COMUNICAZIONE

I brand tra fattori svedesi, avari scozzesi, ignoranti americani e attaccabrighe italiani

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Non è possibile nemmeno immaginare cosa celino i nomi di aziende e di prodotti che consumiamo abitualmente

A cura di Americo Bazzoffia, libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata

Li nominiamo frequentemente, magari acquistiamo anche i loro prodotti, eppure molto spesso non sappiamo minimamente l’origine ed il significato di molti nomi di marche famose. È molto curioso il fatto che, mentre per i nomi di persona o di fiori, di animali o di luoghi, viene da chiederci quale sia la loro origine, qual è il significato che si cela dietro a quei suoni e a quelle lettere, per quello che riguarda i nomi delle marche e dei prodotti, si potrebbe dire che ci fermiamo ai “significati” come direbbero gli esperti di semiotica, o meglio ci fermiamo alla significazione primaria e banale che è quella che identifica un logo, un marchio, una tipologia di beni o di servizi. Eppure dietro al nome di una marca o una gamma di prodotti c’è di volta in volta una storia, un’intuizione, un aneddoto, un’esperienza e una vita che è avvincente scoprire. Per esempio quanti sanno cosa significa IKEA? Eppure è una marca estremamente nota. La maggior parte delle persone pensa che sia un termine di senso compiuto svedese o un nome di fantasia, altri ancora non si sono probabilmente nemmeno posti il quesito; in realtà si tratta di un acronimo originato dalle prime lettere del nome del fondatore “Ingvar Kamprad” (IK) associate alle prime lettere della fattoria e del villaggio dove è cresciuto in Svezia: “Elmtaryd” (E) e “Agunnaryd” (A), “IKEA” appunto. Anche il nome ADIDAS, nota marca di scarpe ed abbigliamento da ginnastica è un acronimo che prende origine nel 1948 dal nome del suo fondatore Adolf Dassler anzi per l’esattezza trae origine dalla combinazione del suo soprannome ADI e del cognome DASsler. Anche la ARISTON cela al suo interno in nome di battesimo di colui che nel 1930 la fondò ARISTide Merloni. Mentre “Danone” non è altro che il nomignolo catalano con cui Isaac Carasso, ideatore dello yogurt, aveva l’abitudine di chiamare il figlio Daniel.

Normalmente, il nome dell’azienda fa riferimento al cognome del suo fondatore, come per esempio: Ferrari o Martini. Vi sono dei marchi che, pur identificandosi con il cognome del fondatore, a noi italiani possono sembrare nomi di fantasia o che nulla hanno a che vedere con una persona, come ad esempio: “Mars”, “Nestlé”, “Heineken”, “Gillette”.
Per non parlare di quando un brand si identifica con una sigla sotto cui si cela una frase di senso compiuto. Il più noto dei casi è certamente FIAT, che sta per “Fabbrica Italiana Automobili Torinese” ma anche SAIWA “Società Anonima Italiana di Wafer e Affini” o IBM “International Business Machine” appartengono a questo categoria.

Un altro riferimento classico nel nome del brand deriva dal luogo di provenienza del prodotto. “Nokia”, ad esempio è un termine di derivazione finnica che si usa per indicare una comunità di persone. Nel 1865, la gente cominciò utilizzare il termine “Nokia” per indicare la comunità di persone sorte intorno ad uno stabilimento e ben presto quel nome venne scelto per identificare l’azienda e poi la città che vi sorse intorno. In questo caso quindi è il nome dell’azienda che ha dato i natali al nome della città, ma più frequentemente è il contrario, ossia è il “made in” che condiziona la scelta del nome, come nel caso di “Marlboro”. “La sigaretta Marlboro” infatti fino al 1924 si chiamava “Marlborough”, nome di una cittadina a sud di Londra che ispirò nel 1885 il piccolo venditore di tabacco dal nome Philippe Morris.

Ma ci sono nomi di brands e di prodotti che celano storie ed aneddoti avvincenti. Come il caso dei “Baci” della Perugina, che negli anni Venti erano stati originariamente definiti “cazzotti” a causa della (ancora attuale) forma che ricorda un pugno chiuso. Il nome “Bacio” venne ideato da Giovanni Buitoni, che riteneva sconveniente per la benestante borghesia dell’epoca far chiedere dei “cazzotti” alle giovani e belle commesse della pasticceria, e quindi si decise che fosse più maliziosamente divertente far chiedere dei “Baci”.

Spassosa è invece l’origine del nome del celebre nastro adesivo “Scotch”. Ci troviamo nell’America degli anni Venti, un periodo in cui vanno di gran moda le auto bicolore. Per delimitare le linee di colore diverso in modo preciso, i carrozzieri utilizzano un nastro adesivo di carta. Nel 1925 la 3M lancia sul mercato un nuovo nastro, con adesivo solo ai bordi, con l’obiettivo di rendere più agevole l’operazione di posa e di rimozione dello stesso. Il nuovo prodotto non si rivela però una grande idea dimostrandosi ben presto inefficace per il frequente scollamento. Questo provoca l’ilarità dei carrozzieri che iniziano a chiamare il prodotto “scotch tape” (“nastro scozzese”) per sottolineare gli intenti “avari” dell’azienda. Cinque anni dopo, la stessa azienda, ormai affezionata al nome affibbiato al prodotto dai carrozzieri, sceglie, con una buona dose di autoironia, di chiamare un nuovo nastro adesivo “Scotch”.

logo-appleAddirittura, dietro alcuni brands si celano decine di leggende metropolitane, come nel caso del celebre nome Apple (mela), oggi rappresentato da una mela stilizzata morsa su un lato. La mela ha sempre fatto parte della storia Apple, il primo logo della Apple Computer rappresentava Isaac Newton seduto sotto un albero di mele e fu disegnato nel 1976 da un ex socio di Steve Jobs. Anche all’epoca, dunque, il frutto prediletto era sempre la mela, seppur in un contesto diverso che voleva significare innovazione e desiderio di conoscenza. Il disegno in questione però non soddisfece mai Jobs, che nel 1977 commissionò al grafico Rob Janoff (uno dei più creativi disegnatori cui si devono i loghi di IBM, FedEx, Volkswagen e CNBC) una nuova immagine. Questi ideò allora il logo della mela morsa.
La vera storia del perché è stata scelta la simpatica ed irriverente mela morsa è stata oggetto di molte leggende metropolitane. Jobs volle la mela solo perché era il suo frutto preferito, ma fu detto anche che scelse questo simbolo per omaggiare la casa discografica dei Beatles, la “Apple Records” di cui era fan. Si dice inoltre che Janoff volle rendere omaggio ad Alan Turing, uno dei pionieri dell’informatica, morto suicida mordendo una mela avvelenata con del cianuro. Altri pensano che la mela rappresenti simbolicamente la comunità gay.
Fra tutte le tesi sostenute la più verosimile è quella per cui Janoff disegnò questo simbolo cercando di soddisfare le idee di Jobs circa la possibilità di dare un’immagine innovativa e fresca all’azienda. La mela morsa, simbolo del peccato originale, avrebbe dovuto dare il senso anticonformista ed un po’ contro corrente della cultura dell’azienda stessa. Tra l’altro, la parola morso – in inglese “bite” – bene si abbinava ai “bit” e ai “byte” del linguaggio informatico.

Se Apple nel suo nome e nel suo logo si orienta sul mondo botanico, le sigarette Camel si ispirano invece al mondo animale. La Camel si chiama così perché questa marca con tale nome voleva evocare, nel 1913 – secondo il suo ideatore, Richard Joshua Reynols – la provenienza del tabacco dalla Turchia (assecondando così il gusto degli intenditori dell’epoca).
Mentre i collanti UHU con questo nome vogliono ricordare il gufo della Foresta nera che in tedesco si indica appunto con “uhu”.

Anche la mitologia classica non sfugge ad uno sfruttamento commerciale, infatti “Nike”, come azienda di scarpe da jogging, decide di prendere in prestito il nome della dea greca della vittoria.

yahooInfine, tra le origini più bizzare di brands nati recentemente non possiamo non citare “Yahoo!” che sembra un’esclamazione di gioia ma non lo è. Gli Yahoo sono in realtà una razza di creature bestiali ignoranti e stupide raccontate da Jonathan Swift nel celebre libro del 1726 “I viaggi di Gulliver”. David Filo e Jerry Yang, studenti e dottorandi in ingegneria alla Stanford University, si definiscono degli “yahoo” ossia degli “stupidoni”. E, quando nasce la loro creatura, sotto il nome Yahoo! inseriscono l’aconimo “Yet Another Hierarchical Officious Oracle”.

 
 

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