Il no di Donald Trump al trattato di Parigi ha scatenato una mobilitazione globale in positivo, tutti gli ambientalisti insieme per la tutela del pianeta. Intervista esclusiva a Giulio Terzi
di Laura Placenti
Poco dopo il termine del G7 di Taormina, il Presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti usciranno dall’accordo di Parigi del dicembre 2015, che, su ispirazione del precedente Presidente Obama, 196 Paesi, tra cui la Cina, hanno sottoscritto per contrastare il riscaldamento globale riducendo sensibilmente le emissioni di gas serra. Questa decisione ha provocato sconcerto all’interno della comunità internazionale, vista l’importanza del risultato che era stato raggiunto. Tanto è vero che durante le giornate Onu dell’ambiente e degli oceani, celebrate il 5 e 8 giugno, ci sono state ampie mobilitazioni volte a sottolineare le minacce alla salute della Terra.
Il 13 giugno scorso, infine, si sono conclusi a Bologna i lavori del G7 Ambiente. I Ministri dei Paesi più industrializzati hanno discusso dei principali temi legati alla lotta all’inquinamento e alla difesa della sostenibilità ambientale assieme a Cile, Etiopia, Maldive e Ruanda, ospiti a sorpresa del summit.
Con il tanto atteso documento finale sono state emanate le linee guida che ciascun Paese presente al G7 si è impegnato a rispettare. Gli stessi Stati Uniti si sono allineati, nonostante la recente, eclatante uscita dall’accordo di Parigi, assicurando che continueranno il loro percorso di riduzione delle emissioni di CO2.
Sarebbe gravissimo abbassare la guardia. Il clima è a rischio e la natura in rivolta. Fenomeni catastrofici si succedono con sempre maggior frequenza. Basti pensare alle alluvioni in Sri Lanka con centinaia di vittime o alla siccità in Sudafrica – la peggiore da oltre un secolo – o a Turbat in Pakistan dove, il 30 maggio, si è raggiunta la temperatura più alta mai registrata in Asia e la quarta al mondo: 54 gradi. Le acque degli oceani sono minacciate da pesca eccessiva, plastica galleggiante, aumento del livello, riscaldamento e acidificazione generata dall’aumento di CO2 nell’acqua marina, la minaccia più sottovalutata e meno conosciuta, ma anche la più subdola e pericolosa, che “provoca danni lungo tutta la linea biologica marina: dal plancton ai coralli ai molluschi e di conseguenza all’intera catena alimentare” spiega Sandro Fuzzi, ricercatore dell’istituto delle Scienze dell’atmosfera (Isac-Crn).
In occasione dell’evento “Global Warming: il diritto alla conoscenza e alle responsabilità della Comunità Internazionale”, tenutosi a Roma nella sede SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), operante sotto la vigilanza del Ministero degli Affari Esteri, abbiamo intervistato l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ex Ministro degli Esteri italiano, oggi rappresentante in Italia dell’UANI (United Against Nuclear Iran) e presidente del “Global Committee for the Rule of Law”, organismo transnazionale che si occupa di progetti sul tema dell’affermazione dello Stato di diritto e tutela dell’ambiente.
Per la giornata mondiale dell’ambiente tutti i cittadini del mondo si sono mobilitati a sostegno dell’ecologia, così anche le Istituzioni. Qual è lo scopo di questo incontro?
Sottolineare l’importanza dell’assumersi la piena responsabilità per la salute del pianeta, e ciò a prescindere dall’esatto livello di coinvolgimento degli esseri umani nel riscaldamento globale. Si discute molto delle “colpe” dell’Uomo riguardo alla degenerazione climatica, alcuni le negano, la maggioranza degli scienziati – il 97%, per essere precisi – le riconosce, ma al di là di questo, l’atteggiamento dell’Uomo può fare la differenza. Vogliamo assumere comportamenti responsabili in grado di minimizzare il danno oppure no? Questa è la vera domanda. Attraverso un’efficace educazione dei cittadini su questi problemi abbiamo la possibilità di evitare gli errori che si sono fatti nel passato e garantire una tutela dell’ambiente realmente consapevole.
Quali sono le Istituzioni coinvolte in questo impegno comune e condiviso?
Il comune impegno – come si percepisce qui, oggi – su un tema cruciale per il diritto all’informazione dei cittadini e il loro “diritto alla conoscenza” su queste delicate tematiche, coinvolge Istituzioni importanti nei processi formativi della nostra politica estera: la SIOI, il Siracusa International Institute, lo IAI, Nessuno Tocchi Caino, il Comitato Globale per lo Stato di diritto, il Partito radicale non Violento, Transnazionale e Transpartito. Nessuno può esimersi dal fare la propria parte per riflettere sul problema e fare un salto di qualità in termini di azioni concrete.
Quali sono gli obiettivi di questa collaborazione?
Contribuire al radicamento, nella cultura politica del nostro Paese, di un impegno condiviso sui cambiamenti climatici e sull’ambiente: la verità è che non c’è più tempo da perdere.
Papa Francesco con l’Enciclica “Laudato si’” ha voluto dare un forte messaggio di riflessione e di intraprendenza. È d’accordo?
Certamente sì, e a mio avviso sono due i concetti chiave dell’Enciclica particolarmente rilevanti e applicabili alla situazione italiana, tra loro intimamente collegati: corruzione diffusa e gravi carenze nell’informazione, due fattori che interagiscono potentemente nel compromettere la tutela dell’ambiente e la lotta contro i cambiamenti climatici. La corruzione affossa l’economia dell’Italia più di ogni altra cosa: esiste un’evidente correlazione tra il rapporto debito/PIL e “l’indice della corruzione” individuato dalle istituzioni internazionali di controllo. La corruzione accresce esponenzialmente la spesa pubblica, l’indebitamento, e contribuisce anche a creare le condizioni di “trascuratezza” che danneggiano l’ambiente: si progetta solo a breve termine e non ci si pone alcun problema per ciò che accadrà all’ambiente che ci circonda tra qualche anno. Tra i diciannove Paesi dell’Eurozona, per quindici di loro si rileva un debito nettamente al disotto del 100% del PIL e nel contempo un Corruption perception index [indice di percezione del livello di corruzione di un Paese, ndr] – CPI (Transparency International) di decine di posizioni migliore rispetto a quello dell’Italia, inchiodata da quattro anni nella fascia più bassa nell’indice della corruzione globale. Considerazioni analoghe valgono per la libertà d’informazione: Reporter senza Frontiere classifica l’Italia al 52° posto nel mondo per libertà di informazione, ultima tra i maggiori Paesi europei, trenta posizioni dopo Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, per non parlare dei partner nordici. Particolarmente grave è il fenomeno dell’“autocensura”: numerosi giornalisti e operatori dell’informazione pubblica e privata non favoriscono il giornalismo investigativo o critico, per non “disturbare” i grandi centri di potere. Questa situazione non favorisce certamente l’attivazione di progetti e comportamenti virtuosi sul tema dell’ambiente. Corruzione, carenze nell’informazione trasparente e insufficienze nell’assicurare su queste tematiche il vero “diritto alla conoscenza” dei cittadini, producono distorsioni rilevanti nel dibattito su clima e ambiente, a livello nazionale e globale. L’iniziativa su questi temi non è più procrastinabile.