lieve aumento dell’occupazione (quasi 200 mila nuovi assunti) e, in particolar modo, dei contratti a tempo indeterminato. Quella del Jobs Act è stata difatti una strategia di persuasione grazie agli incentivi economici promessi, i quali sono stati confermati – ma ristretti – per l’anno 2016. Si auspica, in ogni caso, che col nuovo anno la situazione si dilati ancora di più.
Lo scenario appare dunque positivo. Al tempo stesso, però, è doveroso sottolineare che la crescita italiana sta avvenendo con tempistiche decisamente più lente rispetto ai partner comunitari.
Quali sono i punti deboli che registra il nostro Paese? Eccone una serie: una bassa crescita della produttività, una disparità di genere tra lavoratori uomini e lavoratrici donne, un insufficiente livello di sviluppo, una scarsa propensione all’innovazione e altro ancora.

L’Italia – è stato detto al convegno – ha perso competitività nel contesto europeo già dal principio degli anni 2000. Il giovane lavoratore con una formazione alle spalle ha certamente uno stipendio superiore al giovane non formato, ma è comunque una retribuzione nettamente al di sotto della media europea. Dunque le cose devono continuare a cambiare. “Possiamo scegliere di guardare al futuro con ottimismo ma, al tempo stesso, con la consapevolezza di aver calcificato solo il primo mattone della costruzione che vorremmo” hanno detto i relatori.

Un Paese senza ricambio generazionale

Si è successivamente trattato il tema della denatalità che sta caratterizzando questo periodo di crisi economica, un problema sorto già negli anni ’90 e che lega una serie di ragioni.
L’impatto della crisi ha portato a una sempre minore propensione ai matrimoni, così come alla minore propensione ad avere figli tra i giovani. La fecondità viene oramai posticipata all’età avanzata. Questa realtà – da non sottovalutare – si lega sottilmente a quella del lavoro. In una società demograficamente sana dovrebbe avvenire un ricambio generazionale sul lavoro. Negli ultimi anni, invece, questo patto generazionale è decaduto. Tutto questo ha portato a una sorta di circolo vizioso: non si trova lavoro dunque non si fanno figli. Non si fanno figli dunque non c’è ricambio.
Come hanno riferito i convenuti, ciò si lega strettamente alla condizione dei giovani, quelli che più di tutti hanno subito l’impatto della crisi. A causa di questo mancato ricambio negli ultimi anni sono diminuiti drasticamente i giovani lavoratori.
Si potrebbe pensare che la ragione sia un aumento di studenti universitari, che dunque posticipano il momento di entrata nel mondo del lavoro. E invece no. I dati mostrano chiaramente che a diminuire è stato anche il numero di laureati. Quindi le ragioni sono da ricercare altrove.
Un dato da considerare è che l’Italia investe meno di 7 miliardi nell’università, laddove Paesi come la Germania ne investono intorno ai 26. Negli ultimi due anni però, grazie alle riforme in atto, sembra esserci un’inversione di rotta, almeno negli intenti. È stato eliminato il contratto a progetto; sono state introdotte forme di incentivo all’assunzione che hanno riattivato alcuni meccanismi. È presto per dire se tali intenti si concretizzeranno.

Conclude l’On. Bellanova: “Vengono fatte troppe approssimazioni, semplificazioni di realtà complicate, non semplificabili. I giovani hanno il diritto di avere il lavoro per cui hanno studiato. Nonostante ciò, si mostrano pronti a svolgere altri lavori: siamo di fronte a una maturità che non abbiamo saputo riconoscere. Le donne hanno un dislivello salariale coi colleghi maschi. Quando decidono di avere un figlio spesso si trovano ad affrontare situazioni spiacevoli: al loro ritorno l’ambiente di lavoro è cambiato, oppure una possibilità di crescita professionale è saltata perché colta da qualcun altro. Possediamo una legislazione eccellente ma poco utilizzata. Non abbiamo saputo tutelare la famiglia, che è il principio cardine di tutti i meccanismi. Lavoreremo per ampliare anche questo aspetto”.

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