Lavoro Opportunità

Lavoro per i giovani, richiesta alta specializzazione

Domanda di professioni in Italia è l’indagine realizzata dai consulenti del lavoro che mostra quali sono le reali opportunità di lavoro per i giovani

Il lavoro per i giovani in Italia c’è ma è l’alta specializzazione ad agevolare l’accesso in azienda e a contratti stabili, soprattutto per le donne. L’indagine realizzata dalla Fondazione studi Consulenti del lavoro in occasione della XII edizione del Festival del Lavoro dal titolo “La domanda di professioni in Italia” divulgata il 1° maggio, festa dei lavoratori, offre una panoramica completa sulle reali opportunità che i giovani under 34 e le donne trovano nel mercato del lavoro. Infatti l’indagine fornisce un quadro degli ingressi in azienda per profili professionali, competenza (bassa, media, alta) e su base regionale, approfondendo per ogni prospettiva la quota di giovani, donne, laureati, tipologia contrattuale. Con un focus su tirocinio e apprendistato.

Le prime evidenze sul lavoro per i giovani
Secondo l’indagine nel gruppo delle dieci figure altamente qualificate che, a livello nazionale, hanno fatto registrare i numeri maggiori di unità di lavoro attivate (ULAT), ci sono i laureati e le donne, con una quota che raggiunge rispettivamente il 46% e il 45%, di molto superiore a quella rilevata sulla stima generica delle prime 10 professioni per ingressi in azienda (pari al 12% e al 40%). In più, l’investimento in competenze apre le porte a un contratto stabile nel 47% dei casi, mentre chi si colloca nella fascia di bassa specializzazione ottiene un contratto a tempo indeterminato solo 34 volte su 100.

L’importanza dell’alta specializzazione nel lavoro per i giovani
Il barometro dei profili più richiesti dalle imprese si basa sui numeri, elaborati su dati del Ministero del Lavoro aggiornati al 2° trimestre 2020, che confermano la correlazione tra l’alta qualificazione e i contratti più stabili. Inoltre, il lavoro più qualificato nell’ultimo anno ha registrato una netta tenuta, in termini occupazionali e retributivi, e si presenta all’appuntamento con la “ripartenza” più rafforzato in termini professionali grazie anche al forte coinvolgimento nella sfida dell’innovazione determinata dall’emergenza sanitaria.

Lavoro per i giovani, le professioni maggiormente richieste
Entrando nel dettaglio delle professioni maggiormente richieste nel contesto dell’alta specializzazione, al primo posto ci sono analisti e progettisti software (27,7 mila ULAT annue): prevalentemente giovani e laureati (nel 69% e 57% dei casi) conquistano un contratto di lavoro a tempo indeterminato più di 8 volte su 10. A seguire i tecnici della vendita e della distribuzione (17 mila) e le professioni sanitarie infermieristiche (15,5 mila). In quest’ultimo segmento prevale la componente femminile, che è ben sopra alla media anche nella categoria dei docenti della scuola privata o parificata, dove la quota di laureate è massima. Nella top ten seguono poi gli specialisti dei rapporti con il mercato, i professori delle superiori, i tecnici del marketing, le professioni sanitarie riabilitative, i disegnatori industriali e – al nono e decimo posto – gli specialisti nell’organizzazione del lavoro e gestione/sviluppo del personale e i tecnici programmatori. Profili appetibili soprattutto in Lombardia, che li sceglie una volta su quattro e si colloca oltre la media nazionale (18,2%) insieme a Friuli-Venezia Giulia (21,9%), Lazio (21,4%) e Piemonte (21%).

Lavoro per i giovani neo diplomati
Circa 500 mila studenti affronteranno le prove di maturità dal 16 giugno. Quasi tutti (il 99,5% è stato promosso nel 2020), dopo aver conseguito il titolo di istruzione secondaria, si troveranno di fronte alla prima importante scelta della loro vita: continuare a studiare o cercare un lavoro? Se osserviamo i dati degli scorsi anni, circa la metà dei diplomati deciderà di iscriversi all’università (il tasso di passaggio dal diploma all’iscrizione ad una università si attesta intorno al 50,3%), in particolare donne (55,6%) e residenti nel Centro Nord. Quattro Regioni del Mezzogiorno influenzano pesantemente la media nazionale: la Sicilia (43,7%), la Campania (44,0%), la Puglia (47,5%) e la Sardegna (48,7%). Con valori di quattro punti percentuali superiori alla media nazionale (50,3%) troviamo invece le Marche (54,3%), la Lombardia e il Molise (54,4%), la Liguria (55,2%) e l’Abruzzo (56,7%).
Se il 50,3% dei diplomati si iscriverà all’università, un terzo (33,8%) conseguirà un primo titolo di laurea e un quinto (20,2%) una laurea magistrale.

 

 

Le opportunità di lavoro per le donne
Le opportunità occupazionali rivolte alle donne variano molto rispetto alla latitudine della penisola.
Nelle Regioni del Sud la domanda di lavoro è rivolta prevalente ai maschi. Su cento unità di lavoro assunte, infatti, solo un terzo della domanda di lavoro della Basilicata (33,1%) è destinata alle donne. Risalendo la classifica dall’ultimo posto troviamo solo Regioni meridionali: Campania (34,4%), Sicilia (36%), Puglia (36,9%), Molise (37%), Calabria (38,1%) e Sardegna (38,4%). Molto al di sopra della media nazionale (39,7%) e in vetta alla classifica troviamo il Trentino-Alto Adige (45%), la Val D’Aosta (43%) e la Toscana (42,8%).
Le caratteristiche della domanda di lavoro femminile, rispetto a quella maschile, vedono una quota doppia di laureate (16,5% rispetto al 9% di maschi), una prevalenza di cittadine italiane e di giovani (il 53,5% della domanda femminile è rivolta ad under 35 contro il 48% della domanda maschile), ma anche una quota di lavoro precario molto più alta rispetto al genere maschile (solo il 36,4% delle assunte ha un contratto a tempo indeterminato o in apprendistato contro il 44,3% dei maschi).

Le differenze tra Tirocinio e Apprendistato. A cosa hanno portato come lavoro per i giovani

Il Tirocinio
É una forma di esplorazione del contesto lavorativo e professionale e prevede una quota obbligatoria di formazione. Si parla per la precisione di tirocini formativi e di orientamento rivolti a soggetti che abbiano conseguito un titolo di studio da non più di 12 mesi, finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupabilità nella fase di transizione dalla scuola al lavoro mediante una formazione in ambiente produttivo e una conoscenza diretta del mondo del lavoro.
In tali casi il giovane diplomato sarà inserito in aziende con un progetto formativo monitorato da un tutor. Se avrà completato il 70% del progetto formativo assegnatogli, avrà una attestazione del tirocinio svolto da parte del soggetto promotore.
In base alla normativa vigente al tirocinante è corrisposta un’indennità per la partecipazione al tirocinio di importo non inferiore a € 300,00 lordi mensili, ferma restando la competenza delle Regioni e Provincie Autonome in materia. Dal punto di vista fiscale l’indennità di tirocinio è considerata quale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente.
I tirocini attivati nel 2019 sono stati circa 355 mila. I rapporti di lavoro attivati a seguito di una esperienza di tirocinio sono stati 129 mila, il 36,3%.
Il Tirocinio di qualità garantisce ottime opportunità occupazionali. Ad esempio, quelli attivati dai Consulenti del Lavoro raggiungono tassi di inserimento occupazionale a sei mesi dal tirocinio di oltre il 60% e la metà dei contratti stipulati è di tipo permanente (tempo indeterminato o apprendistato).
Il settore che concentra la maggior parte dei tirocini attivati è quello dei servizi che, con circa 272 mila attivazioni, rappresenta il 76,6% del totale. L’esperienza di tirocinio extracurriculare interessa per lo più individui con meno di 35 anni (83,8% del totale dei tirocinanti).

L’apprendistato
Ogni anno circa 19 mila giovani neo diplomati sono assunti dalle aziende con un contratto di apprendistato professionalizzante: si tratta di un vero e proprio lavoro subordinato sebbene con una componente significativa di formazione. Infatti, il contratto di apprendistato è caratterizzato da una formazione finalizzata al conseguimento di competenze tecniche necessarie a divenire un lavoratore qualificato.
Il datore di lavoro, a seguito della prestazione lavorativa caratterizzata da una professionalità crescente, è obbligato a corrispondere all’apprendista la retribuzione e gli insegnamenti necessari ad ottenere, a seconda dei casi, un titolo di studio, una specifica professionalità o un titolo di studio universitario o di alta formazione.
Ai fini dell’inserimento occupazionale, la forma più diffusa è costituita dall’apprendistato professionalizzante: tale tipologia è attuabile in tutti i settori di attività, pubblici o privati, è finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. Consente l’assunzione di giovani dai 18 anni (17 anni se già in possesso di una qualifica professionale) ai 29 anni di età. Gli accordi interconfederali e i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali stabiliscono, a seconda della qualificazione professionale da conseguire, la durata e le modalità di erogazione della formazione per l’acquisizione delle relative competenze tecnico-professionali e specialistiche, nonché la durata anche minima del periodo di apprendistato, che non può essere superiore a tre anni (o cinque per i profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano).

Il commento del presidente della Fondazione Studi
“Non c’è dubbio che il grande malato di questo momento sia il lavoro nella sua accezione più ampia” ha dichiarato il presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, “ma la sfida che ci attende per far sì che l’Italia possa riallinearsi ai dati occupazionali medi europei e impedire l’esodo dei giovani verso gli altri Paesi, deve comprendere l’investimento in competenze di qualità e in percorsi formativi che intercettino le esigenze evidenziate dalle imprese nell’ultimo anno. In un’ottica inclusiva, senza distinzione tra lavoro autonomo e dipendente”.

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