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Dalla Rai a Mediaset, i media italiani alle prese con la fine dello star system

La filiera dei media è cambiata dopo la rivoluzione indotta dai processi di disintermediazione digitale. Il XV Rapporto sulla comunicazione realizzato dal Censis parla dei media tradizionali e dei media digitali alle prese con questa trasformazione “antropologica”

Il 15° Rapporto sulla comunicazione del Censis analizza la rivoluzione indotta in tutta la filiera dei media, dai processi di disintermediazione digitale e della digital life, per arrivare a sostenere che siamo di fronte ad una vera e propria mutazione antropologica. L’analisi è stata presentata a Roma l’11 ottobre 2018, presso il Senato, dal direttore generale del Censis Massimiliano Valerii. Vi hanno partecipato Gina Nieri di Mediaset, Gian Paolo Tagliavia della Rai, Massimo Porfiri AD di Tv2000, Massimo Angelini di Wind Tre, Fabrizio Paschina di Intesa Sanpaolo, Francesco Rutelli presidente di Anica e Giuseppe De Rita, presidente del Censis.

La dieta mediatica degli italiani: tra media tradizionali e digitali

L’analisi del rapporto, illustrata da Massimiliano Valerii, conferma che negli ultimi anni c’è stata una trasformazione nella ridefinizione delle diete mediatiche degli italiani. La televisione si conferma il principale mezzo di comunicazione, ma quello che segna un incremento sono i nuovi modi di fruizione del digitale. Tra il 2007 e il 2018 l’utenza Tv via internet, web Tv e smart Tv è passata dal 10% al 30%, con un’impennata del 26% sull’utenza della mobileTv.
“Il processo di desincronizzazione” ha commentato Valerii “è in continua ascesa nei palinsesti collettivi per l’affacciarsi di nuovi player, con la tv on demand che sta assumendo una funzione centrale per il singolo soggetto che può comporre il palinsesto in maniera autonoma”.
Anche la radio, mezzo di comunicazione di massa più antico, si trova al centro di un processo di ibridazione nel sistema dei media, che porta verso una trasmedialità più matura, con l’aumento dei programmi radiofonici ascoltati con il pc (17% di utenza) o con lo smartphone (21% di utenza).

Un discorso a parte riguarda la carta stampata, dove continua il processo di ampliamento del press divide. Secondo la rilevazione Censis, dieci anni fa i quotidiani erano letti dal 67% degli italiani, oggi sono poco più del 37%. Settimanali e mensili assorbono un’utenza tra il 30 e il 26% ma considerando l’uso abituale dei mezzi cartacei, il 56% degli italiani ha escluso libri, giornali, riviste e periodici di carta.
Il dato si dilata tra i giovani under 30 toccando la quota del 63%. Tuttavia, le testate giornalistiche online hanno compensato la perdita dell’utenza tradizionale. Infatti i quotidiani online raggiungono una share del 26%, ma quello che attrae di più le persone sono gli aggregatori di notizie, i portali d’informazione con il 46%.

I libri invece registrano un record negativo, infatti solo il 42% degli italiani ha letto un libro nel corso dell’ultimo anno e l’8,5% un e-book. I lettori “forti”, tra diplomati e laureati, sono appena il 55% mentre sono il 44% quelli di e-book e libri cartacei insieme; quelli che leggono almeno tre libri l’anno sono il 22%.

I media sugli smartphone

Media e smartphone ogni anno “battono” nuovi record con il 78% di utenza connessa (8 persone su 10), inoltre il 74% degli italiani possiede uno smartphone sempre connesso in rete.
Se si guarda ai dati ufficiali sulla spesa dei consumi delle famiglie, tra il 2007 ed il 2017, la spesa destinata agli smartphone triplica del 221%. In dieci anni la spesa destinata all’acquisto di un pc ha toccato il 54%, mentre diminuiva del 39% quella destinata all’acquisto di libri e giornali.

La spesa in servizi di telefonia e smartphone vale 23,7 miliardi di euro l’anno, e ciò si collega all’intenso uso dei social che sono diventati parte integrante della vita quotidiana degli italiani. Infatti, il 55% delle persone usano WhatsApp, Facebook, YouTube, mentre gli under 30 preferiscono Instagram.
Il successo dei media digitali si spiega per l’utilizzo di una pluralità di bisogni che incidono sui comportamenti di ciascuno di noi. “Questi cambiamenti” ha spiegato il direttore del Censis “hanno generato una vera mutazione antropologica che ha portato le persone ad assumere una serie di riti, tic e manie che incidono sulla vita sociale delle persone”.

Altro aspetto della disintermediazione digitale riguarda l’uso che se ne fa in politica. Il 47% degli italiani giudica favorevolmente l’uso politico dei social, il 30% pensa siano utili per comunicare direttamente con essi, il 17% ritiene siano preziosi per l’assenza di filtri dei giornalisti, il 24% li considera inutili, tanto le notizie importanti si trovano nei media tradizionali, mentre il 29% li valuta dannosi perché favoriscono il populismo attraverso slogan o semplificazioni.

Principali problemi dell’era digitale secondo gli italiani

Per gli italiani l’era del digitale riflette una visione individualistica, prevalentemente centrata su di sé. Il 42,5% degli intervistati crede che il problema di internet sia la diffusione di comportamenti violenti, dal cyber-bullismo alle diffamazioni alle intimidazioni online. Al secondo posto, con il 41,5%, si colloca il tema della protezione della privacy; segue il rischio della manipolazione delle informazioni attraverso le fake news (40,4%) e la possibilità di imbattersi in reati digitali, come le frodi telematiche (35,5%). Si denota invece una scarsa preoccupazione rispetto ai ritardi che il nostro Paese ha in termini di infrastrutture tecnologiche o ad un problema legato alla tutela del diritto sul copyright.

La fine dello star system

Secondo il rapporto Censis, metà degli italiani è convinta che chiunque possa diventare famoso, nel caso dei giovani under 30 la percentuale raggiunge il 56%: un terzo dei giovani crede che la popolarità sui social sia un fatto fondamentale per diventare una celebrità, mentre il 10% pensa che essere divi rappresenti un modello da imitare. “Il divismo” ha sostenuto Valerii “nel ’900 aveva giocato un ruolo importante perché gli individui si proiettavano verso uno spirito di emulazione creando un impatto concreto nell’evoluzione della società. Oggi non ci sono più divi a cui ispirarsi perché la disintermediazione digitale ha ‘ucciso’ il divismo, ciascuno di noi con i social può fare un casting personale, ma nello stesso tempo sono comparsi gli influencer, divi costruiti a tavolino, che non rappresentano più dei modelli a cui ispirarsi”.

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La web reputazione e il punto di vista degli esperti intervenuti

Tra gli interventi, Gian Paolo Tagliavia ha confermato l’avanzata dei consumi digitali degli italiani affermando che il mondo dei media digitali è in fase di maturazione, si torna cioè a parlare del contenuto come elemento di differenziazione competitiva. Massimo Porfiri ha parlato degli investimenti della televisione della CEI (Conferenza episcopale italiana), TV2000, su internet e sui social: “i numeri raccontano la storia di una televisione stabile all’1% di share con punte del 4-5% per particolari eventi e programmi, una crescita del target tra i 14-54enni e una buona visibilità dei telegiornali. Per l’emittente a vocazione religiosa e sociale” ha dichiarato Porfiri “dietro lo share ci sono persone e famiglie e share significa condivisione, ossia comunicazione”.
Francesco Rutelli ha parlato di “élitometro”, variabile che misura il proprio giudizio in base alla contrapposizione delle élite, e di “immediatezza” dell’informazione che dura poco più di un tweet. “Per decenni” ha sostenuto “la politica plasmava la sua autorevolezza di fronte alla complessità per puntare alla sintesi, oggi alla complessità la politica risponde con l’immediatezza. Siamo quindi di fronte ad un radicale cambiamento antropologico che tocca tutti, soprattutto le giovani generazioni”.
Fabrizio Paschina ha sostenuto che Intesa Sanpaolo misura costantemente la reputazione. “Per mantenere alto il livello di fiducia nell’azienda” ha commentato “occorre innovare e comunicare facendo conoscere le proprie attività. La fiducia è alla base della reputazione che si costruisce studiando i target e coltivando un dialogo aperto e costruttivo con contenuti di qualità tagliati per i diversi pubblici”.

Nel rapporto tra società liquida ed emozionale quello che prevale è la centralità del contenuto della comunicazione, ha spiegato Giuseppe De Rita. “L’Italia si allinea alle imitazioni del mercato e quello che va costruito in termini di offerta al pubblico è un’offerta sempre nuova che porti ad ottenere una polarizzazione nei consensi e nei contenuti d’informazione proposti”.

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