Fisco e norme Imprenditoria

Cassa integrazione Fase 3, le novità

Un provvedimento che fa discutere, quello relativo alla Cassa integrazione Fase 3 contenuto nel Decreto agosto. Le costruttive critiche di Unimpresa e dei Consulenti del lavoro

La Cassa integrazione Fase 3 sarà in parte a carico delle aziende che già non riescono a riaccendere i motori delle proprie imprese, denuncia il consigliere nazionale di Unimpresa Giovanni Assi. Contemporaneamente, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro prende in esame, nell’approfondimento del 25 agosto 2020, il mantenimento del divieto di licenziamento per ragioni economiche (anche se per un periodo “mobile” collocato fino al 31 dicembre), la modifica alla disciplina della Cassa integrazione e l’introduzione di una decontribuzione, fino a 4 mesi, per i datori di lavoro che non ricorrono agli ulteriori ammortizzatori sociali emergenziali e fanno ritornare al lavoro il personale. Evidenziando luci e ombre di queste disposizioni, emergono anche le principali difficoltà applicative e interpretative per aziende e Consulenti del Lavoro.

9 settimane di cassa integrazione Fase 3 a carico delle aziende
9 delle 18 settimane che dovrebbero essere concesse di sussidio Covid-19 saranno in parte finanziate dalle stesse imprese, che arriveranno a versare all’Inps per il suo utilizzo fino al 18% delle retribuzioni. È quanto emerge dal documento del consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi, secondo il quale “ai nostri imprenditori – che da mesi non riescono a riaccendere i motori delle loro aziende e a cui viene imposto di non licenziare – adesso viene richiesto anche di contribuire al pagamento della cassa integrazione”. Il problema è tutto nell’indicatore utilizzato dal Governo, quello del calo di fatturato, per individuare le aziende in difficoltà. Prosegue Assi: “Non riusciamo davvero a comprendere come il Governo si ostini ad utilizzare un indicatore, quale quello del calo di fatturato, per individuare un’azienda in difficoltà. Il nuovo Decreto infatti chiede alle imprese di poter accedere a tale strumento e di finanziare al tempo stesso l’ammortizzatore sociale, sulla base di un ‘non indicatore’ ovvero il calo di fatturato del primo semestre 2020, ignorando la differenza che esiste tra fatturato e incassato, ovvero ignorando quella che è la realtà della pressoché totalità delle imprese produttrici del nostro Paese, che nel periodo immediatamente precedente al lockdown si sono trovate a fatturare tutta la merce prodotta e spedita nel primo trimestre 2020 salvo poi non incassare nulla per le note vicende che hanno colpito il mercato”.

Foto di M. Sideri

Cassa integrazione Fase 3
Ma cosa intendiamo con “Cassa integrazione Fase 3”? Il DL 104/2020 ha modificato le norme relative agli ammortizzatori sociali connessi all’emergenza epidemiologica. In pratica è la Cassa integrazione Fase 3 cui fa riferimento anche Unimpresa. A seguito delle novità introdotte, i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza sanitaria possono presentare domanda di concessione dei trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove secondo particolari modalità. Le complessive diciotto settimane devono essere collocate nel periodo tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020 e costituiscono la durata massima che può essere richiesta con causale Covid-19. I periodi di integrazione precedentemente richiesti e autorizzati, qualora siano collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020, sono imputati, ove autorizzati, ai nuovi ammortizzatori sociali. Ciò implica – spiegano i consulenti del lavoro – per le aziende che non siano riuscite ad utilizzare tutte le diciotto settimane previste dalla precedente normativa, la privazione delle settimane residue. “È altresì evidente come i datori di lavoro, che negli scorsi mesi abbiano utilizzato virtuosamente le settimane di cassa integrazione a disposizione, risultino penalizzati dalle norme recentemente introdotte” si legge nell’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

Le novità della Cassa integrazione Fase 3
Tra le novità di particolare rilievo vi è anche quella che richiede il pagamento di un contributo addizionale per le aziende che, esaurite le prime nove settimane di ammortizzatori, intendano proseguire la fruizione degli stessi per le ulteriori nove settimane concesse dal DL 104/2020. Il contributo addizionale è determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 con quello del 2019, in misura pari:

  1. a) al 9% della retribuzione non erogata durante la CIG, se la riduzione del fatturato è pari o inferiore al 20%;
  2. b) al 18% della retribuzione non erogata durante la CIG, se non c’è stata alcuna riduzione del fatturato.

Tale contributo non è invece dovuto dai datori di lavoro che abbiano subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% e da coloro che hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019.

Cassa integrazione Fase 3. La delusione di Unimpresa
Secondo Assi “le richieste delle imprese, dei lavoratori, dei professionisti sono state ancora una volta ignorate: ci si attendeva un intervento strutturale sugli ammortizzatori sociali gridato a gran voce anche dai consulenti del lavoro, con una vera riforma degli stessi che prevedesse un unico strumento, di facile accesso e soprattutto di reale aiuto ai lavoratori ed alle loro famiglie, invece ci si è trovati di fronte alla solita ‘aspirina’ che non potrà guarire un malato grave”. Il consigliere nazionale di Unimpresa aggiunge che ci troviamo di fronte a delle misure in tema di lavoro che non risollevano in maniera strutturale le sorti delle nostre imprese e dei loro lavoratori: “ben 109 articoli senza lasciare intravedere una linea di rilancio strutturale del nostro Paese: concedere 18 settimane di cassa integrazione a tariffe da fame e per di più farle pagare alle nostre imprese. Viene lasciato ai lavoratori un sostegno da terzo mondo, perché 4,50 all’ora (ben al di sotto del 50% dei salari medi) ad un padre di famiglia non può che essere chiamato così”.

L’approfondimento dei consulenti del lavoro sulla Cassa integrazione Fase 3
I consulenti del lavoro evidenziano come il valore del contributo addizionale per cui è richiesto il pagamento “sia particolarmente ingente se raffrontato a quello previsto per la disciplina ordinaria di cui al decreto legislativo n. 148/2015. Infatti, l’articolo 5 del D. Lgs. 148/2015 pone a carico delle imprese che presentano domanda di integrazione salariale, sia essa di Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria che Straordinaria, il pagamento di un contributo addizionale, quantificato nel:

  1. a) 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate, relativamente ai periodi di integrazione salariale ordinaria o straordinaria fruiti all’interno di uno o più interventi concessi sino a un limite complessivo di 52 settimane in un quinquennio mobile;
  2. b) 12% oltre il limite di cui alla lettera a) e sino a 104 settimane in un quinquennio mobile;
  3. c) 15% oltre il limite di cui alla lettera b) in un quinquennio mobile.

I consulenti del lavoro aggiungono che, per ciò che concerne il FIS, all’art. 29 dello stesso decreto legislativo 148/2015 è prevista una contribuzione addizionale a carico dei datori di lavoro, connessa all’utilizzo delle prestazioni, pari al 4% della retribuzione persa e concludono: “fermo l’intento del legislatore del DL 104/2020 di disincentivare, se non davvero necessario, l’utilizzo delle ulteriori nove settimane di trattamenti e rammentando le evidenti differenze che sussistono in tema di ammortizzatori sociali tra la normativa ordinaria e quella emergenziale, è tuttavia lecito domandarsi, dal punto di vista prettamente economico, quale percorso sia il più confacente per le aziende che dovessero trovarsi in difficoltà nei prossimi mesi”.

L’autorizzazione dell’Inps alla Cassa integrazione Fase 3
Le ulteriori nove settimane di trattamenti sono riconosciute esclusivamente ai datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il precedente periodo di nove settimane, decorso il periodo autorizzato. Per essere ammesso alla fruizione delle ulteriori nove settimane, il datore di lavoro deve presentare all’Inps domanda di concessione del trattamento nella quale autocertifica, ai sensi dell’articolo 47 del DPR 4.451 del 28 dicembre 2000, la sussistenza dell’eventuale riduzione del fatturato. L’Inps autorizza i trattamenti sulla base dell’autocertificazione allegata alla domanda e individua l’aliquota del contributo addizionale che il datore di lavoro è tenuto a versare a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. In mancanza di autocertificazione si applica l’aliquota del 18%. Sono comunque disposte le necessarie verifiche relative alla sussistenza dei requisiti richiesti e autocertificati per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale, ai fini delle quali l’Inps e l’Agenzia delle Entrate sono autorizzati a scambiarsi i dati.

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