COMUNICAZIONE

Questione di feeling

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Il progetto delle interfacce dei supporti informatici impone nuovi modelli di comunicazione e interazioni basati su un “design del feeling”, scopriamo insieme di cosa si tratta…

A cura di Americo Bazzoffia, libero docente universitario e consulente in comunicazione strategia integrata

La Humana Computer Interaction (HCI), analizzando i problemi correlati alla progettazione di interfacce uomo-macchina, propone modelli che rendano una interazione efficace tra individuo e computer. I ricercatori, avendo accertato che i problemi relativi all’organizzazione e alla gestione del lavoro, la salute, i fattori neurofisiologici e i fattori ambientali possono influenzare l’interazione uomo-computer, hanno analizzato a fondo questo settore interdisciplinare di studio.

Sono numerose le discipline che si occupano di questi problemi: ergonomia cognitiva, psicologia, scienze cognitive, computer graphic, semiotica, industrial design, fisiologia umana, information and communication tecnology.

 

Oggi che i computer sono alla portata di milioni di utenti – e non come in passato appannaggio di pochi esperti – per i più disparati scopi: lavorativi, ludici, formativi, informativi e ricreativi, diventa essenziale per i progettisti studiare sistemi adattabili ai diversi bisogni di cui il fruitore necessita.

Il successo di qualsiasi strumento informatico – programma o applicativo, App o sistema operativo di PC, tablet o smartphone – dipende da un numero fattori: facilità di apprendimento del sistema; comodità di impiego; gradevolezza estetica, familiarità con il mondo reale e delle azioni umane.

A differenza dell’ergonomia classica, che si è sempre occupata delle interazioni uomo-macchina-ambiente sotto il profilo meccanico e fisiologico, l’ergonomia cognitiva studia le interazioni in cui entrano in gioco fattori cognitivi ed emotivi legati alle dinamiche di percezione, apple, apprendimento, memorizzazione e problem solving.
Affinché vi sia ergonomia cognitiva occorre che vi siano – come afferma Alberto Abruzzese nel suo “Lessico della comunicazione” – “artefatti cognitivi” ossia prodotti dagli esseri umani per gli esseri umani utili al miglioramento dei processi cognitivi. Uno tra questi è certamente il computer che necessita di interfacce per rendere esplicite le informazioni in esso celate alla normale percezione umana.
L’interfaccia è quindi lo strumento che, se ben progettato, se frutto di una azione progettuale di “design” (compiuta e olistica) sul suo utente, permette di ridurre distanze, velocità e lavoro tra le operazioni che l’artefatto cognitivo consente di compiere e quelle che effettivamente compie.

interfaccia-graficaL’usabilità e le sue principali tecniche di valutazione, l’ergonomia delle interfacce, lo studio delle nostre azioni e soprattutto reazioni prima, durante e dopo l’uso di una interfaccia, lo studio delle nostre relazioni con gli ambienti, gli oggetti, gli strumenti e altri soggetti attraverso le interfacce costituiscono parte essenziale del nuovo modo di concepire il design da oltre venti anni.

Oggi è particolarmente importante per il successo commerciale di un artefatto cognitivo, studiare, capire e progettare interfacce intelligenti e dinamiche capaci di rispondere ed agire con fluidità fra le sfere: della fisiologia, della percezione e orientamento cognitivo, della psicologia individuale, dell’affettività, della motivazione, dell’azione, della socialità, della ludicità, della spettacolarizzazione, della semplificazione e della immediata intuizione.
L’interfaccia, che per definizione nel linguaggio scientifico e tecnologico è l’ente che agisce da elemento comune, in parte di separazione e in parte di collegamento, tra due o più altri elementi, contempera non più e non solo l’oggetto e verso l’utente fisico.

L’intervento dell’interfaccia grafica fin dalla sua progettazione oggi sempre tende a considerare l’utente non solo un utilizzatore generico, indeterminato e impersonale che deve compiere una azione con un artefatto cognitivo sia esso un tablet, un pc, uno smarthphone o uno schermo interattivo, ma un individuo dotato di capacità di affettività e emozionale. Le aziende evolute nella realizzazione e creazione di apparecchi informatici, sistemi gestionali e applicativi sanno bene come una modalità di interazione “nuova”, una “nuova” interfaccia (non solo nella sua accezione di “originale” ma anche di “innovativa” per semplicità, affezione e umanizzazione di un processo che prima imponeva una adattabilità dell’utente alla macchina e non il contrario) è il moderno “Uovo di Colombo”, ossia una soluzione insospettatamente semplice a un problema apparentemente impossibile.

Cause miliardarie – si pensi a quella del 1988  che la Apple intentò contro Microsoft e Hewlett-Packard, il cui oggetto principale del contendere era l’interfaccia grafica di Windows a finestre e icone che ricordava innovative soluzioni introdotte da Apple, oppure quella più recente tra Apple e Samsung per alcune soluzioni nelle interfacce grafiche su smartphone – dimostrano quale valore materiale abbiano tali intuizioni.
Ciò che sembra più interessante osservando la storia evoluzionistica delle interfacce delle imprese del settore è che si sta sempre più spostando l’accezione dell’ergonomia dalla “funzione” al “feeling” che riescono ad esprimere. Anzi, potremmo definire un design avveniristico, moderno ed efficace quello che riesce a far instaurare tra utente e macchina non solo una relazione efficiente e funzionale e amichevole, ma anche empatica. Un “design del feeling”, ossia un progetto grafico ed ergonomico capace di rispondere a quel particolare stato emotivo in cui un individuo si sente affettivamente accolto in uno stato di sintonia con l’altro (non una persona ovviamente, ma in questo caso una macchina), una condizione straordinaria e particolarmente coinvolgente che rende l’interazione con quel particolare artefatto cognitivo piacevole, coinvolgente, ludica, naturale e quasi affettivamente appagante, in una accezione semplice: “una interazione umana” anzi più che umana. 

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